lunedì 3 febbraio 2025

Drop the Beat: Novità Discografiche

Inizia oggi “Drop the Beat”, una nuova rubrica dedicata alle novità discografiche di musica soul e generi affini (funk, fusion, R&B), senza dimenticare yacht rock e city pop. Appuntamento settimanale, ogni lunedì.


Dancing at the Edge of The World - Brooke Combe (2025, Modern Sky Uk)


Arriva da Londra una nuova artista destinata a conquistare gli amanti del soul autentico: Brooke Combe. Con il suo debutto discografico nel gennaio 2025, la cantante britannica si affaccia sulla scena musicale con un album che è un tuffo nel passato, ma con lo sguardo rivolto al futuro. Il suo suono è sì retro-soul, ma a differenza di altri esponenti del genere – spesso legati al funk o all’R&B classico (come le produzioni della Daptone Records) – Combe sceglie di omaggiare con passione il Northern Soul e le atmosfere pop anni ’60. Cattura l’essenza di melodie danceable e malinconiche, arricchendole con testi contemporanei e una vocalità potente ma misurata. 
 

Il risultato? Un disco fresco che ridà vita allo spirito delle serate all-nighters degli storici club britannici come il Wigan Casino e il Blackpool Mecca, trasformandolo in un linguaggio cucito sui nostri tempi. Mezz’ora di ritmiche incalzanti e passione senza compromessi: un esordio promettente – e se, come si dice, “il buongiorno si vede dal mattino”, c’è ancora speranza per un soul che non si arrende alle mode passeggere.  


Voto 7+/10



Renascence - Cymande (2025, BMG)


A dieci anni dalla loro reunion e a ben 51 anni dal loro ultimo album, ritorna la band britannico caraibica dei Cymande, vero e proprio oggetto di culto per gli appassionati di musica black e fonte infinita di campionamenti da parte di rapper famosi. 

Prodotto da Ben Baptie, Renascence unisce i fondatori Patrick Patterson (chitarra/voce) e Scipio ai fedelissimi Adrian Reid (tastiere) e Raymond Simpson (voce), oltre a una line-up stellare di sassofonisti (Denys Baptiste, Toni Kofi) e percussionisti. Il risultato? Un viaggio eclettico: dal groove claustrofobico di Coltrane ai ritmi dance di The Darkest Night, fino alla ballad soul di Only One Way (con la voce di Celeste). La copertina dell’artista ghanese Koby Martin completa l’opera: un’alba che simboleggia la rinascita, una colomba metamorfica avvolta in una corona d’alloro. Musicalmente, non vi aspettate del funk torrido: la vera "torridezza" risiede nei testi politici di critica sociale e speranza, nati dall’osservazione del materialismo contemporaneo ma sempre improntati a un messaggio ottimista. Ci sono voluti ben cinquant’anni perché i Cymande ottenessero il riconoscimento meritato: una band che ancora oggi rappresenta una fonte d’ispirazione per le nuove generazioni di musicisti.


Voto 7/10



Nyron Higor - Nyron Higor (2025, Far Out Recordings)


Nyron Hygor, insieme a Bruno Berle, Batata Boy e Rogê, fa parte di una vivace nidiata di nuovi artisti dediti al rinnovamento della musica popolare brasiliana, la cosiddetta MPB (Música Popular Brasileira). Dopo l’esordio con un album auto-prodotto, acclamato da trendsetter del calibro di Gilles Peterson e Mr. Scruff, Hygor ha da poco pubblicato un nuovo disco per la prestigiosa etichetta Far-Out Recordings, realizzato in collaborazione con Berle, Batata Boy e la cantante Alici Sol.  

L’album, che alterna brani strumentali a pezzi cantati, colpisce per la sua 

delicatezza e l’emotività delle composizioni. Ispirato alle radici della musica popolare brasiliana, il progetto reinterpreta tradizioni sonore del passato con un tocco moderno, sfoggiando arrangiamenti raffinati e un’atmosfera sospesa tra nostalgia e innovazione.  

