giovedì 27 aprile 2023

Dinner Party - Enigmatic Society

Pensa di essere come il cuoco Giorgione davanti ad un mixer: al posto di carote, cipolle, sedano e prezzemolo mettici dentro Robert Glasper, Kamasi Washington, Terrace Martin e 9th Wonder frulla e fai una purea. 

Il risultato non sarà un mix per soffritto ma un disco degli Enigmatic Society prodotto dalla Sounds of Crenshaw dal titolo “Dinner Party”. Ma è buona ‘sta cosa? Funziona? 

Beh, intanto partiamo dicendo che ti dovranno bastare 9 tracce per 25 minuti, tanto quanto dura l’album per capire se la ricetta ha basi solide o non sia altro come quei piatti scenografici dalla poca sostanza. 

Come in tutte le produzioni in cui è presente Robert Glasper le canzoni iniziano a gonfiarsi promettenti per poi afflosciarsi come torte mal lievitate, come essere in presenza di prove in essere più che di brani compiuti. 

Che nonostante la presenza di quattro presunti geni della musica, mano a mano che il disco va avanti hai come la sensazione di essere preso per il culo, e a niente serve il sample di “I Can Go For That (No Can Do) di Hall & Oates contenuto in “Can’t Go” a risollevarne le sorti, anzi, ti fa venire una immanente voglia di andare ad ascoltare l’originale. 

Quello che trovo incomprensibile, ma non poi più di tanto, è il voto affibbiatogli da Pitchfork, un bel 7.6, per un lavoro che pare fatto da un gruppo di amici in botta al risveglio, dopo una serata passata a scolare vodka e Lexotan. 

Così “Dinner Party” scivola via come come un’onda che si ritira dalla sabbia, resta un senso di incompiutezza e di tanto spreco per tutti quei talenti messi insieme. 

Come bruciare un soffritto, per l’appunto 


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lunedì 24 aprile 2023

Dancing Around Fire - Tommaso Cappellato

I

Allora, "Dancing Around Fire" di Tommaso Cappellato, batterista di origine italiana di stanza a Los Angeles, è uno di quegli album che ti fa venire voglia di gettare il tuo giradischi dalla finestra e poi andare in giro per la città in cerca di una nuova direzione musicale. Cappellato, che è anche gestore dell’etichetta Domanda Music, ha collaborato con il collettivo italiano di breakdance “Pavimento Fertile” per creare un disco di dance cosmica. 

La batteria di Cappellato è il fulcro dell'album, un fulcro che ruota come una ruota di fuoco che incendia tutto ciò che tocca. Le percussioni tribali, i loop elettronici, i bassi pulsanti, il piano elettrico, gli effetti sonori che sembrano provenire da un'altra dimensione - tutto si unisce per creare un'esperienza musicale che è al tempo stesso primordiale e futuristica. Ma ciò che rende "Dancing Around Fire" così speciale è la capacità di Cappellato di fondere questi elementi in modo naturale e spontaneo, creando un'atmosfera che è allo stesso tempo intensa e rilassata, frenetica e meditativa. Si può ballare, si può riflettere, si può lasciare che la musica ti prenda e ti porti dove vuole.

E, naturalmente, ci sono le tracce individuali. La title track è una una tempesta di suoni tribali ed elettronici che ti travolge e ti trascina con sé. "Heart To Mend" è un brano delicato e malinconico, che ti fa pensare a luoghi lontani e sconosciuti. "Battle Moves" è un'esplosione di energia e passione che ti fa venire voglia di ballare fino all'alba. E "Under The Moon" è un finale inebriante e soddisfacente, che ti lascia con una sensazione di pace e di riflessione. 

L’album si avvale della collaborazione della cantante Lalin St. Juste, dai fondatori di King Pari, DJ Stepmom e Cameron Kinghorn, dal sassofonista Michael Blake e dal bassista Andrea Lombardini. "Dancing Around Fire" è un album che va ascoltato e riascoltato ancora. È un lavoro che ti fa capire che la musica non ha limiti, che le convenzioni sono fatte per essere infrante e che la creatività può portare a risultati straordinari. Tommaso Cappellato è un artista che va tenuto d'occhio, e questo album è la prova del suo genio musicale.

👉 https://tommasocappellato.bandcamp.com/album/dancing-around-fire👈

venerdì 21 aprile 2023

Agua - Lapa Dula

Da qualche anno stiamo assistendo ad un revival del Neapolitan sound, grazie alla riscoperta di artisti dimenticati dal tempo, come ad esempio Enzo Cervo, o nei nuovi album di musicisti quali i Nu Genea. 

Casca a fagiolo quindi questo primo album di Lapa Dula, aka Alessandro La Padula, “Agua”, pubblicato per l’etichetta Early Sounds Recordings. 

Se me la passate, Lapa Dula, come il calciatore quasi omonimo Lapadula, riesce a mettere a segno una prestazione convincente e segna un bel gol. 

“Agua” è un viaggio indietro nel tempo, e raccoglie appieno lo spirito del sound napoletano della metà degli anni 80, ci riporta dentro a quel melting pot culturale e sociale che rimane ad oggi una delle migliori scene musicali che l’Italia abbia mai partorito. 

Produzione scintillante e precisa, bassi profondi che ti prendono allo stomaco, un sound precipuamente mediterraneo che mescola sapientemente funk, world music, melodia, disco e suggestioni balearic. La chitarra che ascoltiamo in “Scemanfu” mi riporta alla memoria quella che già fu in “Tutta ‘nata storia” di Pino Daniele e credete è davvero un bel colpo basso a tradimento che fa struggere il cuore. 

“Agua” è un viaggio dentro sensazioni ed emozioni dimenticate, oltre l’estetica Lapa Dula con questo lavoro è riuscito a far vibrare le corde giuste e la durata di appena ventisette minuti, che mi induce a rimettere l’album da capo, è troppo breve e si ha come la sensazione di essere cacciati da un ristorante quando arriva il dolce. 

