sabato 28 dicembre 2013

KILLER GROOVE: DAVID SHIRE, MANHATTAN SKYLINE


Disco music, pura e semplice disco. Non andrò a compiere arrampicate su superfici lisce e vetrose per giustificare la scelta del killer groove di oggi, soltanto la voglia di ascoltare un brano che sia da viatico per il 2014 e mi affranchi per sempre dalle miserie del 2013. Il brano l'ho preso dalla colonna sonora di Saturday Night Fever, l'autore è David Shire, compositore di musical per Broadway e colonne sonore per il cinema, da ricordare la o.s.t. de "La Conversazione" di Francis Ford Coppola, nonché per la televisione. Di questo brano mi piace il groove che riescono a creare i fiati e l'atmosfera che focalizza bene la New York danzereccia dei tardi anni '70. Niente di più, ma oggi mi basta così.

martedì 24 dicembre 2013

BUON NATALE



Questo è il mio regalo di Natale per voi. Soul Power, il concerto tenutosi a Kinshasa nel 1974 a corollario del match di pugilato tra Mohamed Ali e George Foreman valevole per il mondiale dei pesi massimi, è ricordato come il più grande evento live di musica soul di tutti i tempi. Un cast da paura: James Brown, The Spinners, Bill Withers, B.B. King, Miriam Makeba ma anche Celia Cruz e i Fania All Star. 
Non mi resta che augurarvi, di cuore, un Buon Natale e una buona visione. Vi amo tutti !!

sabato 21 dicembre 2013

KILLER GROOVE: DETROIT EMERALDS, LET'S GET TOGETHER


Dici Detroit e pensi alla Motown, ma se dici Detroit Emeralds forse nei recessi della memoria ti ricordi di una band che incideva per altre etichette della città dei motori e che in patria non ottenne mai un successo strepitoso, se non nelle classifiche r'n'b. Altra storia con il Regno Unito, dove i Detroit Emeralds nel 1973 arrivarono al nr.4 delle charts con "Feel The Need", canzone poi dalle molte cover. Ma il "killer groove" di oggi è un pezzo che arriva dal 1978, omonimo dell'album e l'ultimo inciso dalla band; "Let's Get Together" è uno di quei brani adatti per far prendere fuoco ai piedi e molto lo si deve alla longa manus di Tom Moulton che mixò questo e gli altri brani del disco registrati in quel di Detroit, nei Sigma Studio di Philadelphia. Quindi abbiamo un groove soul con dentro molta disco, arrangiamenti con gli archi in primo piano suonati a velocità stratosferica, i fiati a rimarcare il ritmo per un risultato che da la cifra di quello che era il sound nei club di fine anni '70. Io c'ero e voi?

venerdì 20 dicembre 2013

SOGNO DI BOSSA IN UN POMERIGGIO PIOVOSO



Fu circa alla metà degli anni ottanta, tra band che producevano infima roba commerciale e artisti che provarono a dare un nuovo linguaggio al rock, che si sviluppò una nuova scena ribattezzata "new cool" che andava a ripescare un certo tipo di pop sofisticato infarcendolo di soul, jazz e sonorità brasiliane. E proprio di bossa nova parleremo oggi. Due tra i gruppi che si cimentarono con il genere erano anche agli antipodi tra di loro: da una parte gli Everything But The Girl autori di una incantevole opera prima, "Eden", dall'altra i Matt Bianco, dediti ad un pop si di facile ascolto ma ben scritto e molto raffinato. Sia gli EBTG che i Matt Bianco avevano al loro interno due tra le voci femminili più peculiari e belle del periodo, Tracey Thorn per i primi e la cantante di origine polacca Basia per i Matt Bianco e ambedue ci fecero ricordare della bossa brasiliana con due canzoni che funsero da apripista per chi del Brasile conosceva la spiaggia di Copacabana o al massimo le imprese di Pelè e Garrincha. "Each and Everyone" era anche il brano che apriva il disco degli EBTG, un incipit rarefatto alla tromba per poi dispiegarsi con malinconia e saudade accarezzati dalla voce di Tracey, la tipica canzone che ti immagini di ascoltare in un pigro pomeriggio piovoso sognando di essere sulle spiagge di Rio,"Half A Minute" dei Matt Bianco questa volta cantata unicamente da Basia (peccato che i MB avessero anche un solista maschile) era invece più giocosa, era il Brasile visto dagli occhi di un europeo appena atterrato colà. Due canzoni che furono anche un paradigma di un sogno che fece illudere in chi sperava in un rinnovamento della musica pop virata con le tonalità di queste band -altre ve ne furono in quegli anni - ricordate i Prefab Sprout, i Deacon Blue, The Kane Gang, i Working Week, gli Aztec Camera, gli Orange Juice e i Pale Fountains ? Come è andata a finire lo sappiamo, sconfitta su tutti i fronti dalle forze del tamarro e del banale a tutti i costi, di questa musica non rimane che un ricordo velato di malinconia.

 

lunedì 16 dicembre 2013

NEVE VIOLA SU MINNEAPOLIS: IL FUNK PRIMA DI PRINCE


Credo che sappiate cosa penso dei cofanetti che vengono pubblicati con regolarità  con l'approssimarsi delle festività natalizie; il più delle volte trattasi di vere truffe, con l'ennesima riproposizione di brani straconosciuti di artisti strafamosi, magari con l'aggiunta di un paio di inediti dell'artista di turno impegnato a fare gargarismi mattutini. Non sono contrario invece alla pubblicazione di cofanetti che abbiano un senso, specialmente quando si va a scavare in aspetti poco conosciuti del panorama musicale. E' il caso ad esempio di una raccolta uscita da poco per la Numerogroup Records contenente due cd (oppure 4 vinili se preferite) ed un libretto che ci racconta della misconosciuta scena funk e soul di Minneapolis pre-successo di Prince. "Purple Snow: Forecasting The Minneapolis Sound"  il titolo della raccolta, dove in trentadue brani ci viene raccontata in musica, a partire dai primi anni settanta fino al 1984 circa, come la scena indie-soul di Minneapolis abbia contribuito in maniera decisiva nello svecchiare la musica black; parliamo di sonorità che pur prendendo spunto dai maestri del funk e dal philly sound si sono sviluppate in maniera autonoma prediligendo uno stile asciutto e mai magniloquente e zuccheroso. Una scena che insieme ad un giovane Prince alla chitarra, come possiamo ascoltare nel primo brano del disco, ha dato risalto ai primi synth che per cause di costi sostituivano gli archi. Dove le produzioni erano veramente all'osso, e in questi dischi se ne ascoltano diverse, come ad esempio "Can you deal with me" dei "Quiet Storm" dove la registrazione sembra arrivare da una stereo-cassetta, si sopperiva con l'inventiva e la sperimentazione al punto che molti di questi brani sono arrivati inediti fino ai nostri giorni. Da segnalare in questi brani, oltre alla presenza di un giovane Prince, anche quella di Jimmy "Jam" Harris e Terry Lewis nel tempo divenuti due tra i maggiori autori e produttori di r'n'b, oltre ad essere due colonne portanti della band "rivale" di Prince, i "Time" di Morris Day e della futura star r'n'b Alexander O'Neal. Per oggi mi fermo qui e vi consiglio caldamente di ascoltare questa meraviglia. 


sabato 14 dicembre 2013

KILLER GROOVE: THE CLASH, "THE MAGNIFICENT SEVEN"


"Sandinista" fu un meraviglioso disco pieno zeppo di stili e contaminazioni musicali che dette risalto per la prima volta in un disco di rock ai suoni che arrivavano dalla Giamaica, dub in primis e dai ghetti afroamericani. Registrato a New York nell'aprile del 1980 "The Magnificent Seven" fu il primo brano di una band bianca che si approcciava alla nascente scena hip-hop - "Rapper's Delight" della "Sugarhiil Gang" fu registrata giusto un anno prima - con tutta la furia e la rabbia che Joe Strummer e compagni mettevano nel creare la loro arte. Pezzone con base funk e linea di basso che suona come suonerebbero gli "Chic" spogliati dalla loro eleganza, declamazione di versi anticapitalistici da parte di Strummer, ne fu tratto un singolo che arrivò al nr. 34 della Uk Singles Chart ma sopratutto brano imprescindibile per tutti quei dj's con sale in zucca - un nome su tutti, Larry Levan - che la piazzavano nel mezzo delle loro scalette tra un Sylvester e una Grace Jones. Il merito di "Sandinista" in fondo è stato quello di aver fatto conoscere ad una generazione cresciuta a pane e rock l'esistenza di altre scene che meritavano di essere ascoltate e vissute e mi dispiace per quei pochi che ancora oggi non ne hanno colto l'essenza e l'importanza.