Hygor predilige toni personali e intimistici, che hanno il pregio di parlare direttamente all’ascoltatore, trascendendo confini culturali. La sua è una musica contemplativa, dove ogni nota e ogni silenzio sembrano custodire storie universali. Un lavoro che non solo omaggia le eredità della MPB, ma le ridisegna con una sensibilità contemporanea, confermando Hygor come una delle voci più autentiche e promettenti della scena brasiliana odierna.  


Voto 8/10 



Walk With The Father - Charlie Bereal (2025, Death Row Records)


L’etichetta di Snoop Dogg, la Death Row, si è recentemente distinta con produzioni che pescano a piene mani nel soul anni ’70. Ne sono la riprova i progetti di London October e Chooc, e ora anche il nuovo album di Charlie Bereal si inserisce in questo solco.  

Arrivato al terzo disco dopo sei anni di attesa, BeReal regala un lavoro in cui le influenze di icone come Curtis Mayfield e Marvin Gaye traspaiono nitide, complice un cantato in falsetto che omaggia l’epoca d’oro del genere.  

La prima parte del disco si mantiene su alti livelli: spicca Never Gonna Take Away My Love, brano in piena ottica Delfonics che sembra un outtake riscoperto, mentre The Greatest calca con grazia l’atmosfera malinconica degli Stylistics.  

Se nella seconda parte l’album perde un po’ di slancio, con qualche traccia meno memorabile, l’opera nel complesso convince, trasformandosi in un ponte ideale per avvicinare le nuove generazioni ai miti soul che Bereal celebra con devozione.  


Voto 7/10 



Lay Low - Eddie Chacon (2025, Stones Throw Records)


Ritorna l’ex cantante del duo Charles & Eddie dopo il buon esito di Sundown, album pubblicato nel 2023. Se nel precedente lavoro Chacon aveva navigato tra R&B contemporaneo e sfumature di soul classico, stavolta punta decisamente sul retro-soul, ispirandosi alla vena introspettiva di Marvin Gaye ascoltata in album come Here, My Dear. A differenza di altri omaggi al passato, però, l’artista evita nostalgie strumentali o produzioni “vintage”, innestando invece un mood R&B attuale, essenziale e pulito. Il risultato è un progetto solido, anche se non privo di limiti: persiste una certa monocordia emotiva, e manca un brano-icona in grado di risvegliare l’ascoltatore dalla nebbia ipnotica che avvolge le tracce. Nonostante ciò, il disco si conferma piacevole, perfetto per serate intime in compagnia dei propri pensieri. Da lodare la scelta della durata: otto brani per 29 minuti, una lezione di essenzialità per gli artisti R&B che spesso ci sommergono con album mostruosamente lunghi. 


Voto 7-/10



Hurry Up Tomorrow - The Weeknd (2025, The Weeknd XO Music ULC)


Ho molta stima per il canadese Abel Tesfaye e per la sua creatura The Weeknd, artista che spero riesca sempre a stupirmi. Hurry Up Tomorrow è il suo ultimo album, a chiudere la trilogia iniziata nel 2020 con After Hours e proseguita con Dawn FM nel 2022. Devo ammettere, però, che così come per i precedenti lavori, anche questa volta le aspettative sono state disattese. Un vero peccato, perché le potenzialità per creare qualcosa di più sostanzioso ci sarebbero state, eppure Tesfaye continua a indugiare in manierismi e in un pop che a tratti sfocia nel dozzinale. I momenti migliori? Arrivano quando attinge agli anni d’oro dell’R&B e del soul anni Ottanta, o quando “saccheggia” il repertorio di icone come MJ e Prince. Per non parlare della durata: un’ora e venticinque minuti in cui troppi brani invitano a premere “skip”, nonostante qualche sprazzo d’ispirazione. Apprezzabile, ad esempio, il campionamento in un brano di Wild Is the Wind di Nina Simone, ma nel complesso è troppo poco per riscattare l’ascolto. Il talento di Tesfaye è innegabile, eppure resta intrappolato in testi autoreferenziali e in scelte musicali che raramente osano oltrepassare il già sentito. Peccato: basterebbe più coraggio per trasformare un battito d’ali in un volo.