Personalmente ritengo “Agua” di una spanna migliore a prodotti simili e tornando a paragoni calcistici, Lapa Dula batte Nu Genea per 3 a 0. 


👉 https://youtu.be/eCTD9lzLfCc👈

giovedì 20 aprile 2023

On Days Like These - Matt Monro

Matt Monro, pseudonimo di Terence Edward Parsons, noto come "The cockney Sinatra", è stato uno dei cantanti britannici più sottovalutati degli anni '60, nonostante abbia ottenuto un discreto successo nel suo paese natale. Era un crooner atipico, non sussurrava le sue canzoni, non aveva uno stile cosiddetto confidenziale, ma con la sua voce baritonale riusciva a dare una personalissima interpretazione degli standard, influenzando notevolmente il grande Scott Walker. George Martin ha dichiarato che Matt Monro è stato il miglior cantante con cui abbia mai lavorato, mentre il critico Fred Dellar sulla rivista Mojo nel 2010 lo ha definito il miglior cantante di standard del Regno Unito. Matt Monro ottenne successo e consensi in America prima dei Beatles, e le sue canzoni meriterebbero di essere riscoperte anche qui da noi. 

Il lato oscuro di Monro, che lo portò alla morte per cancro al fegato nel 1985 a soli 54 anni, fu dovuto all'eccessivo consumo di alcol e alle troppe sigarette. Nonostante ciò, continuò a registrare dischi e a tenere concerti finché la sua salute lo permise. 

Scoprii Monro grazie a una delle numerose compilation di lounge music degli anni '90, e il brano che mi colpì fu "On days like these", l'apertura della colonna sonora del film "The Italian Job", uscito nel 1968. Questo brano è stato uno dei più belli del suo tempo, scritto da Quincy Jones, e Monro lo eseguì con un'interpretazione delicata e sensibile, senza eccessi, ma sfruttando appieno la sua unica e straordinaria voce. 

Altre canzoni da ricordare per comprendere l'importanza di questo artista sono "Born Free", "From Russia With Love", colonna sonora dell'omonimo film, e "Walk Away". Se siete appassionati di questo genere musicale o semplicemente desiderate approfondire l'argomento, vi consiglio di iniziare da queste canzoni.




mercoledì 19 aprile 2023

Bussin’ - Devin Morrison


Nel gergo di Miami, "Bussin'" significa "gustoso" ed è l'aggettivo che accompagna le undici canzoni dell'album di debutto di Devin Morrison. Il suo obiettivo ambizioso è quello di riportare in vita la vecchia scuola dell'r'n'b, con una predilezione per il genere noto negli anni Novanta come New Jack Swing, di cui sono rimaste poche tracce, se non per alcuni artisti come Keith Sweat e Kenny Lattimore.

Devin Morrison, nativo di Orlando, polistrumentista e figlio d'arte (suo padre Dahvi è chitarrista), ha creato un disco che si è subito inserito nelle mie playlist. Questo album è caratterizzato da arrangiamenti vocali eccezionali, una ricerca costante della melodia più raffinata e di classe, e groove che ti trasportano in atmosfere notturne, regalandoti una sensazione di lussuria.

Potresti pensare che sia un album perfetto per accompagnare momenti romantici, ma non disprezzatelo per questo. Provatelo e capirete che ascoltare musica dei Tool o di Jovanotti mentre cercate di creare un'atmosfera romantica non è la scelta migliore.
Ciò che rende speciale Devin Morrison è la sua capacità di suonare in modo attuale mentre attinge a un passato nostalgico e idealizzato, evitando quella sensazione di déjà-vu che spesso si prova con la musica black contemporanea. In altre parole, questo album non ti farà venire voglia di passare alla prossima traccia dopo un po'.

Il viaggio musicale inizia con "It's Time" e continua con "With You," una collaborazione con Joyce Wrice, che conferma il mid-tempo come elemento chiave per chiunque voglia esprimere romanticismo attraverso la musica.
Nonostante le influenze del passato, Devin Morrison rimane al passo con il presente, come dimostrano brani come "Guaranteed," con la partecipazione del rapper Ace Hashimoto, e "The Struggle Iz Real," con Daz Dillinger. Ma è con la meravigliosa "The Call (407)," in collaborazione con We are KING, che l'album raggiunge l'apice, avvicinandosi alle migliori produzioni dell'r'n'b degli ultimi anni.

Mentre "No" è un omaggio a D'Angelo, la traccia principale sottolinea la maestria vocale di Morrison, anticipando un altro punto forte dell'album: "Fairytale," duetto con Lakks Mable, che richiama i tempi in cui Morrison cantava il gospel nella sua chiesa di città.
L'album si conclude con "Love Yourself," caratterizzata da bassi e beat profondi e un'altra impressionante esibizione vocale di Morrison, che rappresenta il culmine di un lavoro suonato, arrangiato, prodotto e cantato in modo impeccabile.

👉https://youtu.be/TnKwZI5Q0XQ👈

martedì 18 aprile 2023

You’re The Man - Marvin Gaye


Immerso nelle pieghe del tempo e distillato come le gocce di un liquore nel corso degli anni, nel 2019 finalmente è emerso "You're The Man", l'album perduto di Marvin Gaye che era stato originariamente previsto per il 1972, come seguito del monumentale "What's Going On".

In realtà, non è un vero album perduto, poiché alcune delle canzoni contenute qui sono state pubblicate in raccolte successive nel corso degli anni. Tuttavia, in questo album possiamo ascoltare per la prima volta alcune tracce inedite. "You're The Man" è stato un progetto estremamente travagliato che inizialmente doveva rappresentare un seguito musicale e politico a "What's Going On". Doveva essere un lavoro ancora più radicale rispetto all'album che aveva portato Marvin Gaye al successo, nonostante l'opposizione di Berry Gordy, il capo della Motown.

