venerdì 30 marzo 2012

LOST AND FOUND: GOLD - LOST TREASURE FROM 1974


Questo è un disco che doveva vedere la luce nel 1974, solo che non l'ha mai vista, se non lo scorso anno. Succede che questa band (s)conosciuta come "Gold" abbia inciso del materiale per pubblicare un album, ma che per i casi della vita questi non siano mai stati messi su disco e che i nastri siano finiti abbandonati dentro una scatola nel capannone posto dietro agli studi di registrazione, nei pressi di Las Vegas. Fatto sta che il produttore di allora, nonché co-autore dei brani della band, Avellino Pitts, li ha ritrovati dopo essere stato interpellato per una riedizione dell'unico 45 giri, "What About The Child", rimasto fino a pochi mesi fa come unica testimonianza dell'esistenza della band. Insomma, che la storia sia vera o no poco importa, quel che è sicuro è che ci troviamo di fronte ad un bel sentire di funk e ballate soul con un bel groove psichedelico, brani essenziali e semplici senza essere troppo caricati di inutili orpelli. Le vie del funk, come vedete, sono infinite e le sue vite sono come quelle dei gatti, quando lo danno per spacciato, risorge sempre.
Love and peace, fratelli.

Gold - Ain't That Funky Enough

Gold - People Will Be People

martedì 27 marzo 2012

IL DEEP FUNK DEI THIRD COAST KINGS


E' luogo comune associare la rabbia e l'energia in campo musicale con canzoni che inevitabilmente portano a dischi con potenti riff suonati da massicce chitarre, ma anche da chi si diletta nel punk et similia. Quando invece si parla di musica nera, quello che viene in mente a molti sono i ritmi della disco, il funk annacquato di Prince ed il pop soul di Michael Jackson ultima maniera (dimenticandosi colpevolmente il primo, perlomeno fino ad Off The Wall). Se parliamo di funk poi, viene rimarcata la baracconaggine di James Brown, Sly Stone e dei Parliament/Funkadelic, senza pensare per un solo momento che in quanto a rabbia ed energia il funk non è da meno dei generi succitati. Forse perché la storia del funk è stata fatta dai musicisti neri e ben sappiamo quanto la critica bianca e rockcentrica abbia una buona parte di responsabilità in tutto ciò. Per fortuna esistono realtà fatte da musicisti (anche bianchi) e discografici che fregandosene di barriere artificiose create ad arte hanno assunto il verbo del funk come unica verità e come uno dei generi da portare avanti con orgoglio. Tutto questo preambolo mi serve per annunciare l'uscita del primo album dei Third Coast Kings, ottetto proveniente dal Michigan, dedito a suonare un deep funk potente che riporta ai fasti del genere, partendo dal padrino James Brown fino ai funkster più oscuri dei primi anni settanta. L'etichetta che prosegue caparbia nel proporre queste nuove realtà è la benemerita Record Kicks di Milano, un punto di riferimento per gli amanti del genere e foriera di proposte sempre più interessanti. L'album dei Third Coast Kings segue due dei dischi più belli del 2011, quello dei The Baker Brothers e di Nick Pride and The Pimptones. Questo, a differenza degli altri due, rimarca ancora di più la forza del funk, con una sezione ritmica che è una vera forza della natura, ruvidi riff di chitarra e una raffinata sezione fiati a controbilanciare la ruvidezza del sound, che ricorda e si ispira ai JB's di browniana memoria. Ascoltate ad esempio il primo brano "Come on", ma anche la straordinaria "Cop it Croper" ed il brano scelto come primo singolo, "Spicy Brown", per proseguire poi in brani che ammiccano alla blaxploitation, non dimenticando il soul più groovy dalle suggestioni jazz. Insomma, i nostri eroi della Record Kicks hanno di nuovo raggiunto il bersaglio grosso, e finché ci saranno dei ragazzi che abbinano passione e lavoro con band che macinano note e sudore, il futuro del funk appare sempre più vivo.