Voto 5/10


sabato 1 febbraio 2025

Doctor Wu presents: Spaghetti Soul - Italian Rare Groove Taste



Tracklist: 

1.   You Can Be Happy - Adriano Celentano
2.   Dust Storm - Gian Piero Reverberi
3.   Amore - Chrisma
4.   No no no - Oscar Prudente
5.   Quattro Giorni Insieme - Loy & Altomare
6.   Colori Rubati - Polifemo
7.   Nun Può Dicere - Peppino Di Capri
8.   Sessuologia - El Pasador
9.   Un Amore Maledetto - Alberto Radius
10. Basta Con Te - Gepy & Gepy
11. La Mia Nave - Stefano Pulga
12. Un’Amicizia Vera - Cico
13. Silvia Non Lo Sa - Alberto Beltrami
14. Non Importa Se - Daniela Giordani
15. Ama~mi - Giovanna
16. FM - Radar
17. Bella e Poi - Nicola Di Bari
18. I Can’t Explain - Cappuccino
19. In Due - Stani Labonia
20. Love is More - S.P.A. Società Per Amore

 

venerdì 31 gennaio 2025

Lost and Found: The Colours Of Chloë - Eberhard Weber (1973, ECM Records)


Quanti capolavori ha regalato il contrabbassista Eberhard Weber alla discografia ECM? Veramente tanti, ma oggi voglio tornare a uno di quelli che ha scolpito il suo nome nella storia: The Colours of Chloë. Pubblicato nel 1973, questo album non è solo un’opera jazz, ma un viaggio attraverso spazi sonori che trascendono le gabbie del genere. È un’esperienza che mescola maestria compositiva, atmosfere ipnotiche e un contrabbasso che parla come una voce umana. Ascoltandolo in profondità, si scopre come Weber abbia contribuito a plasmare il suono tipico dell’etichetta ECM, diventando fonte d’ispirazione per molti musicisti - su tutti Pat Metheny (con cui ha collaborato in Watercolors nel 1977) - che hanno esplorato una fusion scevra da virtuosismi in stile circense, preferendo invece sobrietà e introspezione. A tal proposito, basta ascoltare la title track per cogliere il seme di un’alternativa radicale alla fusion d’oltreoceano.  

The Colours of Chloë è un album che trascende i generi: c’è chi lo definisce jazz ambient, ma io propendo per l’etichetta "ECM sound", che meglio restituisce l’essenza di una musica organica, capace di espandersi e contrarsi come un respiro. Weber tesse paesaggi sonori in cui ogni dettaglio - calibrato con alchimia - evoca emozioni pure, libere da retorica.  

Nato a Stoccarda nel 1939 e formato in ambito classico, Weber ha rivoluzionato il ruolo del contrabbasso nel jazz, ibridandolo con elettronica, effetti looping e una sensibilità vicina alla musica contemporanea. Oltre a The Colours of Chloë, album come Yellow Fields, Silent Feet e Later That Evening rappresentano l’apice di una ricerca timbrica raffinatissima, basata su archetipi melodici e su un uso narrativo del basso elettrico. Nel corso degli anni, Weber è stato un mentore per Kate Bush, collaborando con lei ad alcuni dei suoi album più significativi, come The Dreaming, Hounds of Love e The Sensual World. Weber ha messo la sua maestria a disposizione di altri musicisti, tra cui Gary Burton, Ralph Towner, Bill Frisell e Lyle Mays. Dal 1978, ha fatto del lavoro con Jan Garbarek una priorità: «Abbiamo un’ideale sintonia musicale», ha dichiarato Weber.