Il singolo "You're The Man," pubblicato nell'estate del 1972 durante la campagna elettorale presidenziale vinta da Richard Nixon, doveva essere un assaggio delle intenzioni politiche di Gaye e una critica diretta alla politica del governo americano dell'epoca, colpevole, secondo l'artista, di non rappresentare gli interessi del popolo. La canzone incoraggiava i potenziali candidati a impegnarsi sinceramente per risolvere i problemi della gente e correggere le azioni della precedente amministrazione di Lyndon Johnson. Musicalmente, la canzone aveva la stessa struttura di "Inner City Blues."
Se "What's Going On" aveva turbato Berry Gordy ma aveva anche permesso a Marvin Gaye di ottenere maggiore autonomia creativa, il singolo "You're The Man" e il suo relativo insuccesso (che raggiunse solo il settimo posto nella Top 20 di Billboard) furono una scusa per Gordy per esercitare pressioni su Gaye e farlo ripensare, portando alla chiusura del progetto.

Tuttavia, "You're The Man" aveva inizialmente buone intenzioni e una serie di idee da parte di Gaye, forse troppe, tanto che ascoltando l'album oggi sembra come se stessimo assistendo a un flusso di pensieri direttamente dalla mente dell'artista. Le pressioni della Motown avevano evidentemente reso Gaye incerto sulla direzione da dare all'album.

L'album sembra diviso in due parti: le tracce che erano chiaramente parte del progetto originale si trovano all'inizio e alla fine, mentre nel mezzo ci sono alcune ottime canzoni che sembrano scollegate dal resto, seguendo lo stile tradizionale della Motown aggiornato al 1972.
Le tracce iniziali come "You're The Man" e "The World Is Rated X" con il loro ritmo funk e groove conga continuano il discorso iniziato con "Inner City Blues", con testi ancora più crudi e politici. Questi brani rappresentano probabilmente l'essenza del disco come avrebbe dovuto essere. Possiamo aggiungere anche la bellissima ballata gospel "Piece Of Clay", in cui Gaye esprime la sua frustrazione e il dolore per l'incapacità delle persone di amarsi al di là delle loro credenze.

Nel mezzo dell'album, come ho detto, ci sono alcune notevoli canzoni soul pop, principalmente scritte da Willy Hutch e interpretate splendidamente da Gaye. Queste tracce testimoniano i vari progetti che Gaye aveva in mente e che, probabilmente a causa dell'opposizione di Gordy, hanno portato all'abbandono dell'album. Alcune di queste tracce, come "My Last Chance", "Symphony" e "I'd Give My Life For You," sono state remixate da SalaAM ReMi (noto produttore di Amy Winehouse, Fugees e NAS), ma questi remix, secondo me, non aggiungono nulla alle tracce originali che erano già perfette.
Alla fine dell'album, ritroviamo il filo conduttore delle prime tracce, con brani come "Christmas In The City," "I'm Going Home," e "Checking Out (Double Clutch)" che sfoggiano funk e ci permettono di apprezzare appieno la band che ha partecipato all'album, inclusi i contributi chitarristici distintivi di Hamilton Bohannon.
Il fallimento del progetto, che non vide mai la luce, e i problemi personali di Marvin Gaye, che lo tormentarono per il resto della sua vita, lo portarono in una direzione artistica diversa. I suoi successivi lavori, come la colonna sonora di "Trouble Man" e l'album ad alto contenuto erotico "Let's Get It On," segnarono un cambiamento nella sua carriera.

In ogni caso, il momento giusto per riascoltare "You're The Man" è ora, dimostrando quanto Marvin Gaye fosse avanti rispetto ad altri artisti e come abbia ispirato successi futuri, come Stevie Wonder, che ha raccolto il suo testimone. Berry Gordy, d'altra parte, è rimasto ancorato alla ricerca di denaro e successo, ignorando la sperimentazione e il cambiamento.


👉https://youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_kSqiow3Icc4bUL_a-0HBGP20KWmRdfet8



lunedì 17 aprile 2023

Romantic Times - Louis Baloue



Vi hanno mai raccontato, da bambini, storie di mistero d’inverno, seduti davanti a un caminetto mentre il legno scoppiettava? E se sì, ci credevate? Beh, io sì, e scommetto che anche voi. Ora, immaginatevi di tornare indietro nel tempo, mettete da parte gli smartphone e, per il tempo di una canzone, ascoltate questa storia.


La nostra storia inizia nel 1983, ma potrebbe anche essere cominciata nel 2014, ma non importa, spiegheremo il perché più avanti. Il protagonista di questa storia potrebbe essere un fantasma o forse una persona in carne e ossa, ma questo non è così importante.


Come chiameremo il nostro personaggio principale? Lewis, Lewis Baloue o Randy Wullf?


Cominciamo con Lewis, un ricco playboy canadese biondo con una passione per la musica. Nel lontano 1983, forse, arrivò con la sua Mercedes bianca decappottabile in uno studio di registrazione a Los Angeles (uno studio solitamente frequentato da band di hardcore punk) per realizzare un sogno: registrare un disco “private press” sotto l’etichetta RAW, che è l’acronimo di Randall A. Wullf, e che potrebbe essere il vero nome del milionario canadese. Questo disco sarebbe diventato noto come “L’amour”, una collezione di dieci canzoni con melodie decadenti, cantate con una voce fragile e intima, accompagnate da un sottofondo ultraminimalista di pianoforte, chitarra e sintetizzatore.

“L’Amour” è stato riportato alla luce nel 2012,  grazie a una o due copie esistenti, e poi è stato ristampato in digitale e su vinile nel 2014 dall’etichetta Light In The Attic, diventando uno dei casi musicali dell’anno e uno dei migliori dischi del 2014. Senza dubbio, eravamo più maturi musicalmente per apprezzare un disco del genere, ma ne parleremo ancora.


La storia finisce qui? Neanche per idea. Pochi mesi dopo il ritrovamento di “L’Amour”, compare un annuncio su eBay di un disco venduto a 1725 dollari, estremamente raro, si dice che ci siano solo una o poche copie. In realtà, le copie erano tre: la seconda è stata trovata nel caveau di un collezionista di dischi e DJ di nome Kevin “Sipreano” Howes a Vancouver, mentre la terza è stata ritrovata in un negozio di dischi di Calgary. Sulla copertina del disco, intitolato “Romantic Times”, c’è un signore biondo in un completo doppio petto bianco con un sigaro tra le dita, sullo sfondo una Mercedes decappottabile in stile Miami Vice e un jet privato. Il nome sull’album non è più Lewis, ma Lewis Baloue, e sì, con un’occhiata più attenta, è lo stesso Lewis che era sulla copertina di “L’amour”.