 

lunedì 9 dicembre 2013

TENGO LA MUTANDA NERA (OCCHIO, LINGUAGGIO ESPLICITO)


Nel mezzo del sentir di tal vinile, mi imbattei in una materia oscura, che la diritta via avea smarrita....si narrava di peni enormi, vagine, deretani,  posizioni strane, sesso matto, mutandine nere. Ohibò mi son detto, chi è tale poeta che declama questo verbo accompagnato da musici e parlatori, forse colui che scriveva questi versi?

"Tu, Lesbia, vuoi che l'abbia ritto all'infinito, credimi, il cazzo non è proprio uguale a un dito.
Tu l'accarezzi parlandogli da amico, ma il fare tuo impetuoso ti è nemico."

No, troppo lirico, questo era Marziale, Roma antica.

Ecco magari è quello che ha scritto questo poemetto:

"Perch'io prov'or un sì solenne cazzo che mi rovescia l'orlo della potta, io vorrei esser tutta quanta potta,
ma vorrei che tu fossi tutto cazzo.
Perché, s'io fossi potta e tu cazzo, isfameria per un tratto la potta, e tu avresti anche dalla potta
tutto il piacer che può aver un cazzo.
Ma non potendo esser tutta potta, né tu diventar tutto di cazzo, piglia il buon voler da questa potta.
- E voi pigliate del mio poco cazzo la buona volontà: in giù la potta ficcate, e io in su ficcherò il cazzo;
e di poi su il mio cazzo lasciatevi andar tutta con la potta: e sarò cazzo, e voi sarete potta."

No, questo arriva dal Rinascimento, Pietro Aretino si chiamava e non faceva certo l'r'n'b.

Ci sono, sicuramente avrà scritto questa poesia, si chiama "Er Padre de li Santi"

"Er cazzo se po di' radica, ucello, cicio, nerbo, tortore, pennarolo, pezzo-de-carne, manico, cetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.
Cavicchio, canaletto e chiavistello, er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo, attaccapanni, moccolo, bruggnolo, inguilla, torciorello e manganello.
Zeppa e batocco, cavola e tturaccio, e maritozzo, e cannella, e ppipino, e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.
Poi scafa, canocchiale, arma, bambino. Poi torzo, crescimmano, catenaccio,minnola, e mi'-fratello-piccinino.
E tte lascio perzino, ch'er mi' dottore lo chiama cotale, fallo, asta, verga e membro naturale.
Quer vecchio de spezziale dice Priapo; e la su' moje pene, segno per dio che nun je torna bene."

No, neanche questo, non è il Piotta però e neppure la Flaminio Maphia, trattasi di Giuseppe Gioacchino Belli poeta romano del diciannovesimo secolo.

Chi sarà allora? Di sicuro quel che scrive e canta è assai più noioso di questi versi e certamente ha scoperto l'acqua calda.

 

domenica 8 dicembre 2013

KILLER GROOVE: BELLE & JAMES, "LIVIN' IT UP (FRIDAY NIGHT)"


Leroy Bell (nipote di Thomas Bell mitico produttore degli The Stylistics, degli The Delfonics e degli The Spinners) e Casey James furono un duo di musicisti bianchi che operò nella Philadelphia di fine anni '70, quindi in pieno Philly Sound. Concittadini di un altro duo che operò in quegli anni, Hall & Oates - ne furono una versione più orientata al disco/funk - non hanno avuto molti dischi al loro attivo essendo principalmente autori per  altri artisti dell'etichetta di Gamble e Huff, la Philadelphia International, tra i quali Phillys Hyman, The O'Jays, MFSB, The Three Degrees, Gladys Knight & The Pips, ma anche Elton John. Con tre soli album all'attivo, dal 1978 al 1981, dalle alterne fortune, ebbero però il tempo di regalarci questa "killer groove" che inaugura questa mini rubrica di "pezzoni" rimasti nella storia della musica soul; "Livin' it up (Friday Night) ha un tiro funk inconfondibile, fu assai ballata nei dance hall che ebbero la fortuna di avere  degli avveduti Dj's ed arrivò fino al nr. 7 della U.S Black Single di Billboard e al nr.15 della HOT 100. Bella e trascinante come poche, fa ancora la sua porca figura in qualunque party che si rispetti. 

venerdì 6 dicembre 2013

IL MIELE DI FRANCO MICALIZZI & THE BIG BUBBLING BAND


Pulp Music come la nascita di un nuovo genere musicale e come recita il bollino rosso applicato sopra la copertina del disco, oppure un omaggio a Quentin Tarantino che con il suo ultimo film "Django Unchained" ha avuto il merito di far riscoprire le musiche di un maestro della musica italiana come Franco Micalizzi ? Probabilmente non lo sapremo mai, sappiamo invece che il maestro è tornato con un nuovo album, "Miele", insieme alla "The Big Bubbling Band", band superba dove militano anche i suoi due figli d'arte, Alessandro al basso e Cristiano alla batteria, dove ci delizia con dodici nuove composizioni. Quando ci troviamo davanti ad album del genere ci rendiamo conto di quanto merito abbiano avuto le nuove generazioni nel farci riscoprire questi artisti altrimenti destinati all'oblio: oltre al citato Tarantino mi vengono in mente i ragazzi dei "Calibro 35" e tutti quelli che hanno lavorato presso quelle etichette tipo la "Right Tempo" , la "Irma Records" e la "Schema Records", compiendo opera meritoria di archeologia musicale. "Miele" ha le caratteristiche di una colonna sonora immaginaria dove Micalizzi finalmente può dar sfoggio della propria bravura senza le costrizioni di una "vera" o.s.t. ; la band da par suo si muove con eleganza e potenza, ascoltare quel che combinano i fiati, era da tempo che non si ascoltava una sezione così massiccia in un disco italiano, il jazz ma anche la forza del funk sono ben integrate in un disco che da subito è diventato uno dei miei preferiti di questo scorcio di anno. Tra breve arriverà il nuovo anno, ma con questo disco sarete immersi e perduti per sempre negli anni '70, e non è un male, credetemi. 


mercoledì 4 dicembre 2013

UN MONDO DA SCOPRIRE: DA LATA


Dieci anni sono una vita discograficamente parlando, ma Patrick Forge e Chris Franck, due musicisti che hanno contribuito alla nascita della World Fusion con la loro band "Da Lata" non hanno perso niente del loro istinto nel creare groove che ti si stampano in testa. "Fabiola" questo il titolo del nuovo album, uscito lo scorso 21 di ottobre per l'etichetta "Agogo Records" è un bell'esempio di come dovrebbe essere intesa la musica che fonde sonorità tradizionali dei paesi a cui si ispira con l'elettronica e i generi codificati del music business. A fronte di una spiccata propensione verso le sonorità africane, il disco contiene in se i germi del funk e del rock, un po' di Brasile, spoken word, psichedelia, soul e dub; forse a qualcuno potrà sembrare un minestrone e nulla più ma se prestate attenzione alle canzoni queste hanno il respiro e i colori del mondo a cui si ispirano. Mai pesanti e tediose questi brani riescono a compiere opera culturale mediante le note di un pentagramma e ti fanno venire la voglia di andare a scoprire la fonte di quel folklore che non è fatto ad uso e consumo dei turisti ma è spesso la coscienza e l'anima di un popolo. Aldilà della bellezza del disco, questo è forse il merito e la funzione principale che dischi di questo genere devono avere. Un bel dieci pieno a questo lavoro, stra-meritato.

