mercoledì 9 aprile 2025

The Dukes - Bugatti & Musker (1982, Atlantic)

Se Dominic Bugatti e Frank Musker sono giustamente riconosciuti come due tra gli autori più prolifici del panorama pop west coast californiano, grazie a una lunga serie di brani portati al successo da altri artisti, lo stesso non si può dire per la loro produzione discografica personale, che si limita a un solo album: The Dukes, pubblicato dalla Atlantic nel 1982, anno fortunatamente ancora non corrotto da tutta la merda che ci piomberà tra capo e collo negli anni successivi. Nel tempo ho maturato la convinzione che il periodo tra il 1980 e il 1982 sia stato particolarmente prolifico per il pop, e in particolare per quello che in seguito verrà etichettato come yacht rock. Ci stavamo finalmente scrollando di dosso la pesantezza che aveva caratterizzato il decennio precedente e, almeno qui in Italia, non eravamo ancora stati sommersi dal mondezzaio della musica commerciale più bieca.


Purtroppo, del duo ci siamo dovuti accontentare di un unico disco, ascoltato fino allo sfinimento per coglierne ogni sfumatura. Un album che nel tempo è diventato una pietra di paragone, utile per spiegare a chi crede che lo yacht rock si esaurisca in Christopher Cross e poco altro, quanto in realtà fosse una geniale fusione di generi, capace di mettere insieme tecnica strumentale e qualità di scrittura. Prodotto da Arif Mardin, l’album rappresenta un raro esempio di equilibrio tra soul e pop, raffinato senza mai risultare stucchevole, arricchito dalla presenza di alcuni tra i musicisti più noti del circuito californiano. Su tutti, la voce di Hamish Stuart – nome familiare agli amanti degli Average White Band – e poi, naturalmente, gli onnipresenti Jeff Porcaro alla batteria, Abraham Laboriel al basso e Steve Lukather alla chitarra.

Mystery Girl, traccia d’apertura, resta la mia preferita: un gioiello mid-tempo che incarna alla perfezione l’essenza di una pop song di qualità. Non che la successiva Survivor sia da meno, anzi: un’altra splendida canzone mid-tempo che richiama da vicino le produzioni di Hall & Oates, un ottimo esempio di blue-eyed soul. Con Thank You for the Party e Love Dance si entra in territorio disco, con Nite Music nel funk, affrontati però con eleganza e senza cadere in tamarraggini assortite.

Anche il resto della tracklist non delude: Fate, ad esempio, è un altro pezzo dance “intelligente”, tanto che Chaka Khan ne ha fatto una cover già nel 1981 per l’album Whatcha Gonna Do For Me; So Much in Love è un altro perfetto esempio di blue-eyed soul ad alto livello, mentre la ballad Memories è la ciliegina sulla torta, un paradigma di mellow soul destinato a diventare modello per tutte le ballad a venire. A tal proposito, ascoltate la differenza tra una ballad come questa e le tante costruite per stimolare gli istinti musicali più bassi del pubblico: che so, prendete una qualsiasi ballad di Celine Dion o i pezzi più enfatici di Whitney Houston e provate a metterli a confronto con Memories.

The Dukes è, a tutti gli effetti, un classico caso di “unpopular popular music”: nonostante la sua orecchiabilità – mai a scapito della qualità – si è rivelato un flop commerciale, diventando però col tempo un oggetto di culto per estimatori e appassionati di yacht rock. Se non altro, a conferma della solidità della scrittura del duo, l’album ha retto magnificamente al passare del tempo, risultando ancora oggi un ascolto più che appagante. Sarò di parte, ma con The Dukes siamo in presenza di un autentico capolavoro. 




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