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Visualizzazione dei post da ottobre, 2011

EARTH, WIND AND FIRE: IN THE STONE, 1979

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Quando gli EWeF scrissero questo pezzo erano ad un passo dal successo planetario, ma avevano già realizzato otto album dal 1971, e pur avendo avuto un buon riscontro in Usa con i precedenti tre lavori, uno su tutti "That's the way of the world", mancavano ancora di quel disco che gli avrebbe consacrati in tutto il mondo. Per chi bazzica il funk inutile dire che gli album che vanno dal 1971 al 1974 sarebbero già bastati per dare gloria ed onori alla band di Maurice White, con "In The Stone", con quel suo ritmo incalzante, quei fiati così paraculi e una melodia sapientemente mischiata con il pop ed a suggestioni latine, i nostri erano ormai pronti per rompere le ultime resistenze dei miscredenti. Inutile dire che questo pezzo vi farà muovere il culo dalla sedia, molto più di "Boogie Wonderland" che per il sottoscritto poteva anche rimanere chiuso in un cassetto. "I Am", questo l'album da cui è tratto, pagava il suo tributo al pop di classe ...

THE HIGH NUMBERS: OOH POO PAH DOO, 1964

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Ganzi questi quattro ragazzotti che rifanno una canzone di Jessie Hill: un classico r'n'b già portato al successo dagli Standells, dopo tanti anni ritorna in pista grazie all'energia degli High Numbers. E bravi lo sono davvero, il cantante con quegli occhiali scuri è una forza della natura, non parliamo poi del batterista, picchia come un ossesso e diresti che un lampo di lucida follia lampeggia nei suoi occhi. Il chitarrista con quella faccia e quel buffo nasone si diverte a far roteare il braccio per dare delle belle svisate sulla chitarra ed è anche un bel tipo incazzoso: ha fracassato la chitarra sul palco perché dopo aver rotto il capo della stessa sul soffitto, le persone accorse al concerto hanno cominciato a prenderlo per il culo. Il bassista invece bilancia gli altri tre, essendo molto flemmatico e non appariscente, ma sa suonare lo strumento con una bella tecnica. Bello il filmato in bianco e nero, girato nella sala del Railway Hotel di Londra, che ricorda quello ...

DIANA ROSS: LOVE HANGOVER, 1976

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photo by Terry O'Neill Se c'è una cura per questo, non la voglio. Parafrasando Diana Ross nella sua "Love Hangover", potrei dire la stessa cosa; nessuna cura per guarire dall'ascolto compulsivo di questo brano. Non solo: da quando quasi un mese fa ho deciso di rivitalizzare questo blog, non passa giorno che non mi spari in cuffia almeno un paio di album di black music, che sia soul, funk, r'n'b e loro derivati, e conoscendomi bene credo che questa malattia me la porterò dietro per un bel po'. Del resto quando si ritrovano canzoni come queste, nessun vaccino può rendere immune dal virus del soul. Qui Diana flirtava pericolosamente con la Disco, aveva già una carriera che le poteva permettere di cantare di tutto. Il risultato in questo caso fu un pezzo da consegnare ai posteri, partiva come una ballad per poi trasformarsi in una lunga coda mid-tempo, ben diverso da altri artisti storici del soul e non solo che si cimentarono con la disco. Per esempio, ...

NAT TURNER FEAT MAJOR HARRIS: RUBY LEE, 1972

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Il sound di Philadelphia prima di essere un genere musicale, è uno stato dell'animo. Quando arriva ne rimani intrappolato e non puoi farci niente e non è nemmeno spiegabile, è un po' come cercare di far capire la saudade ad un non brasiliano. Il Philly Sound qui da noi è conosciuto principalmente g razie all'etichetta Philadelphia International fondata dai produttori Gamble e Huff nel 1971, ed è diventata con gli anni sinonimo di quel particolare tipo di sound che arrivava da quella metropoli. Prima di loro però, altre realtà operavano nella città, come ad esempio l'etichetta a cui è associato il cantante che vi presento oggi. La Philly Groove, questo il nome, fu una casa discografica nata nel 1967 per opera dei produttori Stan Watson e Sam Bell, divenne famosa per due gruppi vocali, i Delfonics, loro è la famosa "La la Means I Love You", e le First Choice, e fino al 1974, anno della cessazione dell'attività, produsse altri notevoli pezzi grazie ad artisti...