domenica 25 marzo 2012

DOOBIES AD HONOREM


Vi ricordate Linus, il bimbo che nei fumetti di Charles Schulze se andava in giro con l'immancabile coperta? L'artista di oggi è simile a Linus, ma al posto della coperta si portava dietro un'immagine di Michael Mc Donald versione Doobie Brothers, tante sono le affinità artistiche tra i due. Robbie Dupree -vero nome Robbie Dupuis - ha scritto alcune della pagine più belle del pop westcoast, il suo timbro vocale ricorda appunto quello del suo nume tutelare, senza essere una mera imitazione, ed il primo album che ha licenziato è una bella raccolta di canzoni scritte di suo pugno più altre prese dal repertorio di Bill LaBounty e Bill Champlin, come dire la crema della produzione pop californiana. Il brano guida del primo bellissimo omonimo album, "Hot Road Hearts", con quel tipico e stupendo sound da FM station americana, ebbe anche un discreto successo negli States, qui da noi girò immancabilmente tra la massoneria degli appassionati della westcoast, ed è stato uno dei primi dischi che ho avuto del genere, propedeutico per addentrarsi nei meandri della produzione losangelina di musica raffinata e di qualità. Guidato da Rick Chudacoff al basso e dal batterista Peter Brunetta che produssero anche il secondo album di Dupree, il nostro raggiunse come detto delle vette di qualità altissime, ascoltare come sono strutturati gli arrangiamenti e le parti vocali, per poi scomparire per otto anni dalla scena musicale, destino ahimè simile ad altri artisti del genere, troppo diversi e troppo orgogliosi per annacquare il loro sound con il solito poppettino sciapo da classifica.

venerdì 23 marzo 2012

LA DONNA DI FIORI


Il sax di Joe Lovano introduce una canzone scritta da Stevie Wonder per Michael Jackson, Esperanza Spalding, cantante jazz, bassista e violinista entra in scena per una delle più belle cover del repertorio dell'ex bambino prodigio del soul. "I can't help it" fa parte del nuovo album di Esperanza, "Radio Music Society", uscito lo scorso 20 Marzo, un disco che è il seguito complementare di "Chamber Music Society" del 2010 e dove lì si esploravano delicate trame jazz in versione di musica da camera, qui, come dice la stessa Spalding, viene privilegiata "l'analisi jazzistica di una forma canzone e melodie che vengono comunemente definite come pop". Ci troviamo di fronte ad un lavoro di una eleganza e raffinatezza estrema, roba da palati fini, dove il jazz incontra il soul più morbido, ma tutto ciò senza risultare troppo caramelloso ed appiccicoso, dodici brani che faranno storcere il naso ai puristi di ogni ordine e grado, qui in particolare agli amanti del jazz "tradizionalista"; peggio per loro, tanto più che la nostra donna di fiori si rifà alla tradizione degli anni '70, quando i jazzisti più illuminati rivolsero le loro attenzioni ai suoni della strada, soul, funk e ritmi latini, mischiando quei suoni e abbattendo di fatto le barriere tra un intellettualismo fine a se stesso e la musica popolare.
La riuscita dell'album si deve alla sensibilità della Spalding nel ripescare dei gioielli e riproporli, come anche notevoli sono i brani originali - uno per tutti "Cinnamon Tree" scritto da lei medesima - e ad una schiera di musicisti che marciano spediti come un treno, il citato Lovano ma anche Jack DeJonette e Billy Hart, Terry Lyne Carrington e il chitarrista Jeff Lee Johnson, tanto per citarne alcuni. Un'altro album da segnare per il 2012 ed un consiglio per chi ha amato "Aja" degli Steely Dan: qui c'è pane per i vostri denti.


mercoledì 21 marzo 2012

GROOVE ENERGETICO


A vederli con quelle sgargianti tutine colorate con il "pacco" in bella vista, i più penseranno all'ennesimo stereotipo di band nera tamarra arrivata dagli anni '70. I Con Funk Shun non saranno stati il massimo dell'eleganza ma sicuramente non mancavano di stile, e se i loro costumi di scena vi fanno rabbrividire, basta attaccare uno dei loro pezzi per dimenticarsi lustrini e "pacchi" assortiti. Nel presentarvi la band, attiva ancora oggi dai seventies, potrete notare le similitudini con altre del periodo, mi vengono in mente gli EWeF ed i Commodores, quel che è certo è che i loro brani vengono suonati ancora oggi a trent'anni di distanza, nonostante non sia stata una band dal successo paragonabile alle altre due succitate, anche se il loro buon seguito lo avevano e lo hanno ancora adesso. Superbi arrangiamenti fiatistici, un groove superbo ed energico, melodie che ti si stampano nel cervello, due brani memorabili che bastano e avanzano per inserirli nel pantheon degli dei del funk, il qui presente "Good to be enough" e "Ffun", quest'ultimo un bel tormentone e numero uno delle classifiche. Una curiosità: i Con Funk Shun hanno festeggiato nel 2008 con una crociera insieme ai loro fans il trentacinquesimo anniversario della nascita della band.