A questo punto, la Light In The Attic annuncia al mondo la scoperta del secondo lavoro del misterioso Lewis, dichiarando la sua intenzione di digitalizzarlo e ristamparlo. Ma non ha considerato l’idea che alcuni potrebbero pensare che questa storia sia una bufala. Molti appassionati e collezionisti pensano che tutto questo possa essere un inganno costruito ad arte. Tuttavia, la serietà della Light In The Attic non è in discussione, quindi, pur con un iniziale scetticismo, possiamo accettare la versione dell’etichetta discografica.


E ora, com’è “Romantic Times”, vi chiederete. Se “L’amour” rappresentava un territorio di ascolto che poteva essere compreso anche trent’anni dopo la sua creazione, “Romantic Times” lo rende ancora più complicato. Qui, l’uso di synth e drum machine è predominante rispetto al lavoro precedente, con sporadiche apparizioni di pianoforte, sassofono e chitarra acustica. La voce di Lewis è ancora più sofferente e quasi impercettibile, come se provenisse da un fantasma in una sala di registrazione che improvvisamente decidesse di cantare. “We Danced All Night” è un esempio paradigmatico: una sorta di “Strangers in The Night” alla Sinatra, ma cantata da Lewis come se fosse sotto l’influenza di sostanze.


La canzone, così come le altre, ha un effetto ipnotico. All’inizio ti chiedi cosa stai ascoltando, ma non riesci a staccarti, anzi, una volta finita, non vedi l’ora di ricominciare. Il termine che viene in mente è “straniante”, e questa è probabilmente la parola più appropriata. E’ anche malinconico, come se la vita di Lewis non fosse andata esattamente come aveva sperato. Questo disco sarebbe perfetto come colonna sonora per un film di David Lynch.


Una nota a margine su “Romantic Times”: il fotografo che ha scattato la foto di Lewis Baloue sulla copertina sta ancora aspettando il pagamento per il servizio fotografico.


Abbiamo raggiunto la fine della storia? Neanche per sogno. Poco dopo il ritrovamento di “Romantic Times”, gli investigatori della Light In The Attic sono riusciti a trovare Lewis Baloue, che ora si chiama Randy Wulff. Gli è stato raccontato tutto ciò che è successo con i suoi dischi e le loro nuove vite. Gli è stata offerta una copia delle ristampe in CD e le royalties per le vendite effettuate, ma Wulff sembrava disinteressato al suo passato e ha rifiutato entrambe le offerte.

Il mistero di questa storia rimane intatto. E, se non lo sapete già, c’è anche un terzo album di Randy Wulff, ma non ho ancora avuto l’opportunità di ascoltarlo. La magia di “Romantic Times” e delle sue ripetute ascolti mi ha fatto dimenticare tutto il resto per almeno una settimana.





domenica 16 aprile 2023

Blow By Blow - Jeff Beck

Siamo a metà degli anni '70, e Jeff Beck non aveva più bisogno di dimostrare nulla a nessuno, specialmente nel campo del rock. Pertanto, quale scelta migliore se non quella di pensare prima di tutto ai propri fan e decidere di abbracciare un genere che gli permettesse di esprimere appieno la sua tecnica e la sua creatività? Quindi, cosa c'era di meglio se non passare alla fusion o al jazz-rock, come si suol dire? Se ci pensate bene, uno dei generi più trascurati ha vissuto la sua epoca d'oro negli anni '70, con il contributo fondamentale di Miles Davis e il suo "Bitches Brew", seguito da una serie di adepti di questa rivoluzione musicale, tra cui George Duke, Billy Cobham, e la Mahavishnu Orchestra, solo per citarne alcuni.

In "Blow By Blow", Jeff Beck definisce la fusion, mettendo temporaneamente da parte il rock per abbracciare il funk-jazz e i suoi derivati, presentando un album interamente strumentale prodotto da George Martin. Tra i suoi compagni di avventura, al servizio della chitarra di Beck, troviamo Max Middleton alle tastiere e al piano elettrico, Richard Bailey alla batteria e alle percussioni, e Phil Chenn al basso.

Quello che rende speciale questo album, oltre alla maestria di Beck alla chitarra, è che a differenza di altri album fusion, non risulta pesante, scorre con una leggerezza ammirevole, e ti viene voglia di ascoltarlo di nuovo non appena si conclude. Questa sensazione deriva dal divertimento che traspare dalla musica, da una band coesa in cui la sezione ritmica è al servizio del protagonista.

Scegliere i brani migliori in un disco che brilla come un diamante è un compito difficile, ma posso dirvi che ho provato un vero piacere nell'ascoltare "Scatterbrain", un brano che dovrebbe essere preso come esempio da chiunque voglia formare una band, di qualsiasi genere, solo per far comprendere il senso di coesione tra i membri. Inoltre, qui troviamo un magnifico arrangiamento orchestrale a cura di George Martin. Molto interessante anche la rivisitazione di "She's A Woman" dei Beatles, in una versione curiosa che mescola reggae e funk.

Tuttavia, il brano che emerge come un capolavoro è "Cause We've Ended As Lovers", scritto da Stevie Wonder; qui, la chitarra di Beck canta in modo tale da superare qualsiasi voce umana, è come un viaggio verso le profondità dell'animo umano, le note che emergono dalla chitarra sono un lamento struggente che trascina l'ascoltatore in un vortice di emozioni pure.

Non posso non menzionare "Freeway Jam", un brano che ha contribuito a definire il canone della fusion, con gli assoli straordinari di Beck e un riff che dovrebbe essere motivo di condanna a vita per chi non conosce questa canzone.