THE JAM: MOVE ON UP,1982

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Probabilmente la miglior cover mai fatta di un brano di Curtis Mayfield, e forse una delle migliori di sempre. Almeno da parte mia, anche se magari si può obiettare che dell'atmosfera del brano originale, ci sia rimasto ben poco. Però ad uno come Paul Weller, su come trattare la materia, visti anche i successivi lavori con gli Style Council, ben pochi possono insegnare. Questa cover è tutta potenza e poco groove, ma del resto questa era la marca caratteristica dei Jam e del brano ne è stato tirato fuori il lato grezzo e sguaiato che nella versione di Mayfield si poteva intuire tra le righe. Il pezzo fu registrato originariamente nel 1982 ed apparve nell'EP "Beat Surrender", per poi ritrovarlo nella raccolta "Extras" uscita nel 1992. E voi quale versione preferite?

JACKIE WILSON: I GET THE SWEETEST FEELING, 1967

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Jackie Wilson l'ho conosciuto tardi, nel 1986, quando la ristampa del suo "Reet Petite" ebbe un discreto successo radiofonico anche qui da noi. In particolare, dalle mie parti, divenne un tormentone delle stazioni fm commerciali, tanto che dietro a quel motivo divertente credevo si nascondesse un carneade alla stregua, che so, di un Lou Bega. Non era così, per fortuna, e una volta conosciuta la carriera di Jackie Wilson, a forza di acquisti dei suoi vecchi dischi, badate bene che internet era di là da venire, quindi fatica doppia nel trovare fonti e materiali, mi trovai di fronte ad un artista talmente importante per la transizione dal r'n'b al soul, che mi chiedevo come fino ad allora in Italia fosse considerato un oggetto misterioso o poco più. Prima di tutto ci troviamo di fronte ad un grande performer, sarà da esempio per numerosi artisti neri, non ultimo Michael Jackson. Mr. Wilson le canzoni le prendeva e le faceva diventare un ribollente calderone di frenes...

MARVIN GAYE: TROUBLE MAN, 1972

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Quando Marvin Gaye incise questo disco, colonna sonora del film di genere blaxploitation "Trouble Man", arrivava da quel capolavoro che fu "What's Going On", e anche qui abbiamo modo di ascoltare quale stato di grazia attraversasse il nostro. Marvin, al pari di Isaac Hayes e Curtis Mayfield contribuì alla riuscita della pellicola grazie alla colonna sonora che ne scaturì, anzi, si può sicuramente affermare che grazie a questi musicisti, film come "Shaft", "Superfly" e "Trouble Man", sono riconoscibili grazie alle title track dei dischi, costituendone la cifra stilistica che accompagna le pellicole. "Trouble Man" riuscì così bene anche perché è una sorta di confessione autobiografica dell'uomo Marvin Gaye, diventerà un punto fisso dei suoi concerti live e pure il futuro nickname del cantante. La canzone è cantata quasi tutta in falsetto, dimostrando una volta di più le proprie strabilianti ed eclettiche qualità vocali, ...

ISAAC HAYES: WALK ON BY, 1968

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photo by William Coupon Qual'è la ricetta per fare un disco che resterà nella storia, con solo quattro brani all'interno? Primo ingrediente, affidarsi a dei brani già conosciuti; secondo ingrediente, scegliere quei brani scritti dalla penna dei migliori autori del songbook americano; terzo ingrediente, almeno un brano scritto di pugno proprio; quarto ingrediente prendere queste canzoni, e metterci un alto tasso di personalità tali da stravolgerle e farle diventare qualcosa d'altro pur rendendole comunque riconoscibili. Isaac Hayes nel suo "Hot Buttered Soul", disco manco a dirlo "pietra di paragone" per tutto quello che verrà dopo, ha realizzato un piatto per gourmet sopraffini, prendendo il meglio della produzione di Bacharach e di quel misconosciuto grande autore che è Jimmy Webb, in più aggiungeteci di contorno una canzone scritta da Charles Chalmers - per inciso uno che ha suonato ed arrangiato pezzi come "Respect" e Let's Stay Together...

