Inizia oggi “Drop the Beat”, una nuova rubrica dedicata alle novità discografiche di musica soul e generi affini (funk, fusion, R&B), senza dimenticare yacht rock e city pop. Appuntamento settimanale, ogni lunedì.
Dancing at the Edge of The World - Brooke Combe (2025, Modern Sky Uk)
Il risultato? Un disco fresco che ridà vita allo spirito delle serate all-nighters degli storici club britannici come il Wigan Casino e il Blackpool Mecca, trasformandolo in un linguaggio cucito sui nostri tempi. Mezz’ora di ritmiche incalzanti e passione senza compromessi: un esordio promettente – e se, come si dice, “il buongiorno si vede dal mattino”, c’è ancora speranza per un soul che non si arrende alle mode passeggere.
Voto 7+/10
A dieci anni dalla loro reunion e a ben 51 anni dal loro ultimo album, ritorna la band britannico caraibica dei Cymande, vero e proprio oggetto di culto per gli appassionati di musica black e fonte infinita di campionamenti da parte di rapper famosi.
Prodotto da Ben Baptie, Renascence unisce i fondatori Patrick Patterson (chitarra/voce) e Scipio ai fedelissimi Adrian Reid (tastiere) e Raymond Simpson (voce), oltre a una line-up stellare di sassofonisti (Denys Baptiste, Toni Kofi) e percussionisti. Il risultato? Un viaggio eclettico: dal groove claustrofobico di Coltrane ai ritmi dance di The Darkest Night, fino alla ballad soul di Only One Way (con la voce di Celeste). La copertina dell’artista ghanese Koby Martin completa l’opera: un’alba che simboleggia la rinascita, una colomba metamorfica avvolta in una corona d’alloro. Musicalmente, non vi aspettate del funk torrido: la vera "torridezza" risiede nei testi politici di critica sociale e speranza, nati dall’osservazione del materialismo contemporaneo ma sempre improntati a un messaggio ottimista. Ci sono voluti ben cinquant’anni perché i Cymande ottenessero il riconoscimento meritato: una band che ancora oggi rappresenta una fonte d’ispirazione per le nuove generazioni di musicisti.
Voto 7/10
Nyron Hygor, insieme a Bruno Berle, Batata Boy e Rogê, fa parte di una vivace nidiata di nuovi artisti dediti al rinnovamento della musica popolare brasiliana, la cosiddetta MPB (Música Popular Brasileira). Dopo l’esordio con un album auto-prodotto, acclamato da trendsetter del calibro di Gilles Peterson e Mr. Scruff, Hygor ha da poco pubblicato un nuovo disco per la prestigiosa etichetta Far-Out Recordings, realizzato in collaborazione con Berle, Batata Boy e la cantante Alici Sol.
L’album, che alterna brani strumentali a pezzi cantati, colpisce per la sua
delicatezza e l’emotività delle composizioni. Ispirato alle radici della musica popolare brasiliana, il progetto reinterpreta tradizioni sonore del passato con un tocco moderno, sfoggiando arrangiamenti raffinati e un’atmosfera sospesa tra nostalgia e innovazione.
Hygor predilige toni personali e intimistici, che hanno il pregio di parlare direttamente all’ascoltatore, trascendendo confini culturali. La sua è una musica contemplativa, dove ogni nota e ogni silenzio sembrano custodire storie universali. Un lavoro che non solo omaggia le eredità della MPB, ma le ridisegna con una sensibilità contemporanea, confermando Hygor come una delle voci più autentiche e promettenti della scena brasiliana odierna.
Voto 8/10
L’etichetta di Snoop Dogg, la Death Row, si è recentemente distinta con produzioni che pescano a piene mani nel soul anni ’70. Ne sono la riprova i progetti di London October e Chooc, e ora anche il nuovo album di Charlie Bereal si inserisce in questo solco.
Arrivato al terzo disco dopo sei anni di attesa, BeReal regala un lavoro in cui le influenze di icone come Curtis Mayfield e Marvin Gaye traspaiono nitide, complice un cantato in falsetto che omaggia l’epoca d’oro del genere.
La prima parte del disco si mantiene su alti livelli: spicca Never Gonna Take Away My Love, brano in piena ottica Delfonics che sembra un outtake riscoperto, mentre The Greatest calca con grazia l’atmosfera malinconica degli Stylistics.
Se nella seconda parte l’album perde un po’ di slancio, con qualche traccia meno memorabile, l’opera nel complesso convince, trasformandosi in un ponte ideale per avvicinare le nuove generazioni ai miti soul che Bereal celebra con devozione.
Voto 7/10
Ritorna l’ex cantante del duo Charles & Eddie dopo il buon esito di Sundown, album pubblicato nel 2023. Se nel precedente lavoro Chacon aveva navigato tra R&B contemporaneo e sfumature di soul classico, stavolta punta decisamente sul retro-soul, ispirandosi alla vena introspettiva di Marvin Gaye ascoltata in album come Here, My Dear. A differenza di altri omaggi al passato, però, l’artista evita nostalgie strumentali o produzioni “vintage”, innestando invece un mood R&B attuale, essenziale e pulito. Il risultato è un progetto solido, anche se non privo di limiti: persiste una certa monocordia emotiva, e manca un brano-icona in grado di risvegliare l’ascoltatore dalla nebbia ipnotica che avvolge le tracce. Nonostante ciò, il disco si conferma piacevole, perfetto per serate intime in compagnia dei propri pensieri. Da lodare la scelta della durata: otto brani per 29 minuti, una lezione di essenzialità per gli artisti R&B che spesso ci sommergono con album mostruosamente lunghi.
Voto 7-/10
Hurry Up Tomorrow - The Weeknd (2025, The Weeknd XO Music ULC)
Ho molta stima per il canadese Abel Tesfaye e per la sua creatura The Weeknd, artista che spero riesca sempre a stupirmi. Hurry Up Tomorrow è il suo ultimo album, a chiudere la trilogia iniziata nel 2020 con After Hours e proseguita con Dawn FM nel 2022. Devo ammettere, però, che così come per i precedenti lavori, anche questa volta le aspettative sono state disattese. Un vero peccato, perché le potenzialità per creare qualcosa di più sostanzioso ci sarebbero state, eppure Tesfaye continua a indugiare in manierismi e in un pop che a tratti sfocia nel dozzinale. I momenti migliori? Arrivano quando attinge agli anni d’oro dell’R&B e del soul anni Ottanta, o quando “saccheggia” il repertorio di icone come MJ e Prince. Per non parlare della durata: un’ora e venticinque minuti in cui troppi brani invitano a premere “skip”, nonostante qualche sprazzo d’ispirazione. Apprezzabile, ad esempio, il campionamento in un brano di Wild Is the Wind di Nina Simone, ma nel complesso è troppo poco per riscattare l’ascolto. Il talento di Tesfaye è innegabile, eppure resta intrappolato in testi autoreferenziali e in scelte musicali che raramente osano oltrepassare il già sentito. Peccato: basterebbe più coraggio per trasformare un battito d’ali in un volo.
Voto 5/10
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