lunedì 31 ottobre 2011

EARTH, WIND AND FIRE: IN THE STONE, 1979


Quando gli EWeF scrissero questo pezzo erano ad un passo dal successo planetario, ma avevano già realizzato otto album dal 1971, e pur avendo avuto un buon riscontro in Usa con i precedenti tre lavori, uno su tutti "That's the way of the world", mancavano ancora di quel disco che gli avrebbe consacrati in tutto il mondo.
Per chi bazzica il funk inutile dire che gli album che vanno dal 1971 al 1974 sarebbero già bastati per dare gloria ed onori alla band di Maurice White, con "In The Stone", con quel suo ritmo incalzante, quei fiati così paraculi e una melodia sapientemente mischiata con il pop ed a suggestioni latine, i nostri erano ormai pronti per rompere le ultime resistenze dei miscredenti.
Inutile dire che questo pezzo vi farà muovere il culo dalla sedia, molto più di "Boogie Wonderland" che per il sottoscritto poteva anche rimanere chiuso in un cassetto.
"I Am", questo l'album da cui è tratto, pagava il suo tributo al pop di classe in altre due canzoni, una "After the love is gone" è la classica ballatona perfetta per i cuori infranti, l'altra, "Can't hide love", è il non plus ultra in fatto di raffinatezza in musica ed è una delle mie preferite.
Ecco, diciamo che se la carriera degli EWeF fosse finita qui, sarebbe stata una morte perfetta, purtroppo i nostri con la svolta elettronica di "Raise!", sono andati sempre più banalizzando e semplificando la loro musica.
Una parola la spendo per la sezione fiati della band: una delle migliori mai ascoltate in un gruppo soul, che ha avuto il merito di nobilitare album altrimenti scadenti, uno per tutti "Face Value" di Phil Collins, che non si sa ancora quanti ceri ha acceso per aver avuto quei fiati nel suo disco.
Funk alle masse !

domenica 30 ottobre 2011

THE HIGH NUMBERS: OOH POO PAH DOO, 1964


Ganzi questi quattro ragazzotti che rifanno una canzone di Jessie Hill: un classico r'n'b già portato al successo dagli Standells, dopo tanti anni ritorna in pista grazie all'energia degli High Numbers. E bravi lo sono davvero, il cantante con quegli occhiali scuri è una forza della natura, non parliamo poi del batterista, picchia come un ossesso e diresti che un lampo di lucida follia lampeggia nei suoi occhi. Il chitarrista con quella faccia e quel buffo nasone si diverte a far roteare il braccio per dare delle belle svisate sulla chitarra ed è anche un bel tipo incazzoso: ha fracassato la chitarra sul palco perché dopo aver rotto il capo della stessa sul soffitto, le persone accorse al concerto hanno cominciato a prenderlo per il culo. Il bassista invece bilancia gli altri tre, essendo molto flemmatico e non appariscente, ma sa suonare lo strumento con una bella tecnica. Bello il filmato in bianco e nero, girato nella sala del Railway Hotel di Londra, che ricorda quello degli anni passati, strano poi che anche allora i ragazzi vestivano più o meno come adesso. Qualcosa mi dice che il gruppo avrà successo in futuro e già si vocifera che la band ritornerà con il nome che aveva precedentemente, "The Who", e che il loro primo disco sarà qualcosa da ricordare per le generazioni a venire.
Miracoli del retrofuturo e della rete, immaginarsi di essere nel 1964 e crederci davvero!

sabato 29 ottobre 2011

DIANA ROSS: LOVE HANGOVER, 1976

photo by Terry O'Neill

Se c'è una cura per questo, non la voglio. Parafrasando Diana Ross nella sua "Love Hangover", potrei dire la stessa cosa; nessuna cura per guarire dall'ascolto compulsivo di questo brano.
Non solo: da quando quasi un mese fa ho deciso di rivitalizzare questo blog, non passa giorno che non mi spari in cuffia almeno un paio di album di black music, che sia soul, funk, r'n'b e loro derivati, e conoscendomi bene credo che questa malattia me la porterò dietro per un bel po'.
Del resto quando si ritrovano canzoni come queste, nessun vaccino può rendere immune dal virus del soul. Qui Diana flirtava pericolosamente con la Disco, aveva già una carriera che le poteva permettere di cantare di tutto.
Il risultato in questo caso fu un pezzo da consegnare ai posteri, partiva come una ballad per poi trasformarsi in una lunga coda mid-tempo, ben diverso da altri artisti storici del soul e non solo che si cimentarono con la disco. Per esempio, avete mai ascoltato la versione disco di "I Love you for sentimental reason" che ne fece James Brown? Beh, meglio lasciar perdere, là il buon James sembrava afflitto dalla sindrome del "cappone", talmente era irriconoscibile. Che dire poi delle prove di Elton John e Paul Mc Cartney? Come se bastassero grandi nomi per nobilitare un genere considerato fatto da cani e porci, quando i cani e i porci perlomeno credevano nel genere e lo nobilitarono.
Diana Ross ebbe il merito di tirar fuori un pezzo che nobilitò veramente la disco, facendone un instant classic e venendo suonato ancora oggi e campionato in millanta brani hip-hop.
E pensare che non ne voleva saper niente di incidere questo brano.