DUSTY SPRINGFIELD: SON OF A PREACHER MAN,1968

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Era inevitabile, prima o poi. Può sembrare strano che in due anni e mezzo di attività blogghettara non avessi ancora postato niente su di lei. Forse per pudore, forse quando si ama troppo un'artista si ha quasi timore a parlarne. Era inevitabile, dicevo, che Dusty Springfield arrivasse sulle rive del "dottore" con quello che è il suo gioiello, un disco di musica nera registrato nel luogo dove questa è nata e si è sviluppata, Memphis, un lavoro che fu una scommessa, un rimettersi in gioco dopo una carriera che era stata tutta in discesa e che stava iniziando ad avere le prime falle. Il coraggio di Dusty è quello che non ha mai avuto la nostra Mina, forse uno scoglio troppo grande la lingua inglese per andare a raccogliere allori anche in America, tutte e due icone dei ruggenti sessanta, perfezioniste e capricciose come poche, ma le similitudini finiscono qui. Si perché un disco epocale come "Dusty in Memphis", Mina non lo ha mai fatto, ma forse, e qui la memoria ...

MASSIVE ATTACK: UNFINISHED SYMPATHY, 1991

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I Massive Attack con il loro album del 1991, "Blue Lines", da cui è tratto il brano che vi presento oggi, portarono a compimento la rivoluzione nell'ambito della soul music iniziata qualche anno addietro con i Soul to Soul, inglesi pure loro e non a caso. Si perché, come per altri generi musicali, i ragazzi britannici sanno recepire e rimodellare, creando le basi per la ridefinizione dello stile e delle sonorità a cui poi si accoderanno gli altri, non ultimi i padri nobili del genere, ovverosia gli americani. La canzone, che è considerata il pilastro del movimento musicale che andrà sotto il nome di "trip-hop", è un accumulo di strumentazioni classiche, piano e archi, e campionamenti nella migliore tradizione hip-hop. Gran merito della bellezza del brano è dovuta anche alla vocalist, Shara Nelson, coautrice insieme ai tre componenti la band, cantante che purtroppo non ha avuto una carriera solista di primo piano, come questa interpretazione lasciava presagire...

THE STYLISTICS: BETCHA BY GOLLY WOW, 1972

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Se con il post di ieri abbiamo ascoltato una canzone bella morbida e carezzevole, con quella di oggi, a conclusione del miniciclo di canzoni "mellow", si rischia decisamente un coma glicemico. Gli Stylistics sono un sinonimo di quel che intendo per musica adatta a pomiciare, chi è della mia generazione, almeno una volta si sarà imbattuto nelle loro canzoni in momenti più o meno intimi. Come il brano che ascoltiamo oggi; un trionfo di romanticismo ad alto tasso zuccherino, interpretata talmente bene da far dimenticare che questa è una cover del brano originariamente inciso da Connie Stevens nel 1970. Il fatto è che appunto gli Stylistics l'hanno resa così unica - ascoltate quel falsetto, ad esempio - da sembrare loro i legittimi proprietari, portandola al successo fino a farla diventare la pietra di paragone per le versioni successive. Si perché la canzone ha avuto numerose re-interpretazioni negli anni a venire, tra cui vanno ricordate tra le altre quelle di Dionne Warwic...

EDDIE HOLMAN: YOU MAKE MY LIFE COMPLETE, 1977

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Questa è una specie di re-post di uno pubblicato nel marzo del 2010. Il motivo è presto detto: è sparito il video che lo corredava, la canzone si può inserire come affine a quella pubblicata ieri, in modo di fare un mini speciale di canzoni "carezzevoli", come l'ha definita ieri l'amica blogger giacy.nta, che si concluderà domani con i campioni dei "mellow moments" della soul music. Eddie Holman apriva con questo pezzo il suo album più venduto " A night to remember" la cui canzone quasi omonima "This will be a night to remember" ebbe un grande successo anche dalle nostre parti. Il bello della canzone sta tutta o quasi sulle spalle della voce del nostro, definita da uno che se intendeva, ovvero il grande Smokey Robinson, "l'uomo con la voce di un angelo". Del resto per Eddie Holman, già voce solista degli Stylistics, mai definizione fu più azzeccata. La canzone è veramente una "carezza", posta ad inizio dell'alb...

