Insomma, con Minako Yoshida è difficile annoiarsi: ogni suo disco è una scoperta.
Nata a Saitama il 7 aprile 1953, Yoshida si avvicinò alla musica durante gli anni del liceo, dove conobbe i musicisti Haruomi Hosono e Takashi Matsumoto, i quali le consigliarono di dedicarsi alla musica a tempo pieno. Nel 1969 formò una band, i Puff, che però ebbe vita breve. Dal 1973 iniziò la sua carriera da solista con un album prodotto da Haruomi Hosono, dando il via a una lunga serie di lavori: sono infatti ventitré gli album pubblicati da Yoshida, l’ultimo dei quali risale al 2019.
Minako Yoshida ha avuto due grandi passioni musicali: Carole King e, soprattutto, Laura Nyro. Tuttavia, nel corso del tempo, è riuscita con ottimi risultati a cimentarsi anche in brani funk e pop, caratterizzati da influenze West Coast.
In particolare, analizzeremo quattro album, che considero tra i migliori della sua discografia, per osservare come si sia evoluto il suo percorso artistico.
Nel 1977 Minako Yoshida pubblica Twilight Zone, (prodotto da Yoshida insieme al grande Tatsuro Yamashita) un album straordinario e il primo in cui l’artista riesce a realizzare pienamente la sua visione musicale, componendo brani influenzati dal soul, dal jazz e dal gospel. La somiglianza con le opere di Laura Nyro, in particolare con i suoi primi album, è evidente e rappresenta uno degli elementi distintivi del disco.
L’album è composto interamente da brani originali di Yoshida, caratterizzati da una base pianistica e da un’atmosfera introspettiva, arricchita da magnifiche aperture soul. Fiati e arrangiamenti orchestrali contribuiscono a creare un’intensità emotiva e un pathos che permeano tutto il lavoro. Per gli appassionati di Laura Nyro, Twilight Zone è un ascolto imprescindibile: difficilmente un’artista è riuscita a catturare così da vicino l’essenza della musica della cantautrice americana.
È difficile consigliare brani specifici, poiché ogni traccia brilla di luce propria. Tuttavia, meritano una menzione speciale: 駆けてきたたそがれ (Runner), intrisa di un’anima soul irresistibile; メロディー (Melody), con il suo sottile tocco gospel, dove organo e pianoforte si intrecciano alla perfezione con la voce di Yoshida; e soprattutto 恋は流星 (Shooting the Star of Love), scelto anche come singolo, un brano pop-soul straordinario e uno degli esempi migliori del City Pop.
Saltiamo a piè pari il 1978, anno in cui Yoshida pubblica l’album Let’s Do It, un lavoro fortemente influenzato dalla disco ma non del tutto ascrivibile a quel genere (altrimenti non sarebbe City Pop). Un album piacevole, senz’altro, ma preferisco concentrarmi su Monochrome, pubblicato nel 1980, che considero il capolavoro di Yoshida nonché uno dei migliori esempi assoluti del City Pop.
Come possiamo ascoltare, il genere è estremamente sfaccettato e capace di inglobare molteplici influenze, non essendo stato unicamente appannaggio dei cosiddetti “pop idol”. In Monochrome, le canzoni si sviluppano su una base pianistica; tuttavia, mentre in Twilight Zone il riferimento imprescindibile era Laura Nyro, in questo disco Yoshida affina ulteriormente la sua arte, consegnandoci un lavoro profondamente personale e introspettivo, arricchito da canzoni memorabili.
L’album è realizzato con l’apporto di soli sei musicisti, che riescono a catturare perfettamente le atmosfere notturne del disco, dove il pop si intreccia sapientemente con sfumature jazz da club, perfette per i nottambuli. Tutti i brani di Monochrome sono firmati da Yoshida, ad eccezione di Rainy Day, co-scritto insieme a Tatsuro Yamashita. Quest’ultima traccia è davvero straordinaria, con un mood notturno di grande suggestione. L’album contiene anche dei brani dove il funk inizia a fare capolino, come in Black Moon (notare le somiglianze con Going Back To My Roots) il blues come si può ascoltare nella ballad Sunset, poi ancora atosfere alla Carole King come ascoltabile in Airport e Mirage. Il funk ritorna in bello stile in Midnight Drive, un antipasto di quello che Yoshida realizzerà negli anni successivi.
Interamente prodotto da Yoshida, Monochrome, a costo di ripetermi, è un fottuto capolavoro.
FINE DELLA PRIMA PARTE
Artista a tutto tondo, bella questa prima parte.
RispondiEliminaSi, davvero una grande artista, è un vero peccato che la conosciamo in pochi. Sentire cantare in giapponese poi, per molti è un’ostacolo insormontabile. Grazie per l’apprezzamento!
EliminaNel commento precedente ho scritto Harmonia invece di Harmonica… sono io comunque :-)
Elimina