venerdì 28 ottobre 2011

NAT TURNER FEAT MAJOR HARRIS: RUBY LEE, 1972


Il sound di Philadelphia prima di essere un genere musicale, è uno stato dell'animo. Quando arriva ne rimani intrappolato e non puoi farci niente e non è nemmeno spiegabile, è un po' come cercare di far capire la saudade ad un non brasiliano. Il Philly Sound qui da noi è conosciuto principalmente grazie all'etichetta Philadelphia International fondata dai produttori Gamble e Huff nel 1971, ed è diventata con gli anni sinonimo di quel particolare tipo di sound che arrivava da quella metropoli. Prima di loro però, altre realtà operavano nella città, come ad esempio l'etichetta a cui è associato il cantante che vi presento oggi. La Philly Groove, questo il nome, fu una casa discografica nata nel 1967 per opera dei produttori Stan Watson e Sam Bell, divenne famosa per due gruppi vocali, i Delfonics, loro è la famosa "La la Means I Love You", e le First Choice, e fino al 1974, anno della cessazione dell'attività, produsse altri notevoli pezzi grazie ad artisti quali Nat Turner, gli Ultra High Frequency, i Tapestry e David Lasley, canzoni e stili che furono ampiamente sfruttati ed aggiornati dalla label di Gamble ed Huff. Da sottolineare il gran lavoro su questi brani che ne fece il Dj Tom Moulton, inventando di fatto l'arte del remix, espandendone le sonorità, puntando sulla ritmica ossessiva ed enfatizzando le orchestrazioni. Parte della Philly Groove una volta chiusi i battenti si tramutò nella Arista Records, mentre l'eredità artistica fu raccolta dalla Salsoul records. Insomma, per chi volesse iniziare a capire cos'è stato il sound di Philadelphia, deve necessariamente partire dall'ascolto degli artisti di questa etichetta.

giovedì 27 ottobre 2011

THE JAM: MOVE ON UP,1982


Probabilmente la miglior cover mai fatta di un brano di Curtis Mayfield, e forse una delle migliori di sempre. Almeno da parte mia, anche se magari si può obiettare che dell'atmosfera del brano originale, ci sia rimasto ben poco. Però ad uno come Paul Weller, su come trattare la materia, visti anche i successivi lavori con gli Style Council, ben pochi possono insegnare. Questa cover è tutta potenza e poco groove, ma del resto questa era la marca caratteristica dei Jam e del brano ne è stato tirato fuori il lato grezzo e sguaiato che nella versione di Mayfield si poteva intuire tra le righe.
Il pezzo fu registrato originariamente nel 1982 ed apparve nell'EP "Beat Surrender", per poi ritrovarlo nella raccolta "Extras" uscita nel 1992.
E voi quale versione preferite?

mercoledì 26 ottobre 2011

JACKIE WILSON: I GET THE SWEETEST FEELING, 1967


Jackie Wilson l'ho conosciuto tardi, nel 1986, quando la ristampa del suo "Reet Petite" ebbe un discreto successo radiofonico anche qui da noi. In particolare, dalle mie parti, divenne un tormentone delle stazioni fm commerciali, tanto che dietro a quel motivo divertente credevo si nascondesse un carneade alla stregua, che so, di un Lou Bega. Non era così, per fortuna, e una volta conosciuta la carriera di Jackie Wilson, a forza di acquisti dei suoi vecchi dischi, badate bene che internet era di là da venire, quindi fatica doppia nel trovare fonti e materiali, mi trovai di fronte ad un artista talmente importante per la transizione dal r'n'b al soul, che mi chiedevo come fino ad allora in Italia fosse considerato un oggetto misterioso o poco più. Prima di tutto ci troviamo di fronte ad un grande performer, sarà da esempio per numerosi artisti neri, non ultimo Michael Jackson. Mr. Wilson le canzoni le prendeva e le faceva diventare un ribollente calderone di frenesia sessuale, già su disco; dal vivo, per quelle poche immagini arrivate fino a noi, doveva essere un indemoniato che nemmeno Elvis riusciva ad eguagliare. Un moto perpetuo, un punto fermo dei dancefloor anglosassoni, tanto da essere considerato uno degli eroi del Northern Soul, genere che furoreggiò nel nord dell'Inghilterra negli anni '60 ed arrivato qui da noi, giusto venti anni dopo, grazie anche alla ristampa di quel "Reet Petite" che per un'estate mandò in soffitta i soliti cialtroni da classifica.