Oggi più che mai, in un’era di musica (o pseudo-musica) frenetica e sovraccarica, The Colours of Chloë si rivela un ascolto necessario. Ci ricorda il potere del silenzio, della lentezza, dell’equilibrio. Weber non ha mai temuto di mostrarsi vulnerabile, ed è proprio nell’intimità delle sue composizioni che risiede la sua grandezza senza tempo.


giovedì 30 gennaio 2025

Tokyo Groove: Viaggio Nel City Pop - Anri

Eiko Kawashima, conosciuta artisticamente come Anri, è originaria di Yamato e vanta una carriera di oltre quarant’anni, con 25 album all’attivo e un enorme successo ottenuto in Giappone all’inizio degli anni ’80. La sua notorietà esplose con il brano “Cat’s Eye”, scelto come sigla dell’omonimo anime. I suoi album pubblicati nel 1982 e 1983 sono considerati tra i capolavori del City Pop, oltre a essere tra i più venduti del genere. Autentica ambasciatrice del pop giapponese nel mondo, lo stile di Anri si distingue per un sound che guarda all’Occidente, mescolando elementi di r’n’b, jazz, soft rock e qualche incursione nella disco music.


Heaven Beach - (1982, For Life Records)


L’album Heaven Beach è quello ha fatto conoscere Anri al pubblico occidentale. In questo disco spicca la splendida Last Summer Whisper, un raffinato mid-tempo in stile West Coast pop, amatissimo dai rapper di tutto il mondo, che lo hanno spesso utilizzato come fonte di campionamenti. Il resto dell’album si muove con disinvoltura tra influenze yacht-rock, come nel brano di apertura 二番目のaffair, Fly By Day e Lonely Driving, senza però rinunciare al caratteristico stile pop locale. Quando l’album si addentra nelle ballad, i miei brani preferiti sono Resolution (a differenza di pezzi come la title track e 夏に背を向けて, che indulgono un po’ troppo nelle sdolcinatezze) e Honesty Man. Quest’ultimo si apre con un’intro che richiama la tradizione musicale giapponese, per poi evolversi in sonorità che richiamano il pop americano degli inizi degli anni ’60. 



Timely!! - (1983, For Life Records)


È con il successivo Timely che Anri raggiunge l’apice della sua carriera, realizzando un disco straordinario: un mix perfetto di R&B, Disco, Yacht Rock e suggestioni alla Doobie Brothers, grazie anche alla produzione di Toshiki Kadomatsu, con l'assistenza del compositore e arrangiatore Tetsuji Hayashi. L'album vede anche la partecipazione di due grandi musicisti come il tastierista Jun Sato e il chitarrista fusion Masaki Matsubara. Timely si apre con Cat’s Eye, brano che sarà la sigla dell’omonimo anime (niente a che vedere, per fortuna, con la nostrana Occhi di gatto, provare per credere) ma è una falsa partenza; è con il funk in stile EW&F Windy Summerche l’album prende il volo, e noi con lui. Timely fonde melodie accattivanti, ritmi danzerecci, e testi che sussurrano storie d’amore e libertà. La voce di Anri, leggera ma carica di emotività, è la colonna portante dell’album, sa dosare dolcezza e sensualità in un album suonato magistralmente, con bassi micidiali, un groove fantastico dei fiati, dove non ci si annoia mai e che celebra con rara intensità la gioia di vivere. 


Timely, grazie al rinnovato interesse per il City Pop è diventato nel corso degli ultimi quindici anni un cult a livello globale, un album che ha definito l’estetica del City Pop: un mix di lusso, nostalgia e desiderio d’evasione, perfetto per chi sogna una vacanza che non finisce mai. 


Anri continua a esibirsi dal vivo e ha conquistato anche il pubblico occidentale, mantenendo intatta la sua passione per la musica.







mercoledì 29 gennaio 2025

Tokyo Groove: Viaggio Nel City Pop - Minako Yoshida - Seconda Parte

Seconda parte ed ultima parte della puntata dedicata a Minako Yoshida 

Nel 1981 e nel 1982 Yoshida pubblica due album molto simili tra loro, contenenti alcune canzoni che sono diventate dei classici del City Pop influenzato dal funk. Questo periodo segna l’apice della sua carriera come artista funk, al punto che Yoshida viene soprannominata “la regina del funk”.


Monsters in Town - (1981, Alfa)


Monsters in Town, (prodotto e arrangiato dalla stessa Yoshida) pubblicato nel 1981, si apre con la stratosferica Town, un brano funk caratterizzato da notevoli aperture melodiche e da una lunga coda strumentale arricchita da un assolo di sax in stile hard-bop. Questo pezzo, rimasto troppo a lungo sconosciuto al pubblico occidentale, vale da solo l’intero album. Tuttavia, il resto del disco, pur di ottima fattura, non raggiunge lo stesso livello.

