Marshall Crenshaw - Marshall Crenshaw (1982, Warner Bros.)
Se è vero che la metempsicosi esiste, allora è certo che Buddy Holly si sia reincarnato in Marshall Crenshaw. Ma forse, ancora prima, l’anima dell’Elvis di Mystery Train si era già incarnata nel punk, per venire a far fuori quegli elefanti del rock anni ’70, i quali — per un quindicenne appassionato di rock come il sottoscritto, all’epoca — avevano già provveduto a trapanargli lo scroto. E senza quella sterzata, probabilmente, non sarebbe mai nato il power-pop.
Così come è certo che il power-pop non sia stato solo affare di band: anche tra i solisti, ce ne sono stati di validissimi. L’album d’esordio pubblicato nel 1982 da Crenshaw, artista di Detroit, è più che brillante: suona ancora benissimo a distanza di quarantatre anni, e personalmente lo considero uno dei migliori debutti di sempre. Il suo power-pop è impeccabile, con un suono che conserva una freschezza tale da sembrare uscito direttamente dalle stanze del Brill Building. Già fuori moda all’epoca della sua uscita, per un genere che non è mai davvero stato di moda: forse è anche per questo che provo un certo godimento ogni volta che lo riascolto. Se il retrofuturo potesse prendere forma, questo disco ne sarebbe la chiave.
Con questo album, Marshall Crenshaw è riuscito a creare la crasi perfetta tra Buddy Holly e i Beatles pre-Revolver. Brani come There She Goes Again e Someday, Someway (una delle poche hit del power-pop, arrivata al trentaseiesimo posto della Top 40 americana, cover di un brano inciso da Robert Gordon nel 1981) lo dimostrano chiaramente. Ma Crenshaw ha un debole anche per il jingle-jangle, che rinasce come araba fenice in I’ll Do Anything.
Nonostante in seguito Crenshaw abbia dichiarato di non amare la produzione dell’album, il disco fu accolto con entusiasmo dalla critica — anche quella italiana — e Rolling Stone lo ha inserito tra i 100 migliori dischi degli anni ’80.
Una curiosità: a chiusura del cerchio, Marshall Crenshaw interpretò la parte di Buddy Holly nel film La Bamba.
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