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Visualizzazione dei post da febbraio, 2012

DIPINTO SU TELA

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Lo vedi in copertina con un pennello in mano, nell'atto di imprimere del colore su di una tela, ma non è un pittore nel senso letterale del termine. Possiamo però intenderlo tale in un altro modo, se sostituiamo al pennello la sua voce ed al posto della tela abbiamo un disco, vinile, cd od mp3. Si, l'ascolto del nuovo album del cantante afroamericano Gregory Porter mi ha dato questa sensazione/emozione, "Be Good" il titolo, è infatti uno di quei dischi che ti arrivano in casa quando meno te lo aspetti, diventano da subito necessari e ti riconciliano con il canto, in questo caso con il "bel" canto. Bel canto che noi italiani sappiamo riconoscere di primo acchito, non importa che sia impaludato in teatri lirici però, basta anche un locale buio con tre sedie e due tavolini perché il miracolo di ascoltare una bella voce si compia. Gregory Porter è la voce che ci riporta alla miglior tradizione dei crooner neri, Lou Rawls e Nat King Cole in primis, ed ogni altra ...

BUONE NUOVE (STAGIONATE)

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Prima di diventare, insieme a Jay Graydon, uno tra i principali produttori della scena pop-west coast californiana, David Foster è stato autore di alcuni tra i dischi più interessanti per il genere durante il decennio dei seventies. Il primo gruppo con cui ha collaborato sono stati gli Skylark, autori di due vinili tra il 1972 ed il 1974, l'ultimo sono stati gli Airplay, band formata insieme al chitarrista e producer Jay Graydon autori di un disco fondamentale per il genere uscito nel 1980. Nel mezzo ci sono stati gli Attitudes, ed è la band di cui vi parlerò nel post di oggi. Foster riunì alcuni tra i migliori musicisti dell'area californiana, ovvero Paul Stallworth, Danny Kortchmar e Jim Keltner, arrivando a pubblicare due album tra il 1976 ed il 1977. Tralascio volentieri il primo disco, piacevole ma niente di che, sopratutto alla luce dei componenti la band, mentre il secondo, "Good News", già fa intravedere le notevoli capacità di Foster come musicista ed autore ...

FOPP

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Smargiassi, grezzi, fuori di testa e massicci. Questi, in poche parole, erano gli Ohio Players. Qualcuno forse se li ricorderà grazie al loro hit che trovò un buon riscontro anche qui da noi, quel "Love Rollecoaster" coverizzato in maniera sciapa dai Red Hot Chili Peppers, ma se ci soffermiamo solo su quel brano conosceremo soltanto un quarto della forza della band di Dayton, Ohio. Un gruppo grezzo e compatto, dicevamo, capace però di passare, grazie ai loro stupefacenti arrangiamenti, dal blues al funk più duro e puro fino a morbidezze inaspettate, come ad esempio possiamo ascoltare nell'album "Honey" del 1975. Prima di approdare sulla riva del funk gli Ohio Players erano un buon gruppo che si dilettava nel fare del black-rock anonimo, l'approdo alla Mercury Records però dette loro la spinta e la convinzione nel cambiare marcia e diventare in pochi anni un gruppo che sbaragliò letteralmente la concorrenza. La band era capitanata dal chitarrista e vocalist L...

LA DONNA DI PICCHE

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Proseguiamo l'excursus sulle nuove voci femminili legate al jazz e a quel che ci gira intorno parlando oggi della canadese Elizabeth Sheperd. L'album di cui vi parlerò oggi non è nuovissimo essendo uscito nel 2010 per l'etichetta Do Right! Music, "Heavy Falls The Night" è il titolo, mentre un nuovo cd, il quarto se escludiamo una raccolta di lati B e remix vari, è in uscita il prossimo aprile. Di lei si dice che sia una delle jazziste più talentuose del momento, anche se il termine jazzista è riduttivo, visto che la ragazza sa muoversi bene e con eclettismo in territori contigui al jazz. Dopo aver ricevuto il plauso per i suoi precedenti lavori ed aver fatto dei concerti sold-out in posti come il Jazz Cafè di Londra, il Cotton Club di Tokyo e l'Hollywood Bowl di S.Francisco, "Heavy Falls The Night" arriva giusto come un'evoluzione del sound di Elizabeth Sheperd. Anzitutto nel disco si ascolta una particolare cura nelle sovraincisioni vocali della...