martedì 20 marzo 2012

CHUCK WOOD vs. DEXY'S MIDNIGHT RUNNERS: SEVEN DAYS TOO LONG


Ritornano le sfide tra brani che hanno fatto la storia della musica o perlomeno la storia di un genere ben definito, come in questo caso. Si parla di Northern Soul, la canzone "Seven Days Too Long", in origine cantata da Chuck Wood, per chi bazzica il genere, è poco meno di un inno, una canzone che anche nella versione dei Dexy's non perde la carica dell'originale, ma anzi, nel riproporla al pubblico agli inizi degli '80, resero giustizia ad uno stile e ad una cultura tanto sfuggente ad ogni catalogazione ed irreggimentazione da parte del music business, quanto emozionale in ogni sua singola canzone. Un bel pareggio si va a profilare quest'oggi, con una leggera preferenza semmai alla cover dei Dexy's, che presero il brano e lo attualizzarono ai tempi, rendendo di nuovo "moderni" ed indispensabili quei suoni caduti nell'oblio della storia. Questo è il Northern Soul, non solo musica ma uno stile ben definito nato dalla working class inglese e che non ha niente a che spartire con lo stile comunemente inteso, niente "briatori" e tronisti qui, e che trova il modo di rinnovarsi sempre, pur rivolgendosi al passato.
Keep the faith !



venerdì 16 marzo 2012

SUONI DAL PASSATO PER IL FUTURO


Ci sono artisti che travalicano i tempi e le mode, il 24enne Michael Kiwanuka musicista londinese di origine ugandese è uno di questi. Il suo primo album, "Home Again" potrebbe essere uscito nel 1972 o giù di lì invece di qualche giorno fa', prendi la sua voce ad esempio; era dai tempi di Bill Withers che non si ascoltava una vocalità talmente pura e cristallina da farti venire le lacrime agli occhi. Per non parlare della musica: una miscela di Soul e Folk che rimanda a John Martyn e Terry Callier, arpeggi nudi di chitarra con arrangiamenti di archi che hanno la decenza di non cadere nello sdolcinato, una musica che arriva da lontano ma che, vista la quantità industriale di merda musicale che dobbiamo sopportare nelle radio e nelle tv mainstream, giunge a noi come nuova e come una benedizione dal cielo. La stessa modalità di costruzione dell'album ricorda quella del passato: uscita di ep e singoli, non più sui 45 giri ma su you tube ed i-tunes, per poi essere riuniti in un unico disco. Se Michael Kiwanuka non ascolterà le sirene del music business forse riusciremo ad avere un musicista per cui varrà di nuovo la pena spendere non solo parole ma anche qualche spicciolo e se a qualcuno tutto questo può sembrare come un esercizio sterile di retrofuturo, beh, affari suoi: qui c'è tanta carne al fuoco e in alcune canzoni sembra di trovarsi di fronte ad un Nick Drake virato soul. Ascoltare per credere.





mercoledì 14 marzo 2012

FUNKY A GO GO


Anzi, per meglio dire, funk e go-go. Le due cose stanno insieme, sissignori, visto che il go-go, anzi la go-go music è un sottogenere del funk, nato e sviluppatosi nell'area di Washington D.C. intorno alla metà degli anni '60, e andato avanti più o meno fino alla fine dei '70. E così come il funk aveva il suo "godfather", anche il go-go ne aveva uno.
Faceva Brown di cognome, vedi te le coincidenze, e Chuck di nome. La sua band era chiamata come una congrega di fratacchioni in cerca di anime da redimere, "The Soul Searchers" e se dopo l'ascolto di "Bustin' Loose" non vi sarete redenti al verbo funk, beh, sicuramente dentro di voi c'è qualcosa che non funziona! A parte gli scherzi, "Bustin' Loose" divenne l'inno ed il brano più famoso della go-go music, canzone contagiosa e coinvolgente ancora adesso a trentatré anni di distanza. Il go-go altro non era che una miscela di funk, r'n'b, percussioni lo-fi, le congas erano un punto focale di ogni band go-go che si rispettasse, era il classico genere da dance-hall, enfatizzato come in una funzione religiosa da chiesa battista in "chiamata e risposta" tra il pubblico presente e gli artisti sul palco. Tecnicamente - e qui mi viene in soccorso wikipedia, sempre sia lodata - la go go music aveva un beat puntato e sincopato che consisteva in una serie di note quarte e ottave, sottolineate dalla grancassa, dal rullante e dall' hi-hat, ornata dagli strumenti a percussione, congas, timbales e campanacci. Questo è quanto, più o meno, se volete sapere altro in rete troverete tutto quello che vi aggrada, comprese nozioni tecniche più approfondite, qui da me si viene per ascoltare musica, ed è quello che farò senza tediarvi più del necessario.
Buon ascolto !