ISLEY BROTHERS: HELLO IT'S ME, 1974

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Oggi ci troviamo di fronte a due entità che ad una prima occhiata possono sembrare molto diverse l'una dall'altra. Da una parte abbiamo Todd Rundgren, dall'altra la band degli Isley Brothers, il primo, musicista eclettico che ha messo le mani in pasta in quasi tutti i generi musicali, ha scritto questa canzone, "Hello it's me", nel 1968, anzi, per meglio dire è proprio la sua prima canzone in assoluto, e pur essendo stata pubblicata all'epoca come lato b del singolo "Open my eyes", è diventata col tempo il brano più conosciuto di Rundgren, tanto che lo stesso ne ha inciso una versione up-tempo nel suo album del 1972 "Someting/Anything?" Degli Isley Brothers ci sarebbe da scrivere per ore, gruppo dedito al r'n'b bello ruvido, nato nel 1954 e autori di alcune tra le più belle canzoni di ogni tempo, citerò qui "This old heart of mine" portata al successo dagli Zombies e "Twist and Shout", per arrivare negli anni...

STEVIE WONDER: HIGHER GROUND, 1973

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Questa canzone arriva dall'epoca d'oro del cantante afroamericano, che parte dal disco del 1972, "Music of my mind", ed arriva al 1979 con "The Secret Life Of Plant". Di quello che è arrivato dopo, Signore in Rosso e improbabili compartecipazioni ad eventi benefici, poco mi interessa, anzi, farò finta che non siano mai avvenuti, tanta è la disparità con i dischi testé citati. "Higher Ground" è senza ombra di dubbio una delle tre canzoni leggendarie che componevano l'album "Innervisions" del 1973, considerato uno dei dischi più belli non soltanto della soul music ma di tutta la musica popolare. Basti pensare ad altri due brani, quali "Livin' In The City" e "Don't You Worry 'Bout The Thing" per dare conferma, canzoni che da sole basterebbero a costruire una carriera e ne avanzerebbe. "Innervisions" è anche il primo album dove viene impiegato in modo massiccio l'uso del synth ARP, usato per c...

GIL SCOTT HERON: THE REVOLUTION WILL NOT BE TELEVISED, 1971

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Oppure, aggiornandola ai nostri giorni potremmo dire anche "The Revolution Will Not be Digitized", anche se qualche fava sta cercando di far credere il contrario. Le rivoluzioni non sono colorate di viola, di arancione o del colore can che fugge. Delle rivoluzioni, vere, delle rivoluzioni delle coscienze, le più difficili, rimangono soltanto un pugno di canzoni, come questa, e dei vecchi filmati consumati dal tempo. Anche perché il trappolone è in movimento e dopo la stagione del berlusconismo, siamo già pronti per entrare trionfalmente in quella del montezemolismo. Si, un bel governone d'emergenza confindustriale sarà quello che ci aspetta e si prospetta. Alla faccia dei rivoluzionari da aperitivo. Avviati verso la prossima sconfitta, come sempre, in ordine sparso. The Revolution will not accept you as a friend on Facebook. The Revolution will not be available as a tweet in less than 140 characters. The Revolution will not be uploaded to You Tube or available as a downlo...

NINO FERRER: LA PELLE NERA, 1967

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Probabilmente questo è uno dei primi brani di r'n'b cantati in lingua italiana, se non lo è, sicuramente è la prima canzone del genere che abbia mai ascoltato. Come fu la prima volta che sentivo citare Wilson Pickett e James Brown, allora dei perfetti sconosciuti, non solo per me però, credo anche per buona parte del pubblico televisivo di allora. E chi meglio di Nino Ferrer poteva dar calore ad una canzone in fin dei conti semplice, ma con l'energia che il genere richiede e farla diventare anche un manifesto antirazzista? Nino Ferrer era poi uno a cui non potevi non affezionarti, specialmente per chi in quegli anni era un bambino, ti piaceva quella sua voglia di far casino ovunque, di sparigliare le carte in un ambiente paludato e conformista. Peccato che il suo contributo al soul sia in definitiva soltanto questo, in compenso il resto dell'anima lo ha messo nelle altre sue canzoni, quelle sconosciute o quasi della seconda parte della carriera, svoltasi quasi tutta in ...