Qui mi fermo, per non sembrare troppo appassionato nei confronti di questo album, ma non prima di sottolineare la bellezza del brano che chiude l'album, "Diamond Dust", che rappresenta ancora oggi, quasi cinquant'anni dopo la sua pubblicazione, la luce nascosta da tirar fuori quando tutto intorno a te sembrano esserci solo tenebre.





venerdì 14 aprile 2023

Extentions - The Manhattan Transfer

La copertina dell'artista giapponese Taki Ono, che raffigura il gruppo vocale in uno stile art-deco futuristico, dice già molto. Questo album, "Extensions," fu un rilancio per i quattro Manhattan Transfer dopo la delusione e le scarse vendite del loro album precedente, "Pastiche." È stato un segno predittivo di ciò che il postmodernismo avrebbe reso comune e accessibile a tutti solo qualche anno dopo. Nel 1979, anno di uscita di "Extensions," questa musica sembrava una novità con un tocco di snobismo, e possiamo dire che, in un certo senso, questo disco è stato il punto di partenza per il postmoderno nella musica pop.

Dopo aver scelto il designer per la copertina, il passo successivo e fondamentale è stato reclutare musicisti di prim'ordine e due produttori che potessero esaltare le potenzialità del gruppo. Per quanto riguarda i musicisti, sono stati selezionati tra il meglio della scena californiana. I loro nomi dovrebbero essere noti, spero, e per la produzione ci sono state le abili mani di David Foster e Jay Graydon, che hanno dato una direzione precisa senza snaturare l'anima del gruppo. Il risultato è stato un mix entusiasmante di jazz, doo-wop e pop di alta classe, che ha reso questo album il capolavoro indiscusso dei Manhattan Transfer e uno dei migliori dischi degli anni '70.

L'album si apre con "Birdland," un omaggio all'arte degli Weather Report, con un testo scritto appositamente da Jon Hendricks. La canzone celebra il famoso locale della 52ª strada di Manhattan. La voce principale è affidata a Janis Siegel, con un arrangiamento superbo che ha vinto il Grammy come miglior performance jazz fusion nel 1981. "Wacky Dust" è un omaggio ad Ella Fitzgerald, con il testo originariamente interpretato da lei. La "polvere" menzionata nel testo si riferisce alla cocaina, e l'uso dei sintetizzatori in questa canzone aggiunge un tocco postmoderno. La successiva "Nothing You Can Do About It" è un gioiello pop con influenze soul, scritto da David Foster, Jay Graydon e Steve Kipner, che richiama la produzione degli Earth, Wind & Fire. Segue "Coo Coo U," una divertente incursione nelle sonorità afro, e "Trikle Trickle," un omaggio ai gruppi vocali degli anni '50. "Body and Soul" è una raffinata interpretazione di un classico, con uno stile da club jazz e voci che intrecciano armonie. Le note introduttive della serie TV "Ai Confini Della Realtà," composte da Bernard Hermann, introducono "Twilight Zone/Twilight Tone," un brano r'n'b con influenze disco scritto da Jay Graydon e Alan Paul. Le parole e la musica di David Lasley, Jay Beckenstein e Allee Willis ci portano direttamente in atmosfere di bossa nova con "The Shaker Song." Il gran finale è con una canzone di Tom Waits, "Foreign Affair," cantata in stile vocalise dai quattro membri dei Manhattan Transfer: Tim Hauser, Janis Siegel, Alan Paul e Cheryl Bentyn.

Questo album, con la sua raffinatezza e classe, dimostra che in passato, dischi di questo calibro riuscivano a vendere bene in tutto il mondo, tranne che in Italia, dove dominava il "Gelato al Cioccolato" e Miguel Bosè. 

👉https://youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_nfvkO8LO1Qe__SYDGiYSpfPPEc1Sbxh_U

Amore Imprevedibile (La Cicala) - Fred Bongusto


Fred Bongusto creò questo brano dal potente stile funk basandosi sul tema principale del film "La Cicala" di Alberto Lattuada. La canzone è caratterizzata da una linea di basso ipnotica e incisiva.

La colonna sonora di "La Cicala" fu originariamente pubblicata su vinile e, purtroppo, non ha mai ricevuto ristampe adeguate. In Giappone, esistono alcune edizioni su CD, ma è probabile che siano copie CD-R tratte dal vinile, non da un master di alta qualità. Questa colonna sonora ha ricevuto il prestigioso riconoscimento del Nastro d'Argento come miglior colonna sonora per film italiani nel 1980.

L'album di "La Cicala" ha seguito le sorti del film in termini di disponibilità. È scomparso dai radar dei media da tempo, raramente trasmesso in televisione e non disponibile in streaming. Anche se è stato pubblicato in DVD nel 2010, questa edizione è stata distribuita solo all'estero. In Italia, è difficile reperire una copia, e quelle disponibili all'estero spesso hanno prezzi molto alti, a partire dai 140 dollari. Anche il VHS non sembra aver avuto una distribuzione italiana, almeno stando alle informazioni reperite. Ricordo di averlo visto su una TV privata circa vent'anni fa, ma da allora sembra scomparso. La colonna sonora completa non è nemmeno disponibile su YouTube, il che è un peccato perché il Maestro Fred Bongusto ha creato un vero capolavoro con questa colonna sonora.

Un dettaglio interessante è che, nella bigotta Italia dell'epoca, il film fu sequestrato per oscenità a causa delle scene di nudo e successivamente ridistribuito con il divieto ai minori di 18 anni. Spero che gli enti responsabili del restauro dei film d'epoca si impegnino a recuperare questa pellicola dall'oblio, perché merita di essere riportata alla luce, anche solo per rendere omaggio alla straordinaria interpretazione di Virna Lisi, che all'epoca fu premiata con il David di Donatello.

