venerdì 31 gennaio 2025

Lost and Found: The Colours Of Chloë - Eberhard Weber (1974, ECM Records)


Quanti capolavori ha regalato il contrabbassista Eberhard Weber alla discografia ECM? Veramente tanti, ma oggi voglio tornare a uno di quelli che ha scolpito il suo nome nella storia: The Colours of Chloë. Pubblicato nel 1973, questo album non è solo un’opera jazz, ma un viaggio attraverso spazi sonori che trascendono le gabbie del genere. È un’esperienza che mescola maestria compositiva, atmosfere ipnotiche e un contrabbasso che parla come una voce umana. Ascoltandolo in profondità, si scopre come Weber abbia contribuito a plasmare il suono tipico dell’etichetta ECM, diventando fonte d’ispirazione per molti musicisti - su tutti Pat Metheny (con cui ha collaborato in Watercolors nel 1977) - che hanno esplorato una fusion scevra da virtuosismi in stile circense, preferendo invece sobrietà e introspezione. A tal proposito, basta ascoltare la title track per cogliere il seme di un’alternativa radicale alla fusion d’oltreoceano.  

The Colours of Chloë è un album che trascende i generi: c’è chi lo definisce jazz ambient, ma io propendo per l’etichetta "ECM sound", che meglio restituisce l’essenza di una musica organica, capace di espandersi e contrarsi come un respiro. Weber tesse paesaggi sonori in cui ogni dettaglio - calibrato con alchimia - evoca emozioni pure, libere da retorica.  

Nato a Stoccarda nel 1939 e formato in ambito classico, Weber ha rivoluzionato il ruolo del contrabbasso nel jazz, ibridandolo con elettronica, effetti looping e una sensibilità vicina alla musica contemporanea. Oltre a The Colours of Chloë, album come Yellow Fields, Silent Feet e Later That Evening rappresentano l’apice di una ricerca timbrica raffinatissima, basata su archetipi melodici e su un uso narrativo del basso elettrico. Nel corso degli anni, Weber è stato un mentore per Kate Bush, collaborando con lei ad alcuni dei suoi album più significativi, come The Dreaming, Hounds of Love e The Sensual World. Weber ha messo la sua maestria a disposizione di altri musicisti, tra cui Gary Burton, Ralph Towner, Bill Frisell e Lyle Mays. Dal 1978, ha fatto del lavoro con Jan Garbarek una priorità: «Abbiamo un’ideale sintonia musicale», ha dichiarato Weber.

Oggi più che mai, in un’era di musica (o pseudo-musica) frenetica e sovraccarica, The Colours of Chloë si rivela un ascolto necessario. Ci ricorda il potere del silenzio, della lentezza, dell’equilibrio. Weber non ha mai temuto di mostrarsi vulnerabile, ed è proprio nell’intimità delle sue composizioni che risiede la sua grandezza senza tempo.


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