AL GREEN: LET'S STAY TOGETHER, 1972

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photo by Lynn Goldsmith Se vi dessero la possibilità di ascoltare un canzone, appena cinque minuti prima che un asteroide colpisca la terra cancellando ogni traccia di vita conosciuta, voi quale scegliereste? Non mi dite "Imagine", troppo facile, anche se credo che potrebbe essere la scelta di molti, io non avrei dubbi e pur amando molto tutta la produzione dei Beatles e loro derivati, sicuramente "Let's Stay Together" sarebbe la mia scelta definitiva. Canzone epocale, aldilà di ogni genere, che soltanto un certo ostracismo italico verso la musica soul me l'ha fatta conoscere troppo in ritardo rispetto all'anno di uscita. E poi non attraverso Al Green, ma grazie alla magistrale cover che ne fece Tina Turner in "Private Dancer", questo per far capire a che livello culturale erano ridotte le radio e le tv italiane, dove per soul music, ad andar bene, ti facevano ascoltare i Boney M. Opera meritoria fu anche quella di Quentin Tarantino che utilizz...

ERYKAH BADU: TYRONE, 1997

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Di lei ho un bel ricordo ad un concerto per il Primo Maggio 2001 in Piazza San Giovanni a Roma. Arrivò con tutta la sua regalità, davvero, sembrava una regina africana, conosciuta poco o niente da chi era li ad aspettare Elisa, brittipelù e gli amati dai ggiovani Afterhours e Marlene Kuntz. In pratica salì sul palco accolta da scetticismo e se ne andò in trionfo, dando una lezione di musica e di stile a tutti. Belline poi le recensioni del giorno dopo sui quotidiani, dove si parlò della Badu come di una "piacevole sorpresa". E 'sti cazzi; ma dove erano impelagate le vostre orecchie? A tessere le lodi di un ennesimo album di Vasco ? "Tyrone" fu il singolo tratto dal suo primo album dal vivo, la canzone parla degli scazzi tra una lei ed un lui, dove lei è stanca di trovarsi sempre tra i piedi gli amici di lui, tra i quali c'è anche Tyrone e di pagare ogni loro vizio. Il live della canzone è un pezzo di bravura vocale e di interpretazione, dove la Badu da il me...

TYRONE THOMAS AND THE WHOLE DARN FAMILY: SEVEN MINUTES OF FUNK, 1976

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La persona con gli occhiali che vedete cantare in una metro, la foto risale al 2007, è Tyrone Thomas. Thomas fu il fondatore della band "Whole Darn Family", autori di un disco talmente sconosciuto tanto quanto è diventato un classico del funk sotterraneo degli anni '70. Della band conosco ben poco, se non che erano sette elementi provenienti da Richmond in Virginia, hanno registrato quel disco, e solo quello, "Has Arrived", nel 1976 e sono passati alla storia della black music con lo strumentale "Seven Minutes of Funk". La particolarità del brano è quella che è diventato un must per i campionamenti in ambito hip-hop, guardate qui quanti sample ne sono stati realizzati: ne ho contati ben venti, partono con Grandmaster Flash nel 1979, per arrivare al 2007. Niente male per un gruppo semisconosciuto. Il resto dell'album non è da meno; rimanendo sul funk da segnalare la bella "Ain't nothing but something to do", per arrivare a suggestioni...

DARYL HALL AND JOHN OATES: SARA SMILE, 1975

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photo by Lynn Goldsmith Quando Daryl Hall e John Oates incisero questa canzone, avevano già all'attivo tre album, tra cui uno, "Abandoned Lancheonette", disco di platino e considerato uno dei migliori dischi della loro carriera. Nel 1975, in piena era glam, Hall&Oates richiamarono nella copertina del disco le suggestioni di quell'epoca, i due sono ritratti truccati e virati in argento, ma la musica era ben lontana dai lustrini e dalle paillettes dei gruppi inglesi. Dosi di robusto soul, una canzone "Grounds for separation" utilizzata nel film di Stallone "Rocky" e campionata ai nostri giorni da Kayne West nella sua canzone "Fight with the best". "Sara Smile" è la killer song dell'album, come lo fu a suo tempo quel capolavoro imperituro di "She's Gone" nel già citato "Abandoned Lancheonette", un brano che dimostra la capacità di scrittura soul di Daryl Hall, alla pari dei migliori autori "bla...