Il prosieguo dell’album è dominato da ballad e brani mid-tempo, tra cui spiccano Lovin’ You e, ancora di più, Black Eye Lady, in perfetto stile westcoast. Sono brani apprezzabili, ma dopo un inizio così potente ci si aspetterebbe una maggiore continuità nella direzione funk, che comunque si ritrova in alcuni episodi successivi. Ad esempio, Monster Stomp è un altro ottimo esempio di funk giapponese dal ritmo “strascicato”, così come Knock Knock, che segue la stessa linea.



Light’n’Up - (1982, Alfa)


Nel 1982 esce Light’n’Up, album in parte registrato tra Tokyo e New York, che si apre in grande stile con il  brano omonimo. Questo pezzo straordinario mescola disco, funk e melodia, mantenendo un’anima profondamente giapponese. Il brano è di per sé cosmopolita e urbano nel miglior senso del termine, indipendentemente dalla presenza dei Brecker Brothers, che tuttavia aggiungono ulteriore spessore alla composizione. Un dettaglio che trovo irresistibile è il flauto, suonato all’unisono con gli archi, che interviene al termine di ogni strofa, regalando al pezzo una potenza unica.

Anche solo per la forza di questo brano, Light’n’Up sarebbe un album da ricordare, ma, come in Monster in Town, a sparigliare le carte arrivano i brani mid-tempo. Rispetto all’album precedente, questi pezzi si distinguono per una maggiore aderenza allo stile yacht-rock e risultano più equilibrati e centrati. Un contributo decisivo arriva dal sax di Michael Brecker, che offre un lavoro semplicemente memorabile. In tal senso, consiglio vivamente di ascoltare 頬に夜の灯 e 風, due brani che ne sono un perfetto esempio. Il gospel torna a fare capolino in Morning Prayer, mentre il funk riemerge in Reflection, un altro ottimo brano influenzato dalla migliore disco. Ma è nella conclusiva Alcoholler che siamo davanti ad un autentico capolavoro di funk cosmico: sei minuti di pura energia, con passaggi dissonanti e un arrangiamento audace che si muove tra groove ipnotici e sperimentazioni sonore, chiudono l’album con un’esplosione di creatività.


FINE DELLA SECONDA E ULTIMA PARTE








martedì 28 gennaio 2025

Tokyo Groove: Viaggio Nel City Pop - Minako Yoshida - Prima Parte


Minako Yoshida è una delle mie artiste preferite nell’ambito del City Pop, una musicista che, nella sua lunga carriera, ha esplorato i generi più disparati. 

Insomma, con Minako Yoshida è difficile annoiarsi: ogni suo disco è una scoperta.

Nata a Saitama il 7 aprile 1953, Yoshida si avvicinò alla musica durante gli anni del liceo, dove conobbe i musicisti Haruomi Hosono e Takashi Matsumoto, i quali le consigliarono di dedicarsi alla musica a tempo pieno. Nel 1969 formò una band, i Puff, che però ebbe vita breve. Dal 1973 iniziò la sua carriera da solista con un album prodotto da Haruomi Hosono, dando il via a una lunga serie di lavori: sono infatti ventitré gli album pubblicati da Yoshida, l’ultimo dei quali risale al 2019.

Minako Yoshida ha avuto due grandi passioni musicali: Carole King e, soprattutto, Laura Nyro. Tuttavia, nel corso del tempo, è riuscita con ottimi risultati a cimentarsi anche in brani funk e pop, caratterizzati da influenze West Coast.

In particolare, analizzeremo quattro album, che considero tra i migliori della sua discografia, per osservare come si sia evoluto il suo percorso artistico.



Twilight Zone - (1977, RCA)


Nel 1977 Minako Yoshida pubblica Twilight Zone, (prodotto da Yoshida insieme al grande Tatsuro Yamashita) un album straordinario e il primo in cui l’artista riesce a realizzare pienamente la sua visione musicale, componendo brani influenzati dal soul, dal jazz e dal gospel. La somiglianza con le opere di Laura Nyro, in particolare con i suoi primi album, è evidente e rappresenta uno degli elementi distintivi del disco.