lunedì 12 marzo 2012

UN GIOIELLO NASCOSTO


Quest'oggi invece di recarsi in California, per la nostra rassegna settimanale di artisti westcoastiani, ci spostiamo ad est, in Ohio, per la precisione nella cittadina di Dayton. Dayton come città e scena che ha dato i natali agli Ohio Players, alla Bootsy's Rubber Band e alla Dazz Band, nonché al gruppo che prende il nome dalla città, i Dayton. Il combo ha pubblicato cinque album nel periodo che va dal 1980 al 1985 ed oggi ci occuperemo di un brano che pur non essendo tipico dei suoni della west coast lo ricorda per come è strutturato. E' il secondo pezzo del quarto album della band "Feel The Music" uscito nel 1983, che considero il loro masterpiece: un disco che riesce ad abbinare il funk con il pop, figlio del suo tempo, qui infatti abbondano synth a manetta, ma grazie ad un uso magistrale degli strumenti e sopratutto con dei brani talmente belli nella scrittura e nelle melodie, a dimostrazione di una maturità raggiunta partendo dalle sonorità funk ereditate dagli anni '70. Ritornando al brano in questione, "It Must Be Love", si tratta di un mid-tempo che farebbe la sua porca figura anche in album dei nostri tempi, canzone carezzevole e calda nonostante la strumentazione "sintetica". Un peccato che i Dayton siano stati uno dei gruppi più sottostimati dell'epoca e anche a causa di questo, chi oggi volesse entrare in possesso di un loro disco, deve snocciolare centinaia di euro. Ne risentirete parlare nel blog, questo è certo.

venerdì 9 marzo 2012

L'ESPERIMENTO DEL DOTTOR GLASPER


Robert Glasper, pianista jazz da Houston, Texas, è un artista di confine a cui piace mischiare nelle sue creazioni le varie declinazioni della musica afroamericana tra cui l'hip hop ed il neo-soul, riuscendo così a creare qualcosa di nuovo e di non scontato nel paludato mondo del jazz. Oltre a suonare nel suo trio, Glasper è anche leader del "Robert Glasper Experiment" il quale ha pubblicato lo scorso Febbraio per la Blue Note Records un album intitolato "Black Radio", suonato insieme ad alcuni dei nomi più interessanti del neo-soul, tra cui spiccano Erikah Badu, Lalah Hathaway, Lupe Fiasco, Musiq Soulchild e Bilal. Contaminazione quindi, come Miles Davis ed Herbie Hancock hanno operato negli anni passati, per un disco che è un nuovo punto di ripartenza per la musica jazz, di impatto immediato e totale, c'è chi l'ha paragonato ad "Attica Blues" di Archie Shepp e non sia blasfemo l'accostamento, qui dentro c'è un concetto di musica nera attuale nella sua totalità, aldilà di ogni genere, pur avendo nel jazz la sua spina dorsale. Ogni canzone merita di essere approfondita per poterne cogliere tutte le sfumature, in questo piccolo spazio voglio farvi ascoltare "Afro Blue" con alla voce la divina Erikah Badu, riproposizione di un brano scritto a suo tempo da Mongo Santamaria e poi, udite udite, la cover di "Smells Like Teen Spirit" dei Nirvana, come non l'avete mai sentita: una versione soul-jazz cantata con l'aggiunta del vocoder talmente spiazzante, improbabile e distante dall'originale da essere l'unica credibile e riuscita tra tutte le versioni sin qui realizzate. Quindi forza, ascoltate il disco e se anche non rientra nelle vostre corde, provatelo comunque, c'è dentro musica buona.



mercoledì 7 marzo 2012

NON NE HO MAI ABBASTANZA !


"Non ne ho mai abbastanza, di quella roba funky, dico wo wo wo...wo wo yeah". Così parlarono più o meno i Kool and The Gang nell'Ottobre del 1973, quando diedero alla luce "Funky Stuff", una cavalcata ritmica martellante di tre minuti e destinata a restare scolpita come un blocco di granito nella storia del genere. Chi ha memoria dei Kool and The Gang versione anni '80 se li dimentichi e corra ad ascoltarsi quello che furono in quegli anni. James Brown li definì la "seconda band più carogna in circolazione", dopo la sua, ovviamente, e ascoltando questo brano, come dargli torto. Il pezzo inizia con un fischio, per poi proseguire con una precisa e matematica punteggiatura di fiati che vanno ad incastrarsi con precisione nelle frasi ritmiche secche e martellanti costruite dal basso e dalla chitarra, formando un groove micidiale che cambiò radicalmente il modo di fare musica black, sfidando sul suo stesso terreno, quello che era il sound di James Brown. Strana anche la mia conoscenza della band: iniziai ad ascoltarli come credo molti appassionati con i successi degli anni '80, ma quelle canzoncine così "appiccicose" dovevano per forza arrivare da molto lontano. La mia curiosità mi portò quindi ad iniziare un cammino a ritroso fino ad arrivare ai dischi più significativi della band. Il premio fu quello di scoprire dei capolavori di musica black, e questo è uno di quelli, e sopratutto riconoscere in quelle canzoni tutto quello che uscirà fuori in futuro da altri artisti nel campo della musica soul.
Indispensabili ed imprescindibili !