lunedì 2 dicembre 2013

ANTEPRIMA: THE PEPPER POTS


La prima cosa che ti viene in mente quando pensi alla Catalogna, probabilmente sono le giocate di Lionel Messi e il tiki taka del Barcellona e se al posto del calcio ci mettiamo la musica è molto facile che vi siate prima o poi imbattuti nelle sonorità degli "The Pepper Pots". La band catalana se ne esce con un nuovo album in uscita il prossimo 9 Dicembre dal titolo "We Must Fight", per la label tedesca "Legere Recordings",  il sesto dopo dieci anni di onorata carriera nel campo della musica soul. La prima cosa che balza all'orecchio è quella di trovarsi davanti ad una macchina del tempo, direzione anni '60, in quel di Detroit; la musica che girava da quelle parti, quel soul leggiadro e zuccherino che passerà alla storia come "Motown Sound" lo ritroviamo qui cotto e servito e le canzoni filano via lisce, anche troppo verrebbe da dire. Probabilmente il vostro recensore dopo anni passati ad ascoltare dischi più o meno buoni si aspetterebbe uno scatto in più da queste band che non sia soltanto una mera riproposizione di suoni già sentiti innumerevoli volte con l'aggravante che gli originali suonano certamente più credibili ma anche più "grezzi", nonostante l'alto grado di glucosio dello stile Motown; intendiamoci l'album è gradevole e si ascolta tutto di un fiato, ma onestamente mi sarei aspettato qualcosa in più. Un esempio calzante di come si possa rinnovare il genere pur restando in un ambito di revival è il disco uscito qualche mese fa di Nicole Willis & The Soul Investigators a titolo "Tortured Soul", dove il soul degli anni '60 si fondeva con il funk non disdegnando sonorità più elettroniche. Tornando agli "The Pepper Pots" una nota di merito va ascritto alle due voci soliste, belle e melodiche al punto giusto, ben accompagnate dagli strumentisti che focalizzano in maniera pertinente il sound della band. Si può dare di più, recitava una vecchia canzone, e vista la bravura che i ragazzi dimostrano mi auguro che la prossima prova sia un po' più grezza e meno smielata. 

lunedì 18 novembre 2013

FUNK DAI CARAIBI



Se c'è un disco che rappresenta bene quello che è il funk in tutte le sue sfumature, questo è senz'altro "Funky Nassau", diventato nel tempo un vero classico, un incredibile mix di musica soul, funk, calypso e tanta Africa. Il principio della fine o per meglio dire "The Beginning Of The End", questo il nome della band, tre musicisti delle Bahamas che hanno realizzato siffatta meraviglia; fortunatamente i ritmi caraibici sono in funzione dell'ingrediente base del lavoro, il funk, e non vi è niente che rimanda al folklore ad uso e consumo dei turisti della musica, come potrebbe dare a pensare. Il funk di James Brown e dei War, insieme a quello che arrivava dall'Africa, l'afro beat di Fela Kuti ad esempio, è quello che si può ascoltare nei nove brani dell'album; il periodo, siamo all'inizio degli anni 70, era quello giusto per il genere e sbaglia chi pensa che escludendo la title track gli altri brani siano dei meri riempitivi. Riascoltato recentemente, "Funky Nassau" mi è parso un monumento che ancora oggi riesce ad incutere rispetto ed ammirazione, al punto da essere pietra di paragone per tutto quello che riusciate a pensare di come dovrebbe essere il funk: ogni canzone è talmente messa a fuoco che si fa veramente fatica a trovarci dei punti deboli, qui siamo davvero a un passo dalla perfezione. Entusiasmante, ecco, questa è la definizione giusta per "Funky Nassau".


mercoledì 13 novembre 2013

LA NEBBIA E GLI SPARI: CALIBRO 35, "TRADITORI DI TUTTI"


Un fatto è certo: con l'uscita lo scorso 22 Ottobre del loro nuovo album per l'etichetta italiana "Recordkicks", "Traditori di Tutti", posso tranquillamente affermare che i Calibro 35 sono la miglior band italiana attualmente in circolazione. Dodici tracce da bersi come un buon bicchiere di J&B, ispirate dal romanzo omonimo che riscrisse i canoni del noir italiano sulle gesta di una banda di malfattori operanti nella Milano degli anni 60, raccontate da Giorgio Scerbanenco e qui narrate sul foglio di un pentagramma dal combo milanese. Possiamo parlare senza paura di passare per visionari di una vera e propria colonna sonora di accompagnamento al libro, tante sono le sfumature sonore, così come il romanzo faceva sentire la nebbia e l'odore della polvere da sparo direttamente dalle proprie pagine; non solo funk per i Calibro 35, ma anche il prog virato alla Goblin, la psichedelia di "Mescaline 6" , l'hipshake di "Giulia Mon Amour", e il soundtrack style di "The Butcher's Bride"; qui l'atmosfera rimanda a situazioni softcore che all'interno dei film polizieschi all'italiana (non chiamatelo "poliziottesco", altrimenti ci arrabbiamo) trovavi sempre e alle bellezze delle attrici coinvolte, che so, Orchidea De Santis, Ria De Simone...
La musica dei Calibro 35 si arricchisce di nuovi strumenti in questo album, non il mitra o altri ferri assortiti, ma il mellotron, il dulciton e l'organo Philicorda e con loro la consapevolezza di trovarsi davanti dei veri fuoriclasse; per l'atmosfera che la loro musica riesce a creare, nel loro non essere mai tediosi bensì nervosi e decisi come un pugno ben assestato da Duca Lamberti.

lunedì 4 novembre 2013

ARTHUR ALEXANDER vs. THE BEATLES: ANNA (GO WITH HIM)


Questa canzone me la ricordo bene; quando acquistai il primo 33 giri dei Beatles,"Please, Please Me", ascoltare "Anna" e la disperazione con cui John Lennon si esprime nel rivolgersi alla signorina in questione non poteva certo passare inosservata. Ben diverso invece fu il tono con cui Arthur Alexander, autore e il primo ad incidere il brano, si rivolgeva ad Anna; quello di una persona fatalista che sa di non poterci fare niente se la sua bella se ne va con un altro e con altrettanta calma la prende con filosofia: "beh, se pensi che con lui sarai felice, rendimi l'anello che ti ho dato e va da lui".

"Anna" si può considerare una delle prime grandi soul ballad mai incise ed è grazie ai Beatles se poi la canzone ha avuto il giusto riconoscimento; Arthur Alexander eccelleva nella scrittura invece che nel canto e dobbiamo a lui un altro brano che entrerà nella storia, questa volta grazie ai Rolling Stones: "You Better Move On". La vita di Alexander è simile a quella di altri artisti semi dimenticati ai giorni nostri; nato a Florence in Alabama muove i primi passi nell'ambiente gospel delle zone rurali dello stato americano, scriverà molto e bene anche per i cantanti country e sarà grazie a lui che insieme al suo amico e collaboratore Rick Hall trasformerà un magazzino di deposito di tabacco nei Muscle Shoals Studio.
Le canzoni di Alexander - da ricordare anche "A Shot of Rythm and Blues", "Soldier of Love" , "Sally Sue Brown" quest'ultima incisa anche da Bob Dylan nel 1988 e "Burnin' Love" portata al successo da Elvis - abbinano all'intensità tipica della musica soul la freschezza delle pop songs in stile Brill Building, che nella loro semplicità hanno tanta sostanza, quella della genialità.

In questo caso però il mio voto va ai Beatles, versione inarrivabile la loro, la voce di Lennon e il contrappunto corale di Mc Cartney e Harrison nel bridge della canzone nonché la frase detta con rabbia da Lennon nel finale del brano, ("you can go with him,girl"), assente nella versione di Alexander, la rendono da bella a memorabile.
P.s. Arthur Alexander abbandonerà il mondo della musica negli anni '70, finirà a guidare un autobus dei servizi sociali, e lascerà questa valle di lacrime nel 1993. Non so se alfine Anna abbia trovato l'anima gemella ma so per certo che i bridge delle canzoni dei Beatles sono quanto di più bello la mente umana abbia prodotto.


giovedì 31 ottobre 2013

UN MAESTRO: BOB JAMES


Ecco un'altro eroe del piano Fender Rhodes che si affaccia per la prima volta sulle pagine di questo blog; complice una bella raccolta uscita da poco, il tastierista Bob James è quanto di meglio le vostre orecchie funk abbiano mai potuto ascoltare. Riconosciuto come l'inventore dello smooth-jazz, termine a me inviso, molto meglio fusion, rende l'idea di quello che la musica di James come quella di altri pionieri del genere è; una felice commistione di jazz, funk e soul.