martedì 25 ottobre 2011

MARVIN GAYE: TROUBLE MAN, 1972


Quando Marvin Gaye incise questo disco, colonna sonora del film di genere blaxploitation "Trouble Man", arrivava da quel capolavoro che fu "What's Going On", e anche qui abbiamo modo di ascoltare quale stato di grazia attraversasse il nostro. Marvin, al pari di Isaac Hayes e Curtis Mayfield contribuì alla riuscita della pellicola grazie alla colonna sonora che ne scaturì, anzi, si può sicuramente affermare che grazie a questi musicisti, film come "Shaft", "Superfly" e "Trouble Man", sono riconoscibili grazie alle title track dei dischi, costituendone la cifra stilistica che accompagna le pellicole.
"Trouble Man" riuscì così bene anche perché è una sorta di confessione autobiografica dell'uomo Marvin Gaye, diventerà un punto fisso dei suoi concerti live e pure il futuro nickname del cantante. La canzone è cantata quasi tutta in falsetto, dimostrando una volta di più le proprie strabilianti ed eclettiche qualità vocali, ma dimostra anche quale superbo compositore e strumentista fosse Marvin Gaye. L'album lo trovo come un'evoluzione del precedente "What's Going On", forse ancora più sofisticato e complesso musicalmente, e la definizione di album funk per un disco del genere è sicuramente limitante, un disco notturno intriso di soul e jazz, di sicuro uno tra i miei preferiti di sempre.

lunedì 24 ottobre 2011

ISAAC HAYES: WALK ON BY, 1968

photo by William Coupon

Qual'è la ricetta per fare un disco che resterà nella storia, con solo quattro brani all'interno?
Primo ingrediente, affidarsi a dei brani già conosciuti; secondo ingrediente, scegliere quei brani scritti dalla penna dei migliori autori del songbook americano; terzo ingrediente, almeno un brano scritto di pugno proprio; quarto ingrediente prendere queste canzoni, e metterci un alto tasso di personalità tali da stravolgerle e farle diventare qualcosa d'altro pur rendendole comunque riconoscibili. Isaac Hayes nel suo "Hot Buttered Soul", disco manco a dirlo "pietra di paragone" per tutto quello che verrà dopo, ha realizzato un piatto per gourmet sopraffini, prendendo il meglio della produzione di Bacharach e di quel misconosciuto grande autore che è Jimmy Webb, in più aggiungeteci di contorno una canzone scritta da Charles Chalmers - per inciso uno che ha suonato ed arrangiato pezzi come "Respect" e Let's Stay Together".
"Walk on by" nel suo lento dipanarsi, sono dodici minuti e mezzo di bollente funk-soul, è il capolavoro del disco, come un lungo amplesso appagante per le vostre orecchie e non solo,
questa musica fa bene anche alla vostra mente.

domenica 23 ottobre 2011

DUSTY SPRINGFIELD: SON OF A PREACHER MAN,1968

Era inevitabile, prima o poi. Può sembrare strano che in due anni e mezzo di attività blogghettara non avessi ancora postato niente su di lei. Forse per pudore, forse quando si ama troppo un'artista si ha quasi timore a parlarne. Era inevitabile, dicevo, che Dusty Springfield arrivasse sulle rive del "dottore" con quello che è il suo gioiello, un disco di musica nera registrato nel luogo dove questa è nata e si è sviluppata, Memphis, un lavoro che fu una scommessa, un rimettersi in gioco dopo una carriera che era stata tutta in discesa e che stava iniziando ad avere le prime falle. Il coraggio di Dusty è quello che non ha mai avuto la nostra Mina, forse uno scoglio troppo grande la lingua inglese per andare a raccogliere allori anche in America, tutte e due icone dei ruggenti sessanta, perfezioniste e capricciose come poche, ma le similitudini finiscono qui. Si perché un disco epocale come "Dusty in Memphis", Mina non lo ha mai fatto, ma forse, e qui la memoria si fa fallace, non ha mai nemmeno cantato una canzone di r'n'b.
Dunque le premesse per rilanciarsi c'erano tutte, ma come Dusty mise piede in Memphis, iniziarono le prime beghe; le 80 canzoni che il produttore Jerry Wexler le presentò, furono tutte rifiutate, le prescelte furono poi trovate in un altro gruppo di venti, pretese di avere il suo hair-stylist alloggiato in una stanza adiacente la sua, e sopratutto le parti vocali furono tutte registrate a New York con le basi realizzate a Memphis dai musicisti di Aretha Franklin. Dusty arrivò ad odiare il disco e forse questo stato emotivo si trasferì negli ascoltatori.
Il disco infatti fu un clamoroso insuccesso commerciale, sia in America che in Gran Bretagna, mise la parola fine sul rilancio della carriera di Dusty e soltanto il tempo e una nuova generazione di appassionati ha reso giustizia al più bel disco di musica soul che abbia mai inciso un bianco.
Ascoltate le sfumature della sua voce, è come ascoltare le fasi della vita di una persona, l'infanzia, l'innocenza e la sua perdita, la seduzione e l'allegria, il dramma e il gioco. Tutto questo in un disco e non pensiate che esageri. Provatelo.