👉https://youtu.be/g3pKcx7Jrs8👈


giovedì 13 aprile 2023

Ticket To Shangri La - Young Gun Silver Fox


Il maledetto e benedetto Yacht Rock, o come diamine volete chiamarlo, è una creatura schizofrenica dei tardi anni '70 e dell'inizio degli anni '80. È una musica che ha stretto un patto con il diavolo, mescolando pop, soul, funk e rock in un abbraccio che nessun altro osava tentare all'epoca. Un genere che aveva l'ardire di sfidare il mondo, guadagnandosi un posto nei cuori degli ascoltatori americani e unendo le fila per rendere la musica pop sofisticata, allontanando i dilettanti da mercatino e gli improvvisatori del momento.

E qui, fratelli e sorelle, arrivano gli Young Gun Silver Fox, gli stessi ragazzi che, dopo quattro round, tirano fuori il loro asso nella manica. "Ticket to Shangri-La" è la loro dichiarazione d'amore a un'epoca dorata, e niente è stato lasciato al caso. Gli arrangiamenti sono intricati, le armonie vocali sono come un'armonia celeste, e gli strumentisti sono come una squadra di operatori chirurgici, senza margine d'errore. 

Le influenze nobili scorrono nelle vene di questo album, con richiami evidenti a Hall & Oates, Steely Dan ed Earth, Wind & Fire, ma attenti, cari amici, perché se le vostre orecchie sono affilate come bisturi, troverete anche tracce dei segreti profondi di Prefab Sprout e dei capricci geniali di Brian Wilson tra le note.

E tutto questo è stato registrato in modo sacro, su nastro, in modo da catturare l'anima stessa della musica. Ma sì, fate pure una risata quando il vostro amico rockettaro vi dice che "è tipo Cristopher Cross." È la tipica frase di chi non ha mai compreso la profondità e la bellezza di questo genere. Questi ragazzi, gli Young Gun Silver Fox, stanno portando avanti la fiamma dello Yacht Rock con maestria e passione, e meritano la vostra attenzione. Chiunque li paragoni a Christopher Cross, beh, non sa un accidenti dello Yacht Rock.

mercoledì 12 aprile 2023

Growing Pain - Elisa Waut


Mi capita sempre più spesso, scorrendo i vari profili social, di essere nauseato dalle storie trite e ripetitive dei soliti nomi che hanno scritto la storia del rock. Va bene, "give to the people what they want," ma questa ripetizione è davvero stancante.

Per questo motivo, preferisco condividere nei miei post artisti che hanno lasciato poche tracce nel loro percorso, ma che almeno suscitano un po' di curiosità. Un esempio è il trio belga di synth-pop Elisa Waut, composto da Elsje Helewaut, suo fratello Hans, e il bassista Chery Derycke. Questi musicisti, affascinati da artisti come Edith Piaf, Judy Garland, Joy Division e Jacques Brel, hanno creato una fusione affascinante di pop decadente con sfumature jazzate, evocando i suoni dei locali da ballo dell'Europa centrale.

La discografia degli Elisa Waut comprende sette album, ma sono i quattro degli anni '80 a definire il loro stile, escludendo gli ultimi tre realizzati negli anni '90. Il mio preferito è il loro primo album a lunga distanza, "Growing Pain," pubblicato nel 1986, che è stato preceduto dall'EP del 1985. Questo album rappresenta in modo completo l'offerta sonora degli Elisa Waut, un caleidoscopio di stili che spaziano da canzoni pop uptempo alla Everything but the Girl, a brani con un sapore retrò-futuristico. Per darti un'idea, pensa a "Vacanze Romane" dei Matia Bazar, canzoni che bilanciano jazz e soul, ma soprattutto, c'è un piccolo capolavoro minimal dark-synth come "Russia," una canzone ipnotica che dovresti far ascoltare a chi non era presente all'epoca, solo per far capire quale fosse l'estetica di quel momento storico.

Sfortunatamente, gli Elisa Waut non hanno ottenuto il successo sperato e sono rimasti un gruppo di culto con pochi fedeli, tranne in Giappone, dove per un breve periodo sono stati l'ennesima "next big thing." Ancora oggi, puoi trovare una ristampa del loro disco a prezzi non inferiori a 40 euro. Ma credimi, "Russia" merita l'investimento.


Qui “Russia” 👉 https://youtu.be/fsmTSDFmJy8👈

Qui “Growing Pain” 👉 https://youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_ky_tN1k9OxyK_Qnpqc5p_qAVD9UdfJhhk👈

martedì 11 aprile 2023

Figli Delle Stelle - Alan Sorrenti

Credetemi: l'Alan Sorrenti del periodo prog a me ed ai miei amici di scuola non piaceva, anzi, lo prendevamo bellamente per il culo. Un tritapalle, era la definizione più comune che davamo di lui e dei suoi dischi, e non è che eravamo appassionati di Orietta Berti o degli Santo California; no, no. Prendi il "Boccia" ad esempio: 120 chili di stazza tutta votata alla musica, agli stereo e alle canne, grande esperto di prog inglese e di hard rock, che quando gli nominavi l'artista napoletano minimo minimo si incazzava con te e lo definiva una specie di "Cugino di Campagna" in acido.

Le cose non migliorarono con l'uscita di "Figli Delle Stelle", anzi. Chi gli dava di "traditore" (gli stessi che non lo sopportavano prima) chi di "venduto al sistema" (già, le case discografiche sono note per il loro mecenatismo) e cosa assai più grave, piaceva alle ragazze, ma proprio tanto. Il solito Boccia una mattina durante la ricreazione, tra una baguette all'insalata russa e un trombino arrivò alla conclusione che il bel Alan avesse perso il capo, ovvero che si fosse ammattito. Niente di tutto questo ovviamente e se Sorrenti "perse il capo" fu per la California e per i suoi musicisti. L'incontro con Jay Graydon, all'epoca intruppato con Al Jarreau, fu decisivo per dare la svolta alla carriera di Sorrenti e come vedremo anche alla musica popular italiana.

Si, noi facevamo gli schizzinosi allora, ma sotto sotto sentivi che "Figli Delle Stelle" aveva quel qualcosa in più delle solite canzonette italiche da classifica (a proposito, l'album scalzò dal numero uno i Bee Gees di "Stayin' Alive") un qualcosa che avevi già ascoltato nei pezzi di Lucio Battisti. Ecco, primo punto fermo del discorso: Alan Sorrenti fece propria la lezione del cantante reatino. Insomma, per farla breve, molti di noi lo ascoltavano di nascosto ma per capire bene la portata del disco dovranno passare molte primavere.