L’album è composto interamente da brani originali di Yoshida, caratterizzati da una base pianistica e da un’atmosfera introspettiva, arricchita da magnifiche aperture soul. Fiati e arrangiamenti orchestrali contribuiscono a creare un’intensità emotiva e un pathos che permeano tutto il lavoro. Per gli appassionati di Laura Nyro, Twilight Zone è un ascolto imprescindibile: difficilmente un’artista è riuscita a catturare così da vicino l’essenza della musica della cantautrice americana.

È difficile consigliare brani specifici, poiché ogni traccia brilla di luce propria. Tuttavia, meritano una menzione speciale: 駆けてきたたそがれ (Runner), intrisa di un’anima soul irresistibile; メロディー (Melody), con il suo sottile tocco gospel, dove organo e pianoforte si intrecciano alla perfezione con la voce di Yoshida; e soprattutto 恋は流星 (Shooting the Star of Love), scelto anche come singolo, un brano pop-soul straordinario e uno degli esempi migliori del City Pop. 



Monochrome - (1980, Alfa)


Saltiamo a piè pari il 1978, anno in cui Yoshida pubblica l’album Let’s Do It, un lavoro fortemente influenzato dalla disco ma non del tutto ascrivibile a quel genere (altrimenti non sarebbe City Pop). Un album piacevole, senz’altro, ma preferisco concentrarmi su Monochrome, pubblicato nel 1980, che considero il capolavoro di Yoshida nonché uno dei migliori esempi assoluti del City Pop.

Come possiamo ascoltare, il genere è estremamente sfaccettato e capace di inglobare molteplici influenze, non essendo stato unicamente appannaggio dei cosiddetti “pop idol”. In Monochrome, le canzoni si sviluppano su una base pianistica; tuttavia, mentre in Twilight Zone il riferimento imprescindibile era Laura Nyro, in questo disco Yoshida affina ulteriormente la sua arte, consegnandoci un lavoro profondamente personale e introspettivo, arricchito da canzoni memorabili.

L’album è realizzato con l’apporto di soli sei musicisti, che riescono a catturare perfettamente le atmosfere notturne del disco, dove il pop si intreccia sapientemente con sfumature jazz da club, perfette per i nottambuli. Tutti i brani di Monochrome sono firmati da Yoshida, ad eccezione di Rainy Day, co-scritto insieme a Tatsuro Yamashita. Quest’ultima traccia è davvero straordinaria, con un mood notturno di grande suggestione. L’album contiene anche dei brani dove il funk inizia a fare capolino, come in Black Moon (notare le somiglianze con Going Back To My Roots) il blues come si può ascoltare nella ballad Sunset, poi ancora atosfere alla Carole King come ascoltabile in Airport e Mirage. Il funk ritorna in bello stile in Midnight Drive, un antipasto di quello che Yoshida realizzerà negli anni successivi.

Interamente prodotto da Yoshida, Monochrome, a costo di ripetermi, è un fottuto capolavoro. 


FINE DELLA PRIMA PARTE







lunedì 27 gennaio 2025

Novità: Heal Me Good - Yufu (2025, Zip Records)

 

Il panorama del retro-soul si arricchisce di un nuovo nome: Yufu, un’artista originario di Taiwan che trascorre gran parte del suo tempo in Giappone. Yufu ha pubblicato il suo primo album appena tre giorni fa, e questo debutto, intitolato Heal Me Good, è un autentico piacere per gli amanti del soul.

Yufu ha iniziato la sua carriera musicale in una band di rock psichedelico, i Crocodile. Tuttavia, il fatto di essere cresciuto in una casa dove i genitori erano grandi appassionati di soul anni ‘70 ha avuto un’influenza decisiva su di lui. Ascolto dopo ascolto, Yufu si è avvicinato sempre di più a quel mondo musicale, fino a sviluppare una vera e propria passione per il soul, che lo ha portato ad abbandonare sia la band che la psichedelia.