RUFUS FEATURING CHAKA KHAN: ONCE YOU GET STARTED, 1974

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In principio erano i Rufus, una tra le maggiori attrazioni dei locali di Chicago, dalla popolarità via via maggiore grazie soprattutto alla vocalist, una allora giovanissima Chaka Khan. Fu così che nel 1974, dopo due dischi col nome della band, all'alba della realizzazione del nuovo album "Rufusized", fu aggiunta alla band l'estensione "featuring Chaka Khan", per rimarcare le doti vocali della cantante che all'epoca veniva paragonata come una novella Aretha Franklin con l'energia di Tina Turner. Certo a vederla nel video, e pensare a com'è adesso non diresti che è la stessa persona, notare il seno - adesso triplicato, davvero - ed il lato B, divenuto nel tempo "a seggiola", come si dice dalle mie parti, cioè a "sedia", per i non toscani. La musica dei Rufus era un funky virato verso il pop e l'r'n'b, una spruzzata di jazz e di rock, per intendersi, nel solco degli EW&F, e della Average White Band. La canzone ch...

THE JAM: TOWN CALLED MALICE, 1982

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photo by Neal Preston Questo singolo della band inglese uscito nel 1982, tratto dall'album "The Gift" è la dimostrazione che anche i bianchi, quando vogliono, sanno realizzare degli ottimi brani soul, in questo caso abbiamo più di una reminiscenza di quelli che furono gli hits della Motown degli anni d'oro. Certo il testo della canzone era ben lontano dalle romanticherie dell'etichetta di Detroit, non si parla di amore ma della vita in una piccola cittadina inglese, tra problemi di alcolismo nella popolazione, disoccupazione e mancanza di strutture. Del resto è nota la passione di Paul Weller per la black music, se poi sommiamo l'attitudine Mod verso questo genere, il risultato non può che essere questo. Questa canzone non rimarrà l'unica incursione dei Jam nel soul, altrettanto belle sono "Ghosts" e "Precious", guarda caso presenti sempre in "The Gift", che fu il canto del cigno della band inglese. Un omaggio al Northern Soul...

DIANA ROSS: REACH OUT AND TOUCH,1970

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photo by Barrie Wentzell Nel 1970, lasciate le Supremes, Diana Ross rilasciò il suo primo album solista, "Diana Ross", scritto e prodotto da due maestri della musica soul, Nikolas Ashford e Valery Simpson, tranne che nel brano "These Things Will Keep Me Lovin' You", dove troviamo Johnny Bristol dietro la console. Come primo singolo fu deciso di lanciare "Reach Out And Touch", canzone che apriva l'album, non ebbe il successo sperato, pur essendo molto bello, arrivò infatti al nr 20 delle charts americane, e questo fece pensare gli addetti ai lavori che l'appeal della Ross senza le Supremes, fosse destinato a fallire. Come andarono le cose poi lo sappiamo; il secondo singolo estratto dall'album fu infatti "Ain't No Mountain High Enough", brano epocale reso famoso dalla coppia Marvin Gaye e Tammi Terrell - che Dio o chi per lui gli abbia in gloria - e grazie alla magistrale e melodrammatica interpretazione della Ross, insieme ad ...

GEORGE BENSON: LOVE X LOVE, 1980

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photo by Joseph A. Rosen Questa volta è una ripartenza vera. Dopo un anno di sosta il dottore si rimette in carreggiata e ritorna con nuove canzoni scelte per voi. Questa nuova versione di Doctor Wu andrà a pescare in larga parte nella soul music del passato e del presente, senza dimenticare la West Coast californiana e derivati. Artisti conosciuti e non faranno qui la loro comparsa, in un viaggio che spero vi appassionerà di nuovo. Per ricominciare andiamo sul sicuro: vi regalo un George Benson live a Montreaux del 1986, la canzone è strafamosa, ha un attacco ed un riff micidiale che l'ha resa inconfondibile, è tratta dal best seller del 1980, Give Me The Night. Tra tutte le canzoni, bellissime, questa è quella che fungeva da riempipista nelle disco di allora, ed il classico brano che ti fa star bene. Non dico altro, lascio la parola alla musica e a Love X Love.