Bob James si muove nella New York della metà degli anni 70, la sua musica è influenzata da quello che gira tutto intorno alla città, suoni urbani funk imbastarditi con il jazz dei club che forniscono ancora oggi una colonna sonora immaginaria delle storie che muovono la metropoli, e al tempo stesso sarà una miniera d'oro per chi, negli anni successivi, inizierà a baloccarsi con sampler, beat e quant'altro possa fare da sfondo alle storie di rappers e hip-hoppers.

Una carriera lunga, lunghissima quella di Bob James; una trentina di album come solista distribuiti dal 1974 ai giorni nostri, un gruppo, i "Fourplay", da lui creato nel 1991 e ancora sulla strada, in più ha realizzato dischi di musica classica, suonato jazz tradizionale in trio e non si contano le collaborazioni con altri artisti. Il brano però per cui sarà ricordato ai posteri è "Nautilus" tratto dal suo primo album solista "one" del 1974, campionato da alcuni tra gli artisti hip-hop più conosciuti tra cui Erik B & Rakim's, i Run DMC e anche dai grandi Soul II Soul.
La musica di Bob James, come quella di altri maestri della fusion, ritorna periodicamente in cima alle mie preferenze di ascolto, e adesso è uno di quei momenti.

lunedì 21 ottobre 2013

LOST AND FOUND: FAUSTO LEALI - LEAPOLI



Oggi parleremo di un'artista italiano che ha nella voce la sua principale peculiarità: Fausto Leali. Non discorrerò in merito ai suoi dischi di successo che più o meno conoscete tutti,  ma di un album che il nostro incise nel 1977, conosciuto da pochi e che non è stato mai più ristampato.

"Leapoli", questo il titolo del disco, è prima di tutto un lavoro coraggioso, nel senso che forse Leali tentò di dare una svolta alla sua carriera proponendo delle canzoni ben diverse da quelle che aveva inciso fino ad allora. Diviso in due parti, nel primo lato possiamo ascoltare dei brani che sono un mix di prog e di suggestioni funk, mentre la seconda parte si apre con una bella ballata pop per poi proseguire con dei brani tratti dal repertorio classico della canzone napoletana, anche questi rielaborati in chiave rock jazz, se così si può dire.

In questo lavoro Leali si avvalse tra alcuni dei migliori musicisti in circolazione all'epoca:  Tullio De Piscopo alle percussioni, il grande Alberto Radius alla chitarra, Stefano Pulga alle tastiere, Stefano Cerri al basso e Mauro Spina alla batteria, senza dimenticare l'arte di Mario Convertino per la realizzazione della copertina.
Il risultato è notevole in particolare se pensiamo alle canzoni "medie" della musica leggera italiana: i brani del primo lato sono quelli più caratterizzanti l'opera, da un lato abbiamo delle canzoni che non rinunciano ad essere orecchiabili ma che al tempo stesso sono impreziosite da assoli in chiave jazz e talvolta, come in "Sono Donna", cantato insieme a Loredana Berté, fa capolino un assolo di sax che ricorda i territori della musica improvvisata in versione free.

Il bello del disco è proprio questo mischiarsi di generi diversi, non ha una direzione vera e propria, a volte penso che se Leali avesse osato di più ci saremmo trovati di fronte ad un capolavoro, messo così è comunque particolare e piacevole e dispiace che sia stato l'unico lavoro in cui Leali abbia "osato" qualcosa di più dai soliti stilemi.

Questa la lista dei brani:

1.   Augusto
2.   Sempre Piu' Distante
3.   Soli Non Si Puo'
4.   Un Amico Vero
5.   Fiore O Piante
6.   Sono Donna
7.   Di Sera
8.   Vierno
9.   Na Sera 'E Maggio
10. Sciummo
11. Scalinatella

    

lunedì 30 settembre 2013

VEDI "OMAR" QUANT'E' BELLO.....


Confido che mi perdonerete il titolo del post, visto che l'artista di oggi non c'entra niente con la canzone napoletana, tanto meno con l'opera; parleremo di soul invece, di soul a grana fine.
Omar è uno tra i più bravi soul man britannici ed oggi celebreremo il suo ritorno con un album uscito lo scorso giugno, dopo sette anni di stop. In questi sette anni il nostro ha avuto il tempo per essere insignito dell'ordine MBE dalla regina Elisabetta II - è diventato baronetto per meriti artistici - ed è diventato padre di due gemelle. "The Man", questo il titolo del suo nuovo lavoro, si avvale della collaborazione del bassista dei Jamiroquai Stuart Zenden e di Carol Wheeler già con i Soul II Soul. Un album che ci da modo di scoprire l'uomo Omar in una nuova luce - si è sposato e come detto è diventato papà - i testi delle canzoni  riflettono la maturità e il nuovo status raggiunto dall'artista, così come a livello musicale l'album è un caleidoscopio di stili in cui il nostro riesce a destreggiarsi con facilità. Si va dal soul direzione Motown, al blues,  alle suggestioni caraibiche del primo brano, fino al jazz-funk di "High Heels" suonato insieme alla Hidden Jazz Orchestra. Il brano che però ti manda al tappeto è il remake del primo successo di Omar dal suo primo album uscito 23 anni fa, "There's Nothing Like This", che vede al basso il grande Pino Palladino. Qui è bello notare come la voce di Omar sia sempre brillante come allora, quasi come il tempo non abbia influito sulle qualità vocali del cantante. Tirando le somme un disco come ci aspettava fosse fatto da Omar, senza correre rischi, ma che suona fresco come il disco dell'esordio.

venerdì 20 settembre 2013

NE SENTIVATE IL BISOGNO?



Sto preparando la recensione del nuovo album degli Earth Wind & Fire, "Now, Then and Forever", uscito lo scorso 10 settembre per celebrare il 40nnale della band e mi chiedo: ha senso un'altra reunion, tra l'altro di uno dei gruppi che più ho amato? Lasciata la band da parte di Maurice White per motivi di salute come dire l'anima del gruppo, gli EW&F ormai rimasti in tre, Philip Bailey, Ralph Johnson e Verdine White ritornano tra di noi dopo otto anni con un disco che cerca di rinverdire i fasti del tempo che fu; impresa molto ardua direi, per una band che ormai ha detto e bene tutto quello che c'era da dire sia in ambito soul, funk, jazz e pop, ovvero in quei generi che così sapientemente riuscirono a far stare insieme in una miscela esaltante come raramente è dato di ascoltare. Personalmente, pur non dispiacendomi questo nuovo lavoro, l'ho trovato abbastanza ininfluente per quanto riguarda la loro storia, mi spiego, se lo avesse fatto un novellino sarebbe tanta roba, ma pensando a quel che ci hanno regalato loro, beh, penso che potevamo farne anche a meno, specialmente se mettiamo la puntina sul secondo vinile allegato al nuovo disco: una raccolta dei loro brani del passato scelti da artisti fan della band. Qui l'ascolto si fa impietoso veramente, al punto che conviene non ascoltarlo nemmeno, se vogliamo dare un giudizio sereno sul nuovo lavoro. Un album che funziona molto e bene sulle ballad mid-tempo, su tutte "Guiding Lights", molto bella anche "Splashes" dalle atmosfere jazzate con retrogusto brasiliano. Insomma un disco che niente aggiunge e nulla toglie alla gloriosa storia degli Earth, Wind & Fire. 

martedì 17 settembre 2013

IL RITORNO DEI CALIBRO 35



Sono tornati e questa volta per l'etichetta italiana "Record Kicks" di Milano, la label più groove e funk del nostro paese. Per adesso gustiamoci l'anteprima del nuovo album della band in uscita il prossimo 21 di Ottobre, dal titolo "Traditori di Tutti". A tal proposito, vi dice niente il nome di Giorgio Scerbanenco? Si, perché il titolo del disco è tale e quale ad uno dei romanzi più belli e più amari del re del noir italiano, libro ambientato nella Milano degli anni 60, ed è il secondo romanzo del ciclo dedicato a Duca Lamberti, investigatore di polizia, una storia senza lieto fine che ti fa veramente respirare il clima freddo e nebbioso della città, seppur sapientemente tenuta sullo sfondo della trama. Tornando ai Calibro 35 il singolo che apre le danze del futuro album è "Giulia Mon Amour" un perfetto hipshake in linea con gli anni in cui il romanzo è stato scritto, groove uptempo rovente e un degno commento sonoro se casomai qualcuno si decidesse una buona volta a ricavare un film dal libro. Appurato che il romanzo è un capolavoro  e sperando che il disco lo segua a ruota, per l'eventuale film chi vedreste alla regia, Tarantino o Sorrentino ?