Devo ammettere che ho sempre avuto qualche riserva verso il retro-soul, un genere che spesso mi è parso inflazionato e talvolta ridotto a semplici esercizi di stile. Eppure, l’ascolto di Heal Me Good mi ha piacevolmente sorpreso. Yufu riesce a fondere influenze di giganti come Stevie Wonder e il Marvin Gaye degli anni ’70, affiancandovi altri riferimenti significativi come Timmy Thomas e Tyrone Davis, aggiungendo però una sua cifra personale, che dona freschezza e autenticità al progetto.

L’album è composto da dieci brani che si alternano tra tracce funk energiche e momenti più riflessivi, mantenendo sempre un’invidiabile eleganza. La sequenza scorre senza intoppi dall’inizio alla fine, e per uno scettico come me questo è già un risultato notevole.

Heal Me Good merita decisamente un ascolto, potrebbe sorprendervi quanto ha sorpreso me.

Top brani: 

Are You Elevated?

2nd Dose of Love

I Got a Taste of My Own Medicine 


venerdì 24 gennaio 2025

Scali Fuori Rotta: Venus in Cancer - Robbie Basho (1969, UMG Recordings)

 


Riascoltando Venus in Cancer, sesto album del chitarrista Robbie Basho pubblicato nel 1969, è difficile non notare come, in un certo senso, egli abbia anticipato alcune sonorità che sarebbero diventate popolari a partire dagli anni ’80. Nato nel 1940 a Baltimora, Basho era pianista, cantante, ma soprattutto un maestro della chitarra a corde d’acciaio, strumento che suonava con uno stile talmente peculiare e unico da distinguerlo nettamente dai chitarristi più celebri della sua epoca.

Il nome Basho era uno pseudonimo, scelto durante gli anni universitari in omaggio al poeta giapponese Matsuo Bashō, segno del suo profondo interesse per l’arte e la cultura orientale. Il suo approccio musicale si radicava nello stile definito “American Primitive”, ma lo ampliava in modo significativo, integrandovi influenze persiane, indiane e giapponesi. In questo senso, si può considerare Basho un precursore della musica new age, pur discostandosi profondamente dal minimalismo e dalla rilassatezza tipici di quel genere: il suo modo di suonare la chitarra era infatti molto dinamico e virtuosistico. Allo stesso modo, il suo uso del canto – espressivo e spirituale – mirava a creare stati emotivi profondi attraverso il suono, anticipando in parte l’idea di un’esperienza musicale trascendente.

Non è azzardato sostenere che l’arte di Basho abbia prefigurato anche alcune delle sonorità tipiche dell’etichetta ECM. Basho mescolava tradizioni culturali diverse, avvicinandosi per certi versi all’approccio di un musicista come Jan Garbarek. Entrambi condividevano la ricerca del potere evocativo della musica, ma Basho portava questa ricerca nel campo della chitarra a 12 corde, con accordatura aperta, tipica della musica indiana. A differenza della perfezione sonora tipica dei dischi ECM, però, le produzioni di Basho risultavano meno sofisticate sul piano tecnico, il che non sminuiva minimamente il valore pionieristico della sua opera. Anzi, Basho ha aperto la strada a un approccio globale e spirituale alla musica, come dimostra proprio Venus in Cancer.

Va detto, però, che questo non è un disco facile. Non è un ascolto leggero, non è un album modaiolo, e non è il tipo di musica che si può relegare a uno sfondo da apericena o, peggio, da compilation in stile Buddha Bar. Venus in Cancer richiede un approccio meditativo, quasi devozionale, per entrare in sintonia e comunione con l’universo musicale di Basho. Ma una volta entrati, difficilmente se ne esce: è un’esperienza che rimane.

Per chi volesse avvicinarsi a Basho in modo graduale, consiglio di partire da uno dei brani più “accessibili” dell’album: Song for the Queen. Qui Basho si avvale dell’accompagnamento di Moreen Libet alla viola e Kreke Ritter al corno francese, creando un’intensità sonora che rende questo pezzo una porta d’ingresso ideale nel suo mondo.

Robbie Basho ha lasciato questa valle di lacrime il 28 Febbraio 1986.

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