sabato 22 ottobre 2011

MASSIVE ATTACK: UNFINISHED SYMPATHY, 1991

I Massive Attack con il loro album del 1991, "Blue Lines", da cui è tratto il brano che vi presento oggi, portarono a compimento la rivoluzione nell'ambito della soul music iniziata qualche anno addietro con i Soul to Soul, inglesi pure loro e non a caso. Si perché, come per altri generi musicali, i ragazzi britannici sanno recepire e rimodellare, creando le basi per la ridefinizione dello stile e delle sonorità a cui poi si accoderanno gli altri, non ultimi i padri nobili del genere, ovverosia gli americani. La canzone, che è considerata il pilastro del movimento musicale che andrà sotto il nome di "trip-hop", è un accumulo di strumentazioni classiche, piano e archi, e campionamenti nella migliore tradizione hip-hop. Gran merito della bellezza del brano è dovuta anche alla vocalist, Shara Nelson, coautrice insieme ai tre componenti la band, cantante che purtroppo non ha avuto una carriera solista di primo piano, come questa interpretazione lasciava presagire.
La genialità dei Massive Attack è stata quella di innestare atmosfere dark in un genere che ne è l'antitesi, cosa che sarà ancora più marcata con gli album successivi, quelli si proprio cento per cento Massive. Forse "Mezzanine" è il loro lavoro più personale e più originale, riuscendo a trasfigurare una volta per tutte il soul degli inizi, ma "Blue Lines" è il punto iniziale di un nuovo percorso e per questo ne è il capostipite e costituisce una svolta decisiva per iniziare un nuovo discorso musicale.
Rifatta anche da Tina Turner, una che se ne intende.
Capolavoro!

venerdì 21 ottobre 2011

THE STYLISTICS: BETCHA BY GOLLY WOW, 1972


Se con il post di ieri abbiamo ascoltato una canzone bella morbida e carezzevole, con quella di oggi, a conclusione del miniciclo di canzoni "mellow", si rischia decisamente un coma glicemico.
Gli Stylistics sono un sinonimo di quel che intendo per musica adatta a pomiciare, chi è della mia generazione, almeno una volta si sarà imbattuto nelle loro canzoni in momenti più o meno intimi. Come il brano che ascoltiamo oggi; un trionfo di romanticismo ad alto tasso zuccherino, interpretata talmente bene da far dimenticare che questa è una cover del brano originariamente inciso da Connie Stevens nel 1970. Il fatto è che appunto gli Stylistics l'hanno resa così unica - ascoltate quel falsetto, ad esempio - da sembrare loro i legittimi proprietari, portandola al successo fino a farla diventare la pietra di paragone per le versioni successive. Si perché la canzone ha avuto numerose re-interpretazioni negli anni a venire, tra cui vanno ricordate tra le altre quelle di Dionne Warwick, Aaron Neville, Freddie Hubbard, Phyllis Hyman e pure quella del folletto di Minneapolis, Prince.
Gli Stylistics forse sono passati alla storia per quell'altro inno alla pomiciata pesante che è "You Make Me Feel Brand New", ma quella canzone è davvero troppo anche per un goloso come me; cioè capitemi bene, è bella, ma va presa a piccole dosi, troppo ipercalorica anche per un romantico quale sono.