venerdì 13 settembre 2013

DOCTOR WU CLASSICS: TOTO and GEORGY PORGY


Oggi non doveva esserci questo post, avrei dovuto recensire un nuovo album, solo che, appena alzato ed accesa la radio, dall'altoparlante se ne esce questa canzone. Non sono mai stato un fan dei Toto, molto più del lavoro da turnisti di chi suonava nella band, non mi è mai piaciuto molto il loro rock a volte troppo semplicione e al limite del dozzinale, ma questo brano, perdio, basta e avanza per render loro onore e merito. L'intro del piano è qualcosa di sublime, così come lo stacco tra il ritornello ed il chorus e la sezione ritmica del brano è stata esempio di innumerevoli canzoni che hanno cercato di ripercorrerne le gesta senza riuscirci, penso a "Splendida Giornata" del Vasco nazionale. Mi sono sempre chiesto a cosa fosse riferita la Georgy Porgy del testo, ho letto in rete che la canzone è un omaggio a Gershwin, in particolare al suo capolavoro Porgy and Bess, non so, mi pare strano, so che il testo del ritornello è tratto da una canzone popolare inglese che si perde nella notte dei tempi, che Rudyard Kipling è autore di un racconto intitolato Georgie Porgie che si apre con il testo della canzoncina popolare, che lo scrittore Roald Dahl ha scritto un breve racconto intitolato sempre Georgy Porgy che parla delle strane "relazioni" tra un prete e le sue parrocchiane. Questo è quanto, se avete altre notizie a tal proposito, fatemele sapere.

 

mercoledì 11 settembre 2013

IL RITORNO DI JANELLE


Un'orchestra in stile morriconiano ci invita ad entrare nel mondo delle meraviglie del nuovo disco di Janelle Monáe, "The Electric Lady", seconda prova dell'artista afroamericana, dopo i fasti dell'acclamato "The Archandroid". Diciamo subito che il nuovo lavoro risulta essere più diretto rispetto al precedente, se lá avevamo un caleidoscopio di stili musicali molto diversi tra di loro,in questo le canzoni risultano più lineari all'ascolto, anche se non c'è un genere a prevalere sugli altri. Si inizia con un brano che da solo vale l'acquisto del disco: "Givin' em what they love" si avvale della collaborazione di un Prince in grande spolvero, come non sentivamo da tempo. Funk rock urbano della miglior specie, con la chitarra solista a spaccare in due il brano. Si prosegue con un'altra grande canzone e con un'altra collaborazione eccellente: "Q.U.E.E.N.", cantata insieme ad Erika Badu ci porta nei territori funk alla Parliament. Il disco però prende il volo con "Dance Apocalyptic", geniale e divertente dance song, seguita da un repentino cambio di sonoritá: "Look into my eyes" è puro sound cinematico, con echi di paesi esotici, poi una breve suite strumentale ci introduce alla più bella ballata soul dell'album: "It's code", canzone che ricorda le cose migliori degli Swing Out Sister (ebbene si! ) e mentre ancora siamo a godere del brano ecco arrivare l'omaggio di Janelle a Stevie Wonder con "Ghetto Woman", synth e basso in primo piano così come lo avrebbe inteso Stevie nostro. Si va avanti con altri brani che hanno nel pop non plastificato la loro ragione d'essere, spicca "Sally Ride" canzone che ricorda la prima donna americana nello spazio,  fino ad arrivare a "Dorothy Dandridge Eyes", canzone dedicata alla prima attrice afroamericana che abbia mai avuto una candidatura ai premi Oscar; questa volta è la divina Esperanza Spalding a prestare la propria bravura al servizio di Janelle. Non pensiate però che l'album sia un mero esercizio di stile: Janelle ha lavorato di fino anche sui testi, nel suo essere è anche un album ben connotato politicamente, sui diritti troppo spesso negati alla nazione afroamericana, e sul sessismo.  Un disco doppio, come usava una volta e venti canzoni che vi si attaccheranno addosso e vi consumeranno nella loro semplice bellezza fino alle barbe.


lunedì 9 settembre 2013

IL RITORNO DELLA "VOCE": GREGORY PORTER



Gregory Porter, l'uomo dalla voce che anche voi vorreste avere per parlare d'amore alla vostra bella, il crooner del nuovo millennio è di nuovo tra di noi con il suo nuovo album, il terzo ed il primo registrato per l'etichetta jazz per antonomasia, la Blue Note Records. "Liquid Spirit" il titolo e dai solchi del disco ci abbeveriamo davvero alla materia eterea che le note musicali sprigionano tutte intorno a noi. Questo nuovo lavoro di Porter non regala sorprese, se non quella di farci stupire di nuovo davanti alla bellezza della voce del cantante afroamericano, voce calda e coinvolgente, dalla tecnica impressionante ma che non viene mai usata per impressionare gli ascoltatori e quindi capace di emozionarti in maniera sottile, le canzoni sono tutte giocate nello stile della label statunitense, quindi grandi ballad e be bop distribuito a piene mani, in puro stile Tony Bennet ; sfuggono ai canoni la title track, una grande canzone tutta giocata in chiave gospel e la bella cover svolta in chiave funky groove di una hit dei '60ies, "The in Crowd". Nessuna sorpresa quindi, una conferma ed un disco così bello nella sua semplicità da far suonare e risuonare nelle prossime giornate autunnali questo si ! 
Ultra classico.
Voto 3/5

domenica 8 settembre 2013

SMOKEY E LE LACRIME DEL PAGLIACCIO


Curiosa la genesi di questa canzone: siamo a Detroit nel 1967, festa di Natale della Motown, immaginate un salone con dentro tutti gli artisti della label, tra questi Smokey Robinson e Stevie Wonder. Stevie si avvicina a Smokey: "Senti Smoke, ho scritto questo pezzo ma non riesco a trovare le parole giuste, ascoltalo e dimmi se ti viene in mente qualcosa". Smokey porta a casa il nastro, lo ascolta e lo riascolta, lo trova incredibile e si accorge che c'era una parte con una di quelle musichette da circo, ma è lampante che il futuro testo non avrebbe parlato di animali e trapezisti,  ma che in qualche modo sarà una storia che avesse a che fare con il mondo del circo. Una storia che fosse come una stilettata nel cuore. Una storia come quella narrata dal Leoncavallo, la storia di Pagliacci, il clown triste che rendeva tutti felici, Pagliacci che faceva ridere ma non aveva una donna che lo amasse come lo amava la gente che faceva ridere. Smokey decise quindi che la canzone avrebbe parlato di lui, la intitolò "Tears Of A Clown", la registrò con i Miracles nel 1967, fu messa in un album ma come singolo venne scartata a discapito di alcune hit che già avevano e quindi non uscì mai. Caso volle che nel 1970 una giovin signora inglese che lavorava per la Tamla Motown si imbatté nell'ascolto del brano e convinse gli inglesi a stampare "Tears of a Clown" per il loro mercato e questi divenne subito un numero uno nella classifica di vendite del Regno Unito. Fu quindi deciso di stampare il singolo anche per il mercato americano e ben presto schizzò al numero uno anche là. Quindi se abbiamo potuto ascoltare un siffatto capolavoro, lo dobbiamo alle feste di Natale della Motown, oltre che a Smokey e a Stevie, e alla giovin signora inglese, sure !


venerdì 6 settembre 2013

SESTO


Sesto su dieci. Questo è il piazzamento finale del mio blog al  contest "Targa Mei Musicletter - Indie Blog Award 2013". Come ricorderete questo blog fu inserito nella nomination dei migliori dieci blog musicali "personali" e questo bel risultato lo devo a voi che mi seguite, ai vostri voti e ai giurati del premio. Un grazie di cuore a tutti voi quindi e un grazie speciale alle "preghiere" di Mr. James Brown a cui mi ero appellato. A parte gli scherzi è un piacere stare in classifica in mezzo a fior di giornalisti che scrivono di musica per professione, quali Eddy Cilia, Federico Guglielmi e Paolo Vites, nell'ordine primo, secondo e terzo, Mauro Zambellini classificatosi appena dietro il mio blog, ma sopratutto è un piacere condividere con due amici di "tastiera" questo risultato: Antonio "Tonyface" Baciocchi, terzo classificato, e Luciano "Joyello" Triolo, con un immeritato decimo posto. 
 Grazie ancora e "keep the faith" !