lunedì 5 marzo 2012

RICORDANDO JOHN BELUSHI A TRENT'ANNI DALLA SCOMPARSA


Nella biografia di John Belushi, Wired, l'autore racconta di come durante la realizzazione del film " I Vicini di casa" nel 1981, Belushi suonava il pezzo degli Steely Dan "Hey Nineteen" incessantemente a tutto volume. Ha detto il produttore del film che John voleva fare un film basato sulla canzone in cui una ragazza degli anni '60 racconta la sua storia ad un punk rocker.
Un buon motivo per riascoltare la canzone.

TRE CANADESI AL SOUL DELLA CALIFORNIA


I China sono stati uno dei gruppi più misteriosi nell'ambito del pop west coast californiano. Trio canadese apparso dal nulla, registrarono un solo disco nel 1981, nel nulla scomparve dopo la realizzazione dell'omonimo album. Ci troviamo di fronte ad un gioiellino del genere, un suono che si muove tra soul e pop, intrecci vocali che ricordano i Doobie Brothers al loro meglio ed armonizzazioni sonore che pagano il loro debito alla chitarra di Jay Graydon, benché lo stesso partecipe alla realizzazione del disco soltanto in veste di collaboratore agli arrangiamenti. Che i China fossero però degli intenditori e non dei meri scopiazzatori di altre band lo si evince anche dalla lista dei collaboratori, troviamo infatti Lee Ritenour,Danny Mc Bride, Albert Lee e Danny Mc Bride alle chitarre, Abraham Laboriel al basso e l'onnipresente Paulinho Da Costa alle percussioni. Come al solito disco quasi introvabile, perlomeno nella versione in vinile se non a costi esorbitanti, un po' meglio per i cd essendo stato ristampato in Giappone recentemente, ma anche là il disco è spesso "out of stock".
Buon ascolto !

sabato 3 marzo 2012

CINQUANTA


Il 3 marzo 1962, non fosse nato lo scrivente, sarebbe stato un giorno dove non accaddero fatti eclatanti. Un aviatore cinese se ne fuggì a Taiwan, ci furono le elezioni nel territorio australiano del South Wales vinte dai laburisti, nacque l'atleta statunitense Jackie Joyner Kersee, plurimedaglia d'oro olimpica nell' eptathlon e nel salto in lungo. In Usa al primo posto delle charts c'era Gene Chandler con il brano "Duke of Earl", in UK spopolava Elvis con "Can't help falling in love", mentre da noi Milva era al numero uno con "Tango Italiano". E poi, come detto, nascevo io. Cinquant'anni tondi tondi. Cazzo.
Per festeggiare insieme a voi, vi invito nella mia time-capsule indietro fino al 1972, nella trasmissione americana "The Midnight Special" a vedere dal vivo gli Spinners; si prega tutti quelli a cui non piace il soul di venire ugualmente, magari si tratterranno al bar.
Prosit!

giovedì 1 marzo 2012

BRIVIDI DI PIACERE


Non so se il primato dei gemiti di piacere incisi in una canzone sia di Donna Summer con la sua "Love to love you baby", quel che è certo è che il pezzo che ascoltiamo oggi supera in bellezza e di gran lunga la performance masturbatoria della regina della disco. "I wanna do something freaky to you" di Leon Haywood sono sei minuti di puro "sweet funk", ed è anche il maggior successo del cantante di Houston - il brano arrivò al nr. 15 delle charts pop Usa e al nr. 7 della chart r'n'b. La canzone fa parte dell'album "Come and get yourself some" uscito per la Mercury Records nel 1975, bel dischetto con dentro del bel funk morbido e dell'r'n'b bello sudato in stile vecchia scuola. Di Leon Haywood altro non vi so dire, se non che la base del pezzo in questione è stata campionata da Dr. Dre nel suo singolo "Nothin' but a G thang", mai ascoltato tra l'altro non essendo un appassionato di rap, ma di una cosa sono sicuro: la canzone di Leon Haywood avrà aiutato a far diventare milionario il rapper a suo discapito.
Buon ascolto e fermi con le mani... ;o)