giovedì 20 ottobre 2011

EDDIE HOLMAN: YOU MAKE MY LIFE COMPLETE, 1977


Questa è una specie di re-post di uno pubblicato nel marzo del 2010. Il motivo è presto detto: è sparito il video che lo corredava, la canzone si può inserire come affine a quella pubblicata ieri, in modo di fare un mini speciale di canzoni "carezzevoli", come l'ha definita ieri l'amica blogger giacy.nta, che si concluderà domani con i campioni dei "mellow moments" della soul music. Eddie Holman apriva con questo pezzo il suo album più venduto " A night to remember" la cui canzone quasi omonima "This will be a night to remember" ebbe un grande successo anche dalle nostre parti. Il bello della canzone sta tutta o quasi sulle spalle della voce del nostro, definita da uno che se intendeva, ovvero il grande Smokey Robinson, "l'uomo con la voce di un angelo". Del resto per Eddie Holman, già voce solista degli Stylistics, mai definizione fu più azzeccata.
La canzone è veramente una "carezza", posta ad inizio dell'album, è un invito ai piaceri che il lavoro dipanerà nel suo svolgimento.
Autore di soli due dischi, il cantante di Philadelphia, grazie alla sua voce, un vero e proprio strumento capace di saltare sulle note fino a picchi impensabili per dei comuni mortali, si è assicurato un posto nella storia della musica soul.

mercoledì 19 ottobre 2011

ISLEY BROTHERS: HELLO IT'S ME, 1974


Oggi ci troviamo di fronte a due entità che ad una prima occhiata possono sembrare molto diverse l'una dall'altra. Da una parte abbiamo Todd Rundgren, dall'altra la band degli Isley Brothers, il primo, musicista eclettico che ha messo le mani in pasta in quasi tutti i generi musicali, ha scritto questa canzone, "Hello it's me", nel 1968, anzi, per meglio dire è proprio la sua prima canzone in assoluto, e pur essendo stata pubblicata all'epoca come lato b del singolo "Open my eyes", è diventata col tempo il brano più conosciuto di Rundgren, tanto che lo stesso ne ha inciso una versione up-tempo nel suo album del 1972 "Someting/Anything?"
Degli Isley Brothers ci sarebbe da scrivere per ore, gruppo dedito al r'n'b bello ruvido, nato nel 1954 e autori di alcune tra le più belle canzoni di ogni tempo, citerò qui "This old heart of mine" portata al successo dagli Zombies e "Twist and Shout", per arrivare negli anni '70 a "That Lady" e "Summer Breeze".
"Hello it's me" sembra un brano scritto apposta per loro, e mai scelta fu più azzeccata; la morbidezza delle loro voci e della melodia sembra adattarsi come un guanto al gruppo, nonostante le differenze che citavo all'inizio. Ma questo è il bello del soul; riuscire a trovare nell'essenza della musica l'anima dell'autore, fosse anche agli antipodi del genere e plasmarlo fino a farlo diventare parte essenziale della propria arte, perché di questo si tratta.
L'hanno rifatta anche Mary J. Blyge, John Legend e i Groove Theory. E' apparsa nel film "The Virgin Suicide" e Paul Giamatti nel film "Duets", ne fa un karaoke.

martedì 18 ottobre 2011

STEVIE WONDER: HIGHER GROUND, 1973


Questa canzone arriva dall'epoca d'oro del cantante afroamericano, che parte dal disco del 1972, "Music of my mind", ed arriva al 1979 con "The Secret Life Of Plant". Di quello che è arrivato dopo, Signore in Rosso e improbabili compartecipazioni ad eventi benefici, poco mi interessa, anzi, farò finta che non siano mai avvenuti, tanta è la disparità con i dischi testé citati. "Higher Ground" è senza ombra di dubbio una delle tre canzoni leggendarie che componevano l'album "Innervisions" del 1973, considerato uno dei dischi più belli non soltanto della soul music ma di tutta la musica popolare. Basti pensare ad altri due brani, quali "Livin' In The City" e "Don't You Worry 'Bout The Thing" per dare conferma, canzoni che da sole basterebbero a costruire una carriera e ne avanzerebbe.
"Innervisions" è anche il primo album dove viene impiegato in modo massiccio l'uso del synth ARP, usato per comporre sei brani su nove, e la capacità di costruire un ambiente sonoro completo, sarà poi una pietra di paragone per lo sviluppo della musica soul degli anni a venire.
"Higher Ground" fu incisa poco prima dell'incidente automobilistico che mandò in coma Stevie Wonder per quattro giorni. Si dice che la canzone fu cantata in ospedale all'orecchio del musicista dal suo amico Ira Tucker, e che Wonder in risposta tamburellò con le dita il ritmo della canzone. Da allora Stevie non ha più suonato in concerto la canzone, fino al 2004, agli MTV music awards insieme ad Alicia Keys e Lenny Kravitz.
Comunque, se vi dicono che canzoni così non ne fanno più, credeteci.