LA TIMIDEZZA DI MR. JORDAN

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Di Marc Jordan e del suo album "Blue Desert" ne ho già parlato un po' di tempo fa', ma siccome mi è capitato di riascoltarlo recentemente e le canzoni lì contenute sono di una bellezza rara, voglio ritornarci sopra. L'artista canadese è la classica persona che è tanto timida quanto brava, che forse per la sua timidezza è rimasto ai margini del panorama musicale e ciò si può evincere dai suoi lavori, canzoni sofferte che parlano del "privato" dell'artista, dischi che hanno il pregio di entrare in casa dalla porta di servizio, ma che poi si arrogano il diritto di diventare il fulcro della propria collezione di musica e musicanti. Questo poi è uno dei lavori dove chi non si accontenta di ascoltare nenie monocordi da tre minuti tre, troverà pane per i suoi denti, fatto com'è di progressioni armoniche inaspettate, di assoli suonati pensando ai grandi del jazz, e a dei testi costruiti per esaltare le qualità vocali dell'interprete. L'album fu ...

SUONATE COME LORO, SE VI RIESCE !

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via Tarkus Se nel post dedicato a Pino Daniele ho usato la parola "rivoluzione" per i musicisti che crearono il "Neapolitan Power", miscela di jazz, rock e funk, oggi parliamo della persona che con la sua band fu l'artefice di quella rivoluzione. James Senese ed i Napoli Centrale furono a metà degli anni '70 il gruppo che più di ogni altro cercarono di cambiare il linguaggio della musica italiana, o perlomeno provarono a creare qualcosa di nuovo, tenendo ben presente però da dove provenivano. Quindi, poteva capitare in mezzo a suoni sicuramente debitori al jazz e al funk, di ascoltare richiami alla canzone napoletana. Senese, sassofonista ispirato da Wayne Shorter, creò con i Napoli Centrale un sound che fu di trasgressione sociale, teso e nervoso, arrivato in un momento propizio per riuscire ad avere successo non solo in Italia - è bene ricordare che il loro primo album arrivò al numero tre degli album più venduti - ma anche in Europa. I fermenti sociali e ...

CHE C'AZZECCA LA MUSICA CON IL FESTIVAL DI SANREMO ?

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Si, facendo spregio della lingua italiana, come l'amico Zio Scriba mi ha fatto notare, giustamente, nel post di ieri, rincaro la dose dopo aver visto lo spregio alla musica che ho visto ieri sera durante la prima serata del festival. Si può dire che se il declino di una nazione passa anche dalla cultura popolare, quello che ho visto può essere preso ad esempio come risultato dello sfascio a cui il paese è stato portato da trent'anni a questa parte. La musica, o quel simulacro che è passato ieri sera, è ormai diventato un mero accessorio ad uno show televisivo, dove a farla da padrone è stata una predica di 50 minuti, si 50 avete capito bene, misticoqualunquistica dell'Adriano molleggiato. Se ancora qualcuno pensava che il fondo lo avessimo già toccato da un pezzo, chi ieri sera ha auto la malaugurata idea di vedersi tutto il festival, converrà con me che siamo davvero arrivati ad un punto di non ritorno. Sulle canzoni non ce n'è una che sia una da poter ricordare, sono ...

CHE C'AZZECCA IL FESTIVAL DI SANREMO CON IL SOUL ?

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Ecco, siccome sono un bel masochista, stasera mi sa che mi metterò a vedere il festival di Sanremo, un po' per tradizione, per curiosità di sicuro, un po' per assumere quell'aria di superiorità da spendere con i colleghi di lavoro, per la serie "ma come, a voi piace quella merda?", un po' nella speranza, forse malriposta, di incocciare in qualche canzone che perlomeno non mi faccia rimpiangere il tempo perduto, e qui confido in Nina Zilli, forse. Comunque, visto che questo blog si occupa di musica black in generale, chissà se vi ricorderete della partecipazione al festival di due pesi massimi della soul music: Wilson Pickett e Stevie Wonder. Il prima cantò al festival del 1968 in coppia con Fausto Leali, "Deborah" la canzone, il buon Stevie, allora 19enne, cantò "Se tu ragazzo mio" in coppia con Gabriella Ferri. Sicuramente due canzoni prescindibili, anche se l'impegno dei ragazzi non venne meno e nel caso di Wilson Pickett, con la sua ...

