DUSTY SPRINGFIELD: SON OF A PREACHER MAN,1968
Era inevitabile, prima o poi. Può sembrare strano che in due anni e mezzo di attività blogghettara non avessi ancora postato niente su di lei. Forse per pudore, forse quando si ama troppo un'artista si ha quasi timore a parlarne. Era inevitabile, dicevo, che Dusty Springfield arrivasse sulle rive del "dottore" con quello che è il suo gioiello, un disco di musica nera registrato nel luogo dove questa è nata e si è sviluppata, Memphis, un lavoro che fu una scommessa, un rimettersi in gioco dopo una carriera che era stata tutta in discesa e che stava iniziando ad avere le prime falle. Il coraggio di Dusty è quello che non ha mai avuto la nostra Mina, forse uno scoglio troppo grande la lingua inglese per andare a raccogliere allori anche in America, tutte e due icone dei ruggenti sessanta, perfezioniste e capricciose come poche, ma le similitudini finiscono qui. Si perché un disco epocale come "Dusty in Memphis", Mina non lo ha mai fatto, ma forse, e qui la memoria si fa fallace, non ha mai nemmeno cantato una canzone di r'n'b.
Dunque le premesse per rilanciarsi c'erano tutte, ma come Dusty mise piede in Memphis, iniziarono le prime beghe; le 80 canzoni che il produttore Jerry Wexler le presentò, furono tutte rifiutate, le prescelte furono poi trovate in un altro gruppo di venti, pretese di avere il suo hair-stylist alloggiato in una stanza adiacente la sua, e sopratutto le parti vocali furono tutte registrate a New York con le basi realizzate a Memphis dai musicisti di Aretha Franklin. Dusty arrivò ad odiare il disco e forse questo stato emotivo si trasferì negli ascoltatori.
Il disco infatti fu un clamoroso insuccesso commerciale, sia in America che in Gran Bretagna, mise la parola fine sul rilancio della carriera di Dusty e soltanto il tempo e una nuova generazione di appassionati ha reso giustizia al più bel disco di musica soul che abbia mai inciso un bianco.
Ascoltate le sfumature della sua voce, è come ascoltare le fasi della vita di una persona, l'infanzia, l'innocenza e la sua perdita, la seduzione e l'allegria, il dramma e il gioco. Tutto questo in un disco e non pensiate che esageri. Provatelo.
Strano che un prodotto del genere non abbia avuto il giusto riscontro commerciale tenuto conto di chi stiamo parlando e della qualità presente.
RispondiEliminaDusty cmq al di là del pop o del soul è una vera e proparia istituzione grazie anche a zio Burt.
@Euterpe
RispondiEliminaE' stato un disco quasi "sotterraneo" che grazie al passaparola degli appassionati ha avuto il riconoscimento che meritava. Forse all'epoca scontentò i fans di Dusty, disco troppo poco in linea con il pop di allora, e dall'altra parte troppo poco "sporco" per chi seguiva il rock.
Certo a zio Burt va dato il merito di aver reso grande una voce belle ed emozionanti come poche.
Meravigliosa Dusty.
RispondiEliminaeh vabbè...se metti i carichi da novanta.......dusty è sempre stata splendida, una voce che più duttile non si può suppongo sia stata una gioia per qualsiasi autore.
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