Si è scritto che tutto il lavoro risente dell'influsso della disco music; si, ma solo in parte. Nella title track, ad esempio, il ritmo va in quella direzione ma è ben bilanciato da una peculiare linea melodica e da un intro di piano jazz e da un riff di chitarra (uno dei più belli e caratteristici di tutta la musica italiana) che lo riconoscerebbero persino ad Ulan Bator. Già nel secondo brano "Donna Luna" si affina il discorso tutto sbilanciato in territori westcoastiani, quelli del pop di classe introiettato di soul e funk che il binomio Graydon/Foster stava creando per i posteri in quei giorni. Una canzone con un groove che niente ha da invidiare a modelli più alti, impreziosita da un assolo di sax lascivo e lussurioso.

Sorrenti lavora di fino e con stile, ascoltate "Passione" ad esempio, cantata in lingua napoletana oppure la bossa che si tinge di samba in "Casablanca". Come ogni buon album che si rispetti c'è spazio anche per due ballad: "C'è Sempre Musica Nell'Aria", costruita su piano e chitarra acustica, è quella che ci riporta alla tradizione italiana, forse stona un po' nel contesto, pensate se al suo posto ci fosse stata "Per Sempre Tu"... Apoteosi !!! Va be', accontentiamoci, anche perché l'altra ballad è "Tu Mi Porti Via" e questa ci sta dentro con tutti e due i piedi, mi piace tantissimo quel suo ritornello spezzato, quel bridge finale che da al brano un respiro internazionale e quella sua atmosfera da crepuscolo su Venice beach. Gran finale con "Tu Sei Un'Aquila E Vai", dall'intro disco e dal prosieguo rock-funk in stile Doobie's.

"Si ma i testi", disse il ragazzino brufoloso seduto nell'ultima fila con la manina alzata.

I testi, questi testi, i benedetti testi. Ma dico: noi italiani, abbiamo avuto Frescobaldi, Lulli, Salieri, Verdi, Puccini e cosa dicevano ? "Prima la musica, poi le parole", ma nell'Italia degli anni 70 questo assioma venne ribaltato, si guardava prima al testo e poi alla musica. Un altro esempio: le parole di "Un Incontro In Ascensore"."Che ore sono, ah... le cinque del mattino, di già e il taxi va via veloce lasciandomi con tutte le valigie, in un albergo del centro, ​io prendo la mia roba ed entro dentro, il portiere è immerso nel sonno, un leggero rumore di tacchi e per incanto arriva lei"

Ancora un esempio, questa volta di un brano di Lucio Battisti, "Neanche Un Minuto Di Non Amore" come il precedente uscito nel 1977: "Salgo in auto e parto e corro verso te, al telefono mi hai detto si, d'accordo alle tre dal timbro della voce, non sembravi tu, quel tono che mi piace no, non c'era più che cosa è accaduto, quando è accaduto, no, non è possibile, improvvisamente no..."

Cosa hanno in comune queste due canzoni, a parte il descrivere due situazioni da fotoromanzo e con il medesimo accompagnamento sonoro funk-disco ?

Ma la metrica, perdio, la M-E-T-R-I-C-A !

Quella per cui se anche tu vai a declamare in versi l'elenco del telefono la canzone avrà l'effetto di una sanguisuga, la metrica, il ritmo delle parole, strofa-strofa-ritornello-strofa-ritornello .Ma vi siete mai chiesti perché le canzoni dei cantautori di quegli anni ti facevano venire il latte ai coglioni ? Perchè non avevano la metrica, il ritmo ! Dice che vi avevano rinunciato per "esigenze di carattere sociale", pensa te. Provate oggi ad ascoltare una qualsiasi canzone del 1977 senza metrica ma dal testo "denso" di significato e quelle degli esempi di cui sopra e ditemi quale vi rimane più impressa.

Ritornando a "Figli Delle Stelle" va detto che il disco suona moderno ancora oggi, come se gli anni passati lo avessero attualizzato, cosa che non è accaduta con i lavori prog di Sorrenti, che sanno di "vecchio", appartenenti ad un'epoca passata.

L'impatto che il disco ha avuto nella società italiana di allora fu enorme: un milione di copie vendute, un film realizzato sull'onda del successo (che non ho visto) citazioni colte nel brano "Bandiera Bianca" di Battiato, una strofa recita "siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro" e prese per il sellino da parte degli Squallor in "Radiocappelle", dove la voce di Daniele Pace declama: "Con i nostri dischi gay, con la musica nostra, del Movimento Fuori... Primo posto oggi, "Siamo i figli delle triglie" cantata da Trutrutrutrutrù"... Un impatto che mostra la sua onda lunga ancora oggi: nella canzone "L'Estate Di John Wayne" di Raphael Gualazzi uscita nel 2016 c'è una strofa che fa: "torneranno i figli delle stelle, sui tuoi sedili in pelle."

A tutti quelli che diedero di venduto a Sorrenti vorrei ricordare che con le vendite di "Figli Delle Stelle" forse, anzi, sicuramente sarà stato finanziato qualche progetto "artistico" da parte delle major, provate a chiedere se con la miseria di oggi fanno lo stesso. A tutti quelli che ne dissero peste e corna, sono sicuro che non hanno mai ascoltato il disco per intero ma si sono limitati alla title track.

In conclusione, e dopo quarant’anni dalla sua uscita, “Figli delle Stelle” ha avuto la sua meritata ristampa in vinile e una deluxe edition in CD. Era l’ora, viene da dire. 