Questa la classifica finale del "Miglior Blog Personale"

1. Venerato Maestro Oppure di Eddy Cilìa 
2. L’ultima Thule di Federico Guglielmi 
3. The Red River Shore di Paolo Vites
4. Tony Face di Antonio Bacciocchi
5. Musica, viaggi, cucina… di Paola De Angelis 
6. Doctor Wu di Leo Giovannini 
7. Zambo’s Place di Mauro Zambellini 
8. Fascino Rock di Sara Stella 
9. Onan Records di Luca Bettega
10. Fard Rock di  Luciano “Joyello” Triolo 

domenica 25 agosto 2013

GENERAZIONE COCKTAILS: "ALEXANDER" meet RAY CONNIFF and THE WAY YOU LOOK TONIGHT


Alexander, il primo cocktail che ho bevuto e uno dei più adatti per concludere nel modo migliore la giornata. E' un cocktail storico creato nel 1922 dal barman londinese Larry Mc Elhone, uno tra i più grandi miscelatori di bevande mai esistiti, si dice che sia stato inventato in onore di una famosa signora   dell'epoca, tale Mary Princess, unitasi in matrimonio nel lontano 1922 con un lord inglese. Il colore bianco del cocktail richiama l'abito della sposa e si dice che è una possibile rielaborazione del cocktail Panamà, che prevedeva come ingrediente base il gin al posto del cognac, cognac che è stato sostituito più recentemente con il brandy, meno nobile del distillato francese ma sempre buono come miscelabilità. Un cocktail da after-dinner, molto buono e bello caloroso, è stato per molto tempo il primo cocktail studiato nelle scuole alberghiere, poiché era il primo nella lista dei cocktail internazionali.

L' Alexander si prepara con 2cl di Brandy o meglio ancora con del Cognac francese, 2cl di Crema Cacao scura, se volete ottenere l'effetto del cocktail originale meglio la crema cacao bianca, 2cl di Crema di latte e opzionalmente della noce moscata da grattugiare. Va shakerato il tutto con del ghiaccio e servito nella coppetta a "V", eventuale grattugiatina di noce moscata, se vi piace.

L'artista da abbinare con al gusto vellutato dell'Alexander è l'orchestra di Ray Conniff, una guilty pleasure che mi porto dietro da una vita, da quando la passavano come intervallo tra una partita e l'altra in tv e da numerose pubblicità sulle tv locali. L'orchestra di Ray Conniff aveva la peculiarità, imitata ma mai eguagliata e superata di aver creato il "coro invisibile", cioè "quattro donne e quattro uomini le cui voci venivano abbinate in maniera perfetta a determinati strumenti". Ma ecco quello che ci dice lo stesso Conniff: "Non sono stato il primo ad usare le voci come strumenti, questo si fa nelle sinfonie classiche. Ma penso di essere stato il primo ad averle fatte correre parallelamente agli strumenti fino a confondere l'orecchio. Ad esempio trombe e voci femminili vanno insieme, poiché operano su una gamma di frequenze quasi identica, allo stesso modo le voci maschili si abbinano meglio con sax baritoni e tenori".

E se l'unica rivoluzione possibile in musica, adesso, sia quella di ascoltare la musica che ascoltavano i genitori ? Ovvero, "nel momento in cui il "rock alternativo" è diventato esso stesso mainstream da classifica, il suono che un tempo rappresentava il mainstream è divenuto profondamente alternativo.
Il recupero post moderno di questi suoni, creato in particolare da artisti che operano in ambito di musica elettronica usando samples o poco più, è stata forse l'unica arma da contrapporre ad un rock "alternativo" eternamente appiattito su antichi modi e antichi rituali".

Fonte: Mondo Exotica - Francesco Adinolfi - Ed. Einaudi

venerdì 23 agosto 2013

COCKTAILS GENERATION: "GRASSHOPPER" meet FIORENTINA, CATERINA VALENTE and JUAN CUADRADO


Oggi spero che vogliate concedermi una piccola soddisfazione, visto il risultato positivo del preliminare di Europa League che ha visto protagonista la mia squadra del cuore, la Fiorentina. Il cocktail "Grasshopper" però esiste davvero, non è stato creato certo ieri dal sottoscritto, dopo aver visto la partita, ma da un barman del club Crytirion di Londra intorno agli anni '30, che osservando in un prato vicino al locale una piccola cavalletta, ebbe l'ispirazione di creare un drink che avesse il colore del piccolo insetto e fosse altrettanto energico. Il cocktail è a base di tre creme: 1/3 di liquore di crema di menta verde, 1/3 di liquore crema cacao bianca e 1/3 di crema di latte, va preparato nello shaker (una bella shakerata, come la discesa di Quadrado ieri sera, per intendersi) con ghiaccio e servito nelle coppette a "V". E' un tipico after-dinner, molto buono, una sorta di "Alexander" modificato, e lo potete servire anche dopo i match di football.
Quale musica abbinare al "Grasshopper" ? Che ne dite di Caterina Valente e della sua Tik a Tee Tik a Tay ?

giovedì 22 agosto 2013

GENERAZIONE COCKTAILS: "MANHATTAN" meet LES BAXTER and JEWELS OF THE SEA


Non poteva mancare in questa rassegna estiva un drink con ingrediente il nobile distillato del whiskey.
Il cocktail in questione è il "Manhattan", uno dei drink più alla moda e più bevuti, in particolare come after dinner, anche se la presenza del vermouth rosso e dell'angostura lo identificherebbe come aperitivo, ma capite bene che farsi un whiskey prima di cena, purché camuffato, è opera da stomaci corazzati. Il "Manhattan" si dice sia stato creato nell'omonimo club di New York, dove nel 1870 durante un ricevimento tenuto da Jerrie Jerome, ovvero la madre di Winston Churchill, in onore del candidato alla presidenza Usa, Samuel Tilden. Il cocktail, creato dal Dott. Iain Marshall, divenne così di gran moda, grazie anche al successo del banchetto e così come in America, ebbe la stessa fortuna anche in Europa, prendendo il nome del club dove fu bevuto per la prima volta.Il "Manhattan" è uno dei drink più citati nei programmi televisivi ed al cinema, ad esempio in "A qualcuno piace caldo" vediamo Marilyn Monroe e le ragazze protagoniste della pellicola improvvisare un party nella carrozza del treno, preparare un "Manhattan" usando il Bourbon al posto del Canadian.
Anche Bart Simpson deve la vita al "Manhattan"; nell'episodio "Bart L'Assassino" verrà risparmiato dalla mafia di Springfield solo se riuscirà a preparare un "Manhattan" perfetto. Riuscendo nell'impresa, Bart diverrà poi il barman della mafia stessa.
Fonte: Mixstory, la guida professionale al mondo del bar.

Il "Manhattan" si prepara nel mixing glass mettendo come primo ingrediente una goccia di Angostura, poi  5/10 di Rye o Canadian Whiskey e per ultimo 3/10 di Vermouth Rosso, mescolare leggermente e servire in coppa a "V" decorando con una ciliegina rossa candita con gambo.