lunedì 17 ottobre 2011

GIL SCOTT HERON: THE REVOLUTION WILL NOT BE TELEVISED, 1971


Oppure, aggiornandola ai nostri giorni potremmo dire anche "The Revolution Will Not be Digitized", anche se qualche fava sta cercando di far credere il contrario. Le rivoluzioni non sono colorate di viola, di arancione o del colore can che fugge. Delle rivoluzioni, vere, delle rivoluzioni delle coscienze, le più difficili, rimangono soltanto un pugno di canzoni, come questa, e dei vecchi filmati consumati dal tempo. Anche perché il trappolone è in movimento e dopo la stagione del berlusconismo, siamo già pronti per entrare trionfalmente in quella del montezemolismo. Si, un bel governone d'emergenza confindustriale sarà quello che ci aspetta e si prospetta. Alla faccia dei rivoluzionari da aperitivo.
Avviati verso la prossima sconfitta, come sempre, in ordine sparso.

The Revolution will not accept you as a friend on Facebook.
The Revolution will not be available as a tweet in less than 140 characters.
The Revolution will not be uploaded to You Tube or available as a download on Hulu.
The Revolution will not be digitized.
The Revolution cannot be Googled.
The Revolution will not be linked to your web page;
The code for The Revolution will not be open source and available for inspection by the authorities.
The Revolution will not be digitized.
by bapyou


domenica 16 ottobre 2011

NINO FERRER: LA PELLE NERA, 1967


Probabilmente questo è uno dei primi brani di r'n'b cantati in lingua italiana, se non lo è, sicuramente è la prima canzone del genere che abbia mai ascoltato. Come fu la prima volta che sentivo citare Wilson Pickett e James Brown, allora dei perfetti sconosciuti, non solo per me però, credo anche per buona parte del pubblico televisivo di allora.
E chi meglio di Nino Ferrer poteva dar calore ad una canzone in fin dei conti semplice, ma con l'energia che il genere richiede e farla diventare anche un manifesto antirazzista?
Nino Ferrer era poi uno a cui non potevi non affezionarti, specialmente per chi in quegli anni era un bambino, ti piaceva quella sua voglia di far casino ovunque, di sparigliare le carte in un ambiente paludato e conformista. Peccato che il suo contributo al soul sia in definitiva soltanto questo, in compenso il resto dell'anima lo ha messo nelle altre sue canzoni, quelle sconosciute o quasi della seconda parte della carriera, svoltasi quasi tutta in Francia.
Del brano ne è stata fatta una bella cover dagli Statuto, mod band torinese, dal loro primo album "Vacanze".
Buona domenica e buona colazione. ;)

sabato 15 ottobre 2011

AL GREEN: LET'S STAY TOGETHER, 1972

photo by Lynn Goldsmith

Se vi dessero la possibilità di ascoltare un canzone, appena cinque minuti prima che un asteroide colpisca la terra cancellando ogni traccia di vita conosciuta, voi quale scegliereste?
Non mi dite "Imagine", troppo facile, anche se credo che potrebbe essere la scelta di molti, io non avrei dubbi e pur amando molto tutta la produzione dei Beatles e loro derivati, sicuramente "Let's Stay Together" sarebbe la mia scelta definitiva.
Canzone epocale, aldilà di ogni genere, che soltanto un certo ostracismo italico verso la musica soul me l'ha fatta conoscere troppo in ritardo rispetto all'anno di uscita. E poi non attraverso Al Green, ma grazie alla magistrale cover che ne fece Tina Turner in "Private Dancer", questo per far capire a che livello culturale erano ridotte le radio e le tv italiane, dove per soul music, ad andar bene, ti facevano ascoltare i Boney M.
Opera meritoria fu anche quella di Quentin Tarantino che utilizzò la canzone in "Pulp Fiction", nella memorabile scena dove Butch Coolidge/Bruce Willis, ascolta la filosofia di vita di Marcellus Wallace/Ving Rhames, con sottofondo il brano di Al Green.
Prima della conversione e conseguente ritiro dalla scena r'n'b, Green sfornò un altro capolavoro, "Take Me To The River", portato poi alla conoscenza della massa da quei quattro cervelloni dei Talking Heads, anche se non all'altezza del brano originale.
Quindi, ritornando all'inizio del post, non è che questa canzone non è conosciuta come meriterebbe a causa del colore della pelle del reverendo Al Green ?
Vi lascio con un commento trovato sul tubo: "I think Al Green make me pregnant and i'm a man"!