IL LUNGO ADDIO: WHITNEY HOUSTON, 1963-2012

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Di lei si dirà che è stata uno dei più grandi talenti vocali buttati via. Sicuramente non una delle mie cantanti preferite a livello di produzione, troppo enfatiche alcune sue canzoni, ma le va riconosciuto di aver ridato lustro alla grande tradizione americana delle dive della black music, un trait d'union che parte da Diana Ross passando per Aretha Franklin. Un talento buttato via letteralmente, una carriera che ha toccato vette altissime per poi piombare nel tunnel della depressione e delle droghe. Irriconoscibile durante un suo concerto milanese di un paio di anni fa', mai più ritornata come era stata all'epoca del film "The Bodyguard", arrivato nel punto più alto della sua carriera e forse l'inizio della fine. Mi piace ricordarla con una canzone di quella pellicola, non la straconosciuta "I will always love you", ma "Run to you", titolo oggi quanto mai profetico, così come le immagini del video. Se ne va dimenticata da tutti, o quasi.....

MOD(E) STILI: LA LAMBRETTA

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Della Lambretta ho un ricordo di quando andavo in campagna dai miei zii. Il fratello di mia madre aveva uno splendido esemplare bianco e rosso, credo che fosse il modello TV 175 terza serie, lo usava per calare in paese per andare a passare la domenica al circolo arci, tra sfide a briscola e generose bevute di vino. Io che non sono mai stato un appassionato di moto, sempre preferito le quattro ruote, avevo però un afflato di simpatia sconfinante nell'amore per quel curioso scooter. Innanzitutto era bello, più bello della concorrente Vespa (mi perdonino i vespisti tutti), agli occhi di un ragazzino era "moderno", mentre l'altra con quei pancioni richiamava generose zie poppute e culone, non parliamo poi delle moto "giapponesi", l'antistile a due ruote. In futuro, ho invidiato assai le Lambrette customizzate dai Mods, una meraviglia, altro che le Harley (ecco, adesso mi sono inimicato pure gli harleysti, mamma mia), e a vedere tutte quelle supposte viaggi...

LA DONNA DI CUORI

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Prendo in prestito il titolo di un vecchio telefilm italiano degli anni '60 - vi dice niente il Tenente Sheridan ? - per iniziare a parlare di voci femminili dei nostri giorni che meritano di essere segnalate. Voci che avranno nel jazz e nel jazz virato nel soul il loro comun denominatore. Malia ad esempio, cantante inglese originaria del Malawi, la sua voce ed il suo nuovo album "Black Orchid" oltre ad essere un omaggio a Nina Simone, è un viaggio nelle melodie e nei suoni che hanno fatto la storia del jazz, ma non solo, è anche un viaggio che porta direttamente al cuore. Accompagnata da un trio di musicisti francesi, il disco è minimalista nei suoni, essenziali direi, tanto da non aver bisogno di altri artifizi per raggiungere lo scopo; la voce di Malia poi fa il resto. Un'orchidea nera come il fiore più raro e prezioso, come lo è questo disco: affascinante, misterioso e passionale come una donna di cuori. La passione e l'ossessione di possedere una donna irragg...

IL FUOCO INESTINGUIBILE DEL SOUL

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Ecco uno dei gruppi che negli anni '90 riaccese nel sottoscritto la speranza di poter riascoltare della buona soul music fatta e suonata come suonavano i classici del genere. Ancora una volta per la rivalsa del funk e del soul ci dovettero pensare dei ragazzi inglesi, musicisti, etichette e dj's che andarono a formare quel movimento passato alla storia come acid-jazz, e tra tutti i Brand New Heavies ne furono i portabandiera e insieme agli Incognito, quelli che ebbero più successo. Sostanzialmente un trio strumentale i BNH incisero il primo album nel 1990 insieme alla vocalist Jay Ella Ruth, ottenendo un buon riconoscimento da parte della critica, ma il botto lo fecero due anni dopo, con l'ingresso in formazione della cantante afroamericana N'dea Davenport e la sostanziale riedizione del primo album con alla voce la nuova entrata. "Dream Come True", "Never Stop" e "Stay this way" trasportarono letteralmente la band dal culto dei dancefloor ...