La musica di accompagnamento di oggi è del leggendario Les Baxter, re della musica così detta "lounge", perfetta per sorseggiare cocktails sul divano di casa e lasciarsi trasportare in luoghi tanto esotici quanto improbabili. Pioniere nell'uso del Theremin prima di chiunque altro, Les Baxter fu capace di creare dischi con delle partiture così complesse che niente avevano da invidiare ai compositori di musica classica. Il disco di oggi, se vi piace Ravel, è probabile che lo gradirete.

martedì 20 agosto 2013

GENERAZIONE COCKTAILS: "MARTINI" meet KOOP and SUMMER SUN


In principio fu il "Martinez", bevanda composta da gin e vermouth rosso. Come ci dice il fondamentale libro "Mondo Exotica" di Francesco Adinolfi, questo cocktail si perde nel tempo, si hanno le prime avvisaglie del drink già nel diciottesimo secolo, quando il compositore tedesco Johan Schwarzendorf era solito farsi servire una mistura composta dal Jenevier, distillato olandese progenitore del gin e vermouth rosso. La ricetta del drink si dice che abbia viaggiato a lungo fino ad arrivare sulle coste della California intorno al 1870, anno in cui si iniziò a parlare di due diverse denominazioni del cocktail, al quale nel frattempo era stato sostituito il Jenevier per il gin: Martinez e Martini.
Martinez era una cittadina californiana dove era solito recarsi un famoso cercatore d'oro dell'epoca che prima di mettersi in viaggio sostava presso l'Occidental Bar di San Francisco, regno del barman Jerry Thomas, il quale gli aveva servito un drink denominato "Martinez", in onore della città mineraria. Successivamente Thomas si trasferirà a New York, portandosi dietro la ricetta del Martinez, il quale diventerà poi noto come "Martini". La ricetta nel frattempo non cambiò, continuando a privilegiare il vermouth rosso. Dal 1891 però, ci fu un primo cambiamento ed alcuni barmen al posto del vermouth rosso decisero di utilizzare il vermouth francese Noilly Prat dando alla bevanda un sapore più asciutto.
E qui inizia un'altra storia: con l'inizio del ventesimo secolo infatti, la storia del drink si lega al nostro paese, ma non ha niente a che vedere con la ditta Martini & Rossi. Il merito del cocktail così come lo conosciamo oggi va ad un barman italiano di Arma di Taggia, tale Martini appunto, impiegato nel 1912 al Knickerbocker Hotel di New York, dove ideò il cocktail così come lo conosciamo oggi in onore di John D. Rockfeller. L'intuizione geniale fu quella di sostituire il Noilly Prat con il vermouth italiano Martini Dry, notevolmente più aromatico, grazie anche alle insistenze dei "martiniani" che esigevano un drink più secco. Per aggiungere ancora più mistero, va detto poi che ad Arma di Taggia non c'è traccia di famiglie Martini emigrate in America ed è molto probabile che lo stesso sia uno pseudonimo usato dal barman, probabilmente un componente della famiglia Queirolo, questa si emigrata dal paese ligure a New York nel 1911.

Anche il brano di oggi è legato inequivocabilmente al drink "Martini". Innanzi tutto, se osservate bene il video, vedrete che ad un certo punto appaiono nell'animazione prima il classico calice a "V" dove viene servito il Martini, e poi l'oliva infilzata nello stecchino, altro tipico ingrediente che si andò ad aggiungere nel tempo al drink. Poi la musica dei Koop: il duo olandese compone le sue canzoni come un cocktail, tutti i suoni che ascoltate, ad eccezione della voce, sono samples di altre canzoni e loro sono talmente bravi da averci costruito sopra delle canzoni da gustarsi come ci gustiamo un buon Martini.

Il Martini si prepara con tre parti di gin e mezza di Martini dry, va mescolato nel mixing glass insieme a 5/6 cubetti di ghiaccio e serviti nel calice a "V" precedentemente raffeddato. Servire con un'oliva verde e se volete, con una strisciolina di scorza di limone.

Una curiosità: lo scrittore Ernest Hemigway nel suo soggiorno veneziano si faceva servire da Giuseppe Cipriani, proprietario dell'Harrys Bar, un Martini modificato ribattezzato "Montgomery",  "perché voleva che fossero rispettate tra gin e vermouth le stesse proporzioni che il famoso generale inlgese era solito applicare in battaglia tra i suoi soldati e quelli nemici: quindici a uno".

lunedì 19 agosto 2013

GENERAZIONE COCKTAILS: IL "NEGRONI" meet PAPIK and THE PUZZLE OF LIFE


Se c'è un cocktail che più di altri identifica una nazione, questi è senz'altro il Negroni. Variante de L'Americano, poi vedremo perché, è stato creato grazie ad una intuizione del conte Camillo Negroni, assiduo frequentatore del Bar Casoni di Firenze, oggi Bar Giacosa (famoso anche per i suoi panini tartufati). Nel 1922 il conte Negroni suggerì al barman Fosco Scarselli di aggiungere al vermouth rosso e al Campari de L'Americano una parte uguale di gin: detto fatto, nasceva così il "Negroni", uno dei cocktail più "duri" che sia mai stato dato di bere. Le sensazioni che questo cocktail danno al palato sono eccezionali, per quanto mi riguarda la grandezza di questo cocktail fa strame dei drink modaioli che si sono affermati ultimamente, "mojito" e "caipirinha" in primis. Il "Negroni" ha avuto molta fortuna anche negli Usa, affermandosi come drink da "transition bar" ovvero quei locali di passaggio collocati vicino alle stazioni ferroviarie dove la fauna locale era composta principalmente da vedove in caccia di nuove prede o playboy che nell'attesa del treno puntavano nuovi amori. Il fascino del "Negroni" è ben descritto nella novella di Tennessee Williams "La primavera romana della signora Stone" dove la protagonista - una turista disorientata - entrava in un locale buio e si dava anima e corpo al drink: "Il gin cullato dal dolce vermouth rappresentava il desiderio di Mrs. Stone di sottrarsi al giogo della mezza età e aprirsi a giovani amori; il Campari, invece, con il suo caratteristico gusto lasciava presagire una fine amara". 
Inutile dire che ancora oggi, ovunque nel mondo, scorrono fiumi di "Negroni".
Da servire in un tumbler con 4 cubetti di ghiaccio, niente fettina di arancia e niente cannuccia per quanto mi riguarda.

Fonte: "Mondo Exotica" - Francesco Adinolfi, Ed. Einaudi 2000

domenica 18 agosto 2013

GENERAZIONE COCKTAILS: L'AMERICANO meet ASTRUD GILBERTO and CALL ME


Forse il primo cocktail inventato dal genio italico: prima del Negroni e del Bellini questo è stato il punto di riferimento alcolico per generazioni di nottambuli e viveur. Creato negli anni 20 a Milano, L'Americano era ed è composto da 5/10 di bitter Campari e 5/10 di vermouth rosso e il suo nome rimandava in modo esplicito allo spirito del tempo che guardava agli Stati Uniti come ad un possibile eden esotico lontano ma raggiungibile, si dice anche che il nome sia stato dato in onore del pugile italiano Primo Carnera che divenne campione del mondo dei pesi massimi giustappunto in America, a New York.  L'Americano viene presentato in un bicchiere "highball"  con ghiaccio, soda, una scorza di limone e mezza fetta di arancia. Ha avuto una variante nel corso degli anni con il "Milano-Torino", cocktail dove al posto del vermouth rosso veniva aggiunto il Punt-e-Mes (anche se alcuni dicono il contrario, ovvero che sia stato creato prima il MI-TO). L'Americano è stato il nostro cocktail più conosciuto e apprezzato all'estero, prima dell'avvento del Negroni, ma di questo parleremo domani.

sabato 17 agosto 2013

JIRO INAGAKI & HIS SOUL MEDIA - BREEZE


L'album da cui è tratto il brano di oggi, "Funky Stuff" release del 1974,  è stato per molti anni una chimera per molti appassionati di fusion, vinile pressoché introvabile è stato fortunatamente ristampato in cd da un paio di anni. Ci muoviamo su territori jazz-rock morbidi, Crusaders e Bob James i primi nomi che mi vengono in mente, il disco è giocato tutto sul sax del leader con una buona dose di tastiere fender rhodes e con la chitarra elettrica a rifinire il tutto. Un buon groove, metropolitano e notturno in questo superbo pezzo di oggi, l'album non è da meno e voglio segnalarvi anche una discreta cover di "Funky Stuff" dei Kool & The Gang. Che dire ancora, se non che i giapponesi su queste sonorità non sono secondi a nessuno.

venerdì 16 agosto 2013

SWING OUT SISTER: LOVE WON'T LET YOU DOWN


Eccoli, finalmente gli SOS approdano sul blog, e quale stagione migliore di questa per ri-ascoltarli. In sintonia con questi post agostani, il brano di oggi è tratto da "Where Our Love Grows", disco del 1984, piuttosto raro, perlomeno in Italia, dove gli SOS, se non per la cerchia dei fans, sembrano scomparsi. La ricetta è sempre quella, da godimento puro per gli amanti del pop di classe, la bella e potente voce di Corinne Drewery illumina un brano che è la summa del sound SOS: orchestrazioni che rimandano al pop british dei '60 - Dusty Springfield sulla soglia di casa -, suggestioni bacharachiane e quelle melodie che ti stendono al tappeto. E personalmente ogni nuova uscita della band (a proposito sono fermi dal 2008, anno di uscita di "Beautiful Mess") è una speranza di ritrovare quella magia che mi regalò "Kaleidoscope World"*, il loro capolavoro assoluto del 1989. Ne riparleremo, quando il freddo busserà di nuovo a queste latitudini e la voglia di sole e di caldo sarà pari alla voglia di ascoltare, di nuovo, gli Swing Out Sister.