venerdì 14 ottobre 2011

ERYKAH BADU: TYRONE, 1997


Di lei ho un bel ricordo ad un concerto per il Primo Maggio 2001 in Piazza San Giovanni a Roma. Arrivò con tutta la sua regalità, davvero, sembrava una regina africana, conosciuta poco o niente da chi era li ad aspettare Elisa, brittipelù e gli amati dai ggiovani Afterhours e Marlene Kuntz. In pratica salì sul palco accolta da scetticismo e se ne andò in trionfo, dando una lezione di musica e di stile a tutti. Belline poi le recensioni del giorno dopo sui quotidiani, dove si parlò della Badu come di una "piacevole sorpresa". E 'sti cazzi; ma dove erano impelagate le vostre orecchie? A tessere le lodi di un ennesimo album di Vasco ?
"Tyrone" fu il singolo tratto dal suo primo album dal vivo, la canzone parla degli scazzi tra una lei ed un lui, dove lei è stanca di trovarsi sempre tra i piedi gli amici di lui, tra i quali c'è anche Tyrone e di pagare ogni loro vizio.
Il live della canzone è un pezzo di bravura vocale e di interpretazione, dove la Badu da il meglio di se anche come teatralità, coadiuvata da un tappeto sonoro costruito per mettere in risalto la sua voce. Insomma, dopo aver ascoltato questo pezzo, qualcuno ha ancora delle remore verso la musica Soul?

giovedì 13 ottobre 2011

TYRONE THOMAS AND THE WHOLE DARN FAMILY: SEVEN MINUTES OF FUNK, 1976


La persona con gli occhiali che vedete cantare in una metro, la foto risale al 2007, è Tyrone Thomas. Thomas fu il fondatore della band "Whole Darn Family", autori di un disco talmente sconosciuto tanto quanto è diventato un classico del funk sotterraneo degli anni '70. Della band conosco ben poco, se non che erano sette elementi provenienti da Richmond in Virginia, hanno registrato quel disco, e solo quello, "Has Arrived", nel 1976 e sono passati alla storia della black music con lo strumentale "Seven Minutes of Funk". La particolarità del brano è quella che è diventato un must per i campionamenti in ambito hip-hop, guardate qui quanti sample ne sono stati realizzati: ne ho contati ben venti, partono con Grandmaster Flash nel 1979, per arrivare al 2007. Niente male per un gruppo semisconosciuto. Il resto dell'album non è da meno; rimanendo sul funk da segnalare la bella "Ain't nothing but something to do", per arrivare a suggestioni da r'n'b classico con "I'm Hurt".
Ritornando a "Seven Minutes of Funk" ascoltate la linea del basso; a mio parere è una delle più "intriganti" mai realizzate.
Da ascoltare in cuffia.

mercoledì 12 ottobre 2011

DARYL HALL AND JOHN OATES: SARA SMILE, 1975

photo by Lynn Goldsmith

Quando Daryl Hall e John Oates incisero questa canzone, avevano già all'attivo tre album, tra cui uno, "Abandoned Lancheonette", disco di platino e considerato uno dei migliori dischi della loro carriera. Nel 1975, in piena era glam, Hall&Oates richiamarono nella copertina del disco le suggestioni di quell'epoca, i due sono ritratti truccati e virati in argento, ma la musica era ben lontana dai lustrini e dalle paillettes dei gruppi inglesi. Dosi di robusto soul, una canzone "Grounds for separation" utilizzata nel film di Stallone "Rocky" e campionata ai nostri giorni da Kayne West nella sua canzone "Fight with the best".

"Sara Smile" è la killer song dell'album, come lo fu a suo tempo quel capolavoro imperituro di "She's Gone" nel già citato "Abandoned Lancheonette", un brano che dimostra la capacità di scrittura soul di Daryl Hall, alla pari dei migliori autori "black". Cosa che ha portato la critica ad inserire i nostri nel sottogenere "blue eyed soul", riferito appunto agli artisti bianchi dediti alle sonorità nere, mischiate con una forte sensibilità pop. E di questo, Hall&Oates sono stati dei maestri che hanno attraversato gli anni, e solamente con gli album usciti per la Atlantic, ovvero prima del loro successo planetario, hanno ridefinito il genere per gli anni a venire.

E "Sara Smile" ne è divenuto uno standard ed un manifesto.