AL SOUL DELLA CALIFORNIA

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Il giovanotto che vediamo investito da una secchiata d'acqua al sole della California può essere a ragione considerato come il precursore di quello che diverrà il pop west-coast californiano, genere sfuggente ed incatalogabile di per se', essendo una miscela di jazz, soul, funk, pop e folk. Ned Doheny quando diede alle stampe "Hard Candy" nel 1976, aveva già all'attivo un album uscito nel 1973, tra l'altro come primo artista scritturato dalla nascente Geffen Records, dove già si intravedevano i primi germogli del futuro sound, sicuramente acerbo se confrontato a questo. "Hard Candy" è prima di tutto un album ben suonato e ben prodotto, dietro la console abbiamo infatti Steve Cropper, i musicisti che collaborarono a far diventare il disco una pietra miliare del genere vanno da - oltre allo stesso Cropper - David Foster, Victor Feldman, Dennis Parker, i Tower of Power ai fiati e come backing vocals abbiamo gente del calibro di Glenn Frey, Don Henley, L...

RAPSODIA IN BIANCO

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Guardate a cosa mi sono ridotto: approfittare della nevicata dello scorso mercoledì - dalle mie parti una ventina di centimetri come da tradizione - per parlare di lui, il vocione per eccellenza della soul music, anzi dello "Sweet Funk", come da alcune parti lo hanno appellato. Già mi vedo le vostre teste scuotersi con compassione per il sottoscritto: "cavolo, no dai, pure Barry White" ! Ve l'ho detto; è per colpa del tempo, che ancora oggi promette neve, e colpa sua che si chiama(va) White e che con le sue Love Unlimited se ne uscì fuori con "It may be winter outside", tanto per restare in tema. Tre ragazze agghindate in stile Supremes, ma arrivate quando la rivoluzione di James Brown era già avvenuta, un'orchestra che prese si il ritmo funk inventato dal Padrino ma che poi intorno lo rivestì con una cascata di archi e delle melodie adatte alla bisogna (la quale era principalmente quella di finire a fare all'amore). Musica che te la ritrovavi ...

BREZZE ESTIVE E L'OMBRA DI HENDRIX

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Forse pochi sanno che Jimi Hendrix, prima di spiccare il volo, è stato per un breve periodo-durante una tournée alle Isole Bermuda alla fine del 1963 per l'esattezza - la chitarra solista degli Isley Brothers; se qualcuno avesse dei dubbi, oltre che andare a reperire le informazioni a tal proposito, può capire quanto abbia influenzato il gruppo ascoltando "Summer Breeze", superba cover del brano portato al successo dal duo Seals and Croft. L'uso e l'assolo finale della chitarra rimanda al chitarrista di Seattle, ma non solo, l'album da cui è tratto, 3+3 del 1973, contiene anche un'altra traccia, "That Lady", che ripercorre i sentieri tracciati da Hendrix. Va da se' che il chitarrista della band, Ernie Isley , grazie a quella breve presenza di Jimi nella band, ne abbia assimilato tutta l'estrosità e lo stile. Gli Isley Brothers infatti, una volta abbandonata la Motown, poterono esprimere tutto il loro potenziale che fino ad allora era com...

IL SUONO MOTOWN E IL SOUL NORDISTA

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Questa canzone è diventata forse l'archetipo del suono Motown: ritmo saltellante, chitarra, tamburello, batteria, sax e chiaramente la voce che dava l'impronta e caratterizzava il brano. Un sound che, con minime variazioni, è riscontrabile in quasi tutte le produzioni Motown degli anni '60. Sicuro che senza l'apporto di grandi vocalist non avrebbero avuto l'impatto che ebbero nel diventare delle hit mostruose facendo gonfiare il conto in banca di Mr. Gordy. Certe canzoni poi divennero degli inni per la nascente scena Mod di allora, in particolare questo brano, e definirono pure il genere Northern Soul che, caso unico nella storia, prese il nome da dove veniva ballato e ascoltato e non dal luogo dove nasceva artisticamente. Il Torch, il Wigan Casino ed il Blackpool Mecca, questi i dancefloor dove il genere si sviluppò e dove i giovani inglesi del nord si distinsero rispetto a quelli del sud del paese che preferivano il rock e la psichedelia, o tuttalpiù nei locali di...