*Tutto quello che è accaduto poi nel mondo del neo-pop o pop sperimentale alla Stereolab lo si deve a questo disco, che piaccia o meno.

giovedì 15 agosto 2013

UNA CANZONE: EVERY KINDA PEOPLE - ROBERT PALMER


Da come sorride sornione sul fronte della copertina, osservando due bikini "dimenticati" sul bordo piscina da delle signorine, si capisce che Robert Palmer era un tipo che la sapeva lunga. Per fortuna nostra non solo per quanto riguarda l'arte amatoria, ma anche in quella delle sette note; si perché l'album da cui è tratto il brano di oggi è uno dei capolavori del pop elegante e ultra-sofisticato.

Prodotto nel 1978 da Palmer insieme al genio di Tom Moulton "Double Fun" si muove sinuoso tra suggestioni giamaicane, blue eyed soul, funk bianco e rock da fm station, un miracolo verrebbe da dire, e miracolati da tanta bellezza furono quei pochi fortunati che ebbero la dote di ascoltarlo su qualche sparuta radio locale. 

Robert Palmer ebbe un momento di gloria anche qui da noi con il singolo "Johnny and Mary" uscito qualche anno dopo, e non poteva essere diversamente: un brano molto più semplice quindi anche più adatto alle orecchie dell'ascoltatore italiano medio, "Every Kinda People" è invece un pezzo da intenditori della materia, di tutte quelle persone (me compreso) che si venderebbero la mamma pur di riuscire ad ascoltare la canzone pop "perfetta". Qui direi che ci siamo quasi: il brano è un mirabile esempio di soul bianco, con inserti di musica caraibica, Marvin Gaye dietro l'angolo e un testo che parla di multiculturalismo prima che questa parola diventasse una moda.
Il quasi è per la prossima canzone che è ancora da scrivere.

mercoledì 14 agosto 2013

TAVARES: MADAM BUTTERFLY



Chiariamo subito: i Tavares con le arie di Puccini non c'entrano niente, anzi, in questo caso neanche con il titolo dell'opera, là era la "Madama Butterfly" qui si tratta di "Madam", l'unico tratto in comune magari è la professione della signora...
"Madam Butterfly" è il settimo album dei fratelli Tavares, datato 1979 ,  vede un netto distacco dalle atmosfere disco degli album precedenti; chiaro che arrivati a questo punto i nostri fratellini, già onusti di gloria e "vaini" (quattrini nel dialetto livornese) avessero voglia di cambiare registro, tornando a quelle sonorità soul/r'n'b degli esordi. Il brano di oggi ne è un bell'esempio, ballad svolta in mid-tempo, semplice e orecchiabile, è un po' il tratto comune dell'album, canzoni da gustarsi in santa pace con un bell'aperitivo in mano, lontano da discoteche e danzatori sudaticci, se poi avete la fortuna di essere sul bordo di una piscina, direi che siamo a dama.

martedì 13 agosto 2013

HAMPTON HAWES: J.B.'s HEAD



Oggi ci occupiamo di un "santo" del jazz, Hampton Hawes, pianista forse oggi dimenticato, ma che è stato uno dei nomi di punta del jazz nel momento del passaggio dal be bop a forme più accattivanti come il sound così detto "west-coast", quello per intendersi che ebbe in jazzisti quali Stan Getz, Gerry Mulligan e Chet Baker i loro nomi di punta. Il brano di oggi è tratto da un album del 1972, "Universe", dove possiamo ascoltare Hampton avventurarsi nel mondo della fusione del jazz con i groove funk, suonare il piano elettrico, l'organo e il synth, insomma una ulteriore conferma dell'apertura mentale del nostro. Album non di facile ascolto, ma assolutamente da rivalutare e uno degli ultimi del nostro, sorprende ancora oggi per la ricerca creativa che Hawes, da vero jazzista, perseguì in quegli anni, scontrandosi con i fans di vecchia data che lo avrebbero preferito nella più rassicurante versione di jazzman classico. Hamton Hawes ci ha lasciati nel 1977, non così, spero, la sua musica. 

lunedì 12 agosto 2013

KIMIKO KASAI: MMM MMM GOOD



Lasciate perdere la pronuncia inglese della signora che oggi fa bella presenza sul blog: non è questa la qualità che si richiede per cantare una bella canzone. Kimiko Kasai di qualità ne ha molte, oltre ad essere una bella signora, è stata una delle cantanti giapponese più rappresentative di quel genere che ben conoscete, a cavallo tra jazz, pop, soul, insomma si, chiamatelo westcoast o pop aor, il discorso non cambia. La canzone di oggi arriva dall'album "Love Talk" inciso dalla signora nel 1984, mirabile esempio di classe trasportata in musica. Kimiko Kasai adesso non canta più, se non in casa sua o per amici, in quanto dal 1990, data della sua ultima uscita discografica, si è data al design di gioielli, e forse non poteva che essere diversamente, dopo una carriera dedicata a cantare gemme come questa, ha pensato bene di tradurre in oggetti preziosi quello che ha cantato.

sabato 10 agosto 2013

SABATO CLUB: LA MUSICA SECONDO TOM JOBIM


Il sabato sera si va al cinema: direttamente dall'arena sotto le stelle, "La Musica Secondo Tom Jobim"
Buona visione e buona notte di San Lorenzo !

venerdì 9 agosto 2013

MARC SADANE: ONE WAY LOVE AFFAIR



Quella di Marc Sadane è una storia comune a quella di tanti altri artisti: parti con tutte le intenzioni di fare bene, hai una buon responso dalla critica, ma resti al palo. Di lui si trova poco in rete, quindi vi parlerò della sua splendida voce che accompagna questa splendida ballad: l'anno è il 1981, Sadane è appena uscito con il suo primo album (ne seguirà un altro "Exciting"nel 1982, poi chiuso) la produzione è di quelle giuste, Mtume/Lucas il duo che provò a far prendere il volo alla carriera solista di Marc. Niente di rivoluzionario, intendiamoci, soltanto un bel disco che ricalca qua e là lo stile urban del George Benson di quegli anni, quindi musica raffinatissima, gran gusto negli arrangiamenti, una voce, come detto, superba, un singolo che diresti adatto a scalare le classifiche. Che dite, poteva bastare tutto questo per fare di Sadane una stella? No, purtroppo, è già tanto che si trovano ancora i suoi dischi (i vinili ad esempio ve li tirano dietro, per il cd dovete sborsare fino a 135 euro). Quindi la voce, dicevamo: calda dalle molte sfumature, leggermente ruvida, ci trovo un po' di Teddy Pendregrass e un po' di Johnny Taylor, adattissima per questo tipo di ballad mid-tempo.
La ascolto da qualche giorno, questa canzone mi fa stare bene, spero lo sia anche per voi.

giovedì 8 agosto 2013

QUANTUM JUMP: NO AMERICAN STARSHIP


Prendete tre ragazzi britannici innamorati degli Steely Dan, pensate a questi con una spruzzata di prog e avrete i Quantum Jump. Ora, che siano stati innamorati della ditta Fagen/Becker lo penso io, questo perché ascoltando il brano oggi proposto ma anche l'omonimo album di esordio da cui è estratto, il primo pensiero che affiora è proprio quello. Il periodo poi era quello giusto, il 1976 (altri due album ci regaleranno poi i Quantum Jump, "Barracuda" del 1977 più marcatamente prog e "Mixing" che è sostanzialmente una compilation dei primi due album riarrangiati con sonorità più danzerecce) e la musica che girava intorno allora era anche quella. Rupert Hine, produttore, chitarrista e session man fu il nucleo portante della band, a cui si aggregarono il batterista Trevor Morais e il bassista John G. Perry, già componente dei Caravan (da qui forse quel po' di prog che si può trovare nell'album). Tre musicisti amanti del jazz e del funk mischiato con del buon rock, nati forse fuori tempo massimo, questi erano in sostanza i Quantum Jump. Cercate e ascoltate i loro dischi, (da discogs con 6 euro vi portate a casa il vinile del primo album) non ve ne pentirete.