martedì 11 ottobre 2011

RUFUS FEATURING CHAKA KHAN: ONCE YOU GET STARTED, 1974


In principio erano i Rufus, una tra le maggiori attrazioni dei locali di Chicago, dalla popolarità via via maggiore grazie soprattutto alla vocalist, una allora giovanissima Chaka Khan. Fu così che nel 1974, dopo due dischi col nome della band, all'alba della realizzazione del nuovo album "Rufusized", fu aggiunta alla band l'estensione "featuring Chaka Khan", per rimarcare le doti vocali della cantante che all'epoca veniva paragonata come una novella Aretha Franklin con l'energia di Tina Turner. Certo a vederla nel video, e pensare a com'è adesso non diresti che è la stessa persona, notare il seno - adesso triplicato, davvero - ed il lato B, divenuto nel tempo "a seggiola", come si dice dalle mie parti, cioè a "sedia", per i non toscani. La musica dei Rufus era un funky virato verso il pop e l'r'n'b, una spruzzata di jazz e di rock, per intendersi, nel solco degli EW&F, e della Average White Band. La canzone che vi propongo oggi era l'opening track dell'album "Rufusized", il disco che fece da trampolino di lancio alla band e alla futura carriera solista di Chaka Khan. Un pezzo ed uno stile che in poco più di tre minuti riesce a definire un decennio, e che forse più del rock lo caratterizza. Poi, guardate come si muove Chaka: tutta "carne", zero "silicone".

lunedì 10 ottobre 2011

THE JAM: TOWN CALLED MALICE, 1982

photo by Neal Preston

Questo singolo della band inglese uscito nel 1982, tratto dall'album "The Gift" è la dimostrazione che anche i bianchi, quando vogliono, sanno realizzare degli ottimi brani soul, in questo caso abbiamo più di una reminiscenza di quelli che furono gli hits della Motown degli anni d'oro. Certo il testo della canzone era ben lontano dalle romanticherie dell'etichetta di Detroit, non si parla di amore ma della vita in una piccola cittadina inglese, tra problemi di alcolismo nella popolazione, disoccupazione e mancanza di strutture. Del resto è nota la passione di Paul Weller per la black music, se poi sommiamo l'attitudine Mod verso questo genere, il risultato non può che essere questo. Questa canzone non rimarrà l'unica incursione dei Jam nel soul, altrettanto belle sono "Ghosts" e "Precious", guarda caso presenti sempre in "The Gift", che fu il canto del cigno della band inglese. Un omaggio al Northern Soul, alle dance-hall britanniche che furono i templi pagani dei ragazzi Mod. Che detto tra noi, fra tutti i movimenti o presunti tali che hanno attraversato la storia della nostra musica, è stato quello più sincero ed onesto.
Da segnalare nel video la presenza del tastierista Steve Nichol, della band r'n'b inglese dei Loose Ends, attiva negli anni '80. Ebbero due numeri uno nelle charts r'n'b americane con "Hanging on a string" e "Slow Down", ma avremo modo di riparlarne.


domenica 9 ottobre 2011

DIANA ROSS: REACH OUT AND TOUCH,1970

photo by Barrie Wentzell

Nel 1970, lasciate le Supremes, Diana Ross rilasciò il suo primo album solista, "Diana Ross", scritto e prodotto da due maestri della musica soul, Nikolas Ashford e Valery Simpson, tranne che nel brano "These Things Will Keep Me Lovin' You", dove troviamo Johnny Bristol dietro la console. Come primo singolo fu deciso di lanciare "Reach Out And Touch", canzone che apriva l'album, non ebbe il successo sperato, pur essendo molto bello, arrivò infatti al nr 20 delle charts americane, e questo fece pensare gli addetti ai lavori che l'appeal della Ross senza le Supremes, fosse destinato a fallire. Come andarono le cose poi lo sappiamo; il secondo singolo estratto dall'album fu infatti "Ain't No Mountain High Enough", brano epocale reso famoso dalla coppia Marvin Gaye e Tammi Terrell - che Dio o chi per lui gli abbia in gloria - e grazie alla magistrale e melodrammatica interpretazione della Ross, insieme ad un arrangiamento da brividi, lanciò definitivamente la cantante afroamericana nello stardom del soul.
Pelle d'oca !

sabato 8 ottobre 2011

GEORGE BENSON: LOVE X LOVE, 1980

photo by Joseph A. Rosen

Questa volta è una ripartenza vera. Dopo un anno di sosta il dottore si rimette in carreggiata e ritorna con nuove canzoni scelte per voi. Questa nuova versione di Doctor Wu andrà a pescare in larga parte nella soul music del passato e del presente, senza dimenticare la West Coast californiana e derivati. Artisti conosciuti e non faranno qui la loro comparsa, in un viaggio che spero vi appassionerà di nuovo. Per ricominciare andiamo sul sicuro: vi regalo un George Benson live a Montreaux del 1986, la canzone è strafamosa, ha un attacco ed un riff micidiale che l'ha resa inconfondibile, è tratta dal best seller del 1980, Give Me The Night. Tra tutte le canzoni, bellissime, questa è quella che fungeva da riempipista nelle disco di allora, ed il classico brano che ti fa star bene. Non dico altro, lascio la parola alla musica e a Love X Love.