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lunedì 10 aprile 2023

Sta Guagliona Mo Ddà - Tonino Balsamo


Il 19 gennaio scorso, l'etichetta italiana Periodica Records ha finalmente pubblicato su vinile uno dei brani "fantasma" più richiesti e ricercati del Neapolitan Power. Questo brano, registrato nel 1983 presso gli studi della Rico Records a Napoli, avrebbe dovuto essere parte di un progetto su LP, ma purtroppo non fu mai completato a causa di una gestione disastrosa del budget da parte degli artisti coinvolti. I soldi destinati al progetto svanirono tra cene, divertimenti e locali notturni. Di conseguenza, il vinile non fu mai prodotto, se non in alcune rare cassette che furono vendute nei mercatini. Negli anni passati, sono emerse alcune copie promozionali in vinile del LP, molto probabilmente contraffatte con il timbro della SIAE, dato che gli autori non avevano mai autorizzato la stampa e la distribuzione.

Questo brano può essere descritto come un incrocio tra l'Italo-disco e l'atmosfera tipica di Napoli, con un notevole tocco funk. Una drum machine domina l'intero brano, e il cantato si situa tra il parlato e il rap di Balsamo, che ricorda molto quello di Tullio De Piscopo in "Stop Bajon."La ristampa comprende la versione originale del brano, una versione strumentale e una versione con un nuovo testo scritto dal tastierista Enzo Anoldo nei primi anni '90.

Un dettaglio interessante da notare è che Tonino Balsamo è omonimo e nipote di uno dei più grandi flautisti jazz italiani, Antonio Balsamo.





Good Friends - Joni Mitchell

Ricordo quando Joni Mitchell pubblicò "Dog Eat Dog" nel 1985; molti dei suoi fan ebbero una reazione negativa verso un album ricco di sonorità sintetiche, molto in linea con l'epoca. Senza menzionare le critiche rivolte al produttore dell'album, Thomas Dolby, che in realtà ha prodotto sette delle dieci canzoni. Beh, se a molti non è piaciuto allora, è probabile che non piaccia nemmeno adesso. Tuttavia, questo è un problema vostro, perché l'album è una gemma dall'inizio alla fine che merita di essere riscoperta.

Forse è dovuto al fatto che nella prima traccia dell'album, "Good Friends," Joni Mitchell canta insieme a Michael McDonald? So che a molti potrebbe non piacere, ma prima che Thundercat lo portasse alla ribalta, McDonald era già stato riconosciuto come la voce più straordinaria dello Yacht Rock, anche se alcuni preferiscono ignorarlo. È indubbiamente uno dei cantanti bianchi con una delle voci nere più straordinarie che abbiate mai ascoltato. Questo è un dato di fatto, che vi piaccia o no.


domenica 9 aprile 2023

Young Hearts - Benny Sings

 

Devo dire che non sono rimasto completamente soddisfatto da questo ultimo lavoro dell’olandese Benny Sings, intitolato "Young Hearts". Mi aspettavo qualcosa di più fresco e innovativo, invece ho trovato un album che sembra ricalcare molto i suoi lavori precedenti.

Ci sono alcune tracce che emergono come particolarmente interessanti, come la title track e "Pajamas": la prima riesce ad amalgamare sapientemente elementi di pop, funk e soul in un modo molto orecchiabile, mentre la seconda è un piccolo gioiellino di bossa nova. Tuttavia, altre canzoni come "Simple Love Songs" e "Take Your Time" sembrano un po' troppo scontate e mancano di originalità.

In generale, la produzione dell'album è molto pulita e raffinata, con arrangiamenti ben curati e una sezione ritmica che mantiene il groove. Ciononostante a volte sembra che manchi un po' di grinta e di energia, e le tracce sembrano un po' troppo plasticose e prive di spessore.

Ho avuto la sensazione che Benny Sings abbia voluto rimanere fedele al suo sound, ma purtroppo questo ha portato ad un album un po' troppo prevedibile e poco sorprendente. La voce di Sings è l'elemento che più si distingue in questo album, con la sua vocalità delicata e suadente che riesce a trasmettere una sensazione di tranquillità e di serenità, ma anche in questo caso, sembra mancare un po' di passione e di intensità, e a volte le sue performance vocali sembrano un po' troppo controllate e calcolate.

In conclusione, "Young Hearts" è un album che ha i suoi pregi e i suoi difetti. Non riesce a spiccare come un lavoro particolarmente originale o innovativo, ma ha comunque alcune tracce interessanti che vale la pena ascoltare. 

Ma dopo dieci album pubblicati, aspetto ancora quello che mi faccia dire: “cazzo Benny, qui hai spaccato veramente”.

Detto questo, credo che "Young Hearts" possa comunque piacere ai fan di Benny Sings e della musica indie-pop in generale.


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martedì 4 aprile 2023

Sundown - Eddie Chacon


L'album Sundown di Eddie Chacon è un disco molto vicino allo stato dell’arte per quanto concerne la musica soul di questo scorcio di secolo, un'opera raffinata e profonda che esplora con grande maestria le sfumature dell'amore, della perdita e della nostalgia. La voce di Chacon è una forza magnetica, capace di catturare l'attenzione dell'ascoltatore fin dalle prime note, e di accompagnarlo in un viaggio emotivo che ha il potere di toccare le corde più intime dell'anima.

Le canzoni di Sundown sono ricche di atmosfere evocative, che fondono elementi di soul e jazz con una delicatezza e una grazia che richiamano i grandi nomi della musica degli anni '60 e '70. Il sound è essenziale ma mai banale, con un'attenzione ai dettagli che conferisce all'intero album una straordinaria coerenza e organicità. Le melodie orecchiabili e le liriche poetiche si combinano per creare un'esperienza di ascolto coinvolgente e riflessiva. 

In generale, l'album risulta raffinato e ben curato e la produzione di John Carroll Kirby contribuisce a dare alle canzoni un'atmosfera intima e accogliente, che invita l'ascoltatore a immergersi nel mondo di Eddie Chacon. Mentre lavoravano a Sundown, "Greeting to Saud" di Pharoah Sanders era un ascolto quotidiano, ed ha ispirato Chacon a lavorare di sottrazione, assorbendo così al meglio la lezione di Sanders. Questo lavoro è un'opera che merita di essere ascoltata con attenzione, per apprezzarne appieno la bellezza e la profondità.

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