Riascoltando Venus in Cancer, sesto album del chitarrista Robbie Basho pubblicato nel 1969, è difficile non notare come, in un certo senso, egli abbia anticipato alcune sonorità che sarebbero diventate popolari a partire dagli anni ’80. Nato nel 1940 a Baltimora, Basho era pianista, cantante, ma soprattutto un maestro della chitarra a corde d’acciaio, strumento che suonava con uno stile talmente peculiare e unico da distinguerlo nettamente dai chitarristi più celebri della sua epoca.
Il nome Basho era uno pseudonimo, scelto durante gli anni universitari in omaggio al poeta giapponese Matsuo Bashō, segno del suo profondo interesse per l’arte e la cultura orientale. Il suo approccio musicale si radicava nello stile definito “American Primitive”, ma lo ampliava in modo significativo, integrandovi influenze persiane, indiane e giapponesi. In questo senso, si può considerare Basho un precursore della musica new age, pur discostandosi profondamente dal minimalismo e dalla rilassatezza tipici di quel genere: il suo modo di suonare la chitarra era infatti molto dinamico e virtuosistico. Allo stesso modo, il suo uso del canto – espressivo e spirituale – mirava a creare stati emotivi profondi attraverso il suono, anticipando in parte l’idea di un’esperienza musicale trascendente.
Non è azzardato sostenere che l’arte di Basho abbia prefigurato anche alcune delle sonorità tipiche dell’etichetta ECM. Basho mescolava tradizioni culturali diverse, avvicinandosi per certi versi all’approccio di un musicista come Jan Garbarek. Entrambi condividevano la ricerca del potere evocativo della musica, ma Basho portava questa ricerca nel campo della chitarra a 12 corde, con accordatura aperta, tipica della musica indiana. A differenza della perfezione sonora tipica dei dischi ECM, però, le produzioni di Basho risultavano meno sofisticate sul piano tecnico, il che non sminuiva minimamente il valore pionieristico della sua opera. Anzi, Basho ha aperto la strada a un approccio globale e spirituale alla musica, come dimostra proprio Venus in Cancer.
Va detto, però, che questo non è un disco facile. Non è un ascolto leggero, non è un album modaiolo, e non è il tipo di musica che si può relegare a uno sfondo da apericena o, peggio, da compilation in stile Buddha Bar. Venus in Cancer richiede un approccio meditativo, quasi devozionale, per entrare in sintonia e comunione con l’universo musicale di Basho. Ma una volta entrati, difficilmente se ne esce: è un’esperienza che rimane.
Per chi volesse avvicinarsi a Basho in modo graduale, consiglio di partire da uno dei brani più “accessibili” dell’album: Song for the Queen. Qui Basho si avvale dell’accompagnamento di Moreen Libet alla viola e Kreke Ritter al corno francese, creando un’intensità sonora che rende questo pezzo una porta d’ingresso ideale nel suo mondo.
Robbie Basho ha lasciato questa valle di lacrime il 28 Febbraio 1986.
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