La scena jazz inglese non si limita alla capitale: nuove realtà stanno emergendo in diverse città, contribuendo a ridisegnare la geografia del genere con l’ambizioso – e riuscito – intento di scrollare di dosso al jazz quella patina polverosa da accademia verso cui sembrava incamminarsi negli ultimi anni.
In questo post parleremo di una realtà jazzistica che arriva da Newcastle upon Tyne: gli Knats. Quintetto guidato da due grandi amici, Stan Woodward al basso e King David-Ike Elechi alla batteria, gli Knats hanno trascorso l’ultimo anno come band di supporto di Eddie Chacon, hanno registrato un sold-out al Jazz Re:freshed di Londra e ricevuto riconoscimenti entusiastici da parte di colleghi e addetti ai lavori.
Insieme a Woodward ed Elechi, si è unito al gruppo Ferg Kilsby alla tromba. Il loro stile è stato etichettato come “Geordie Jazz”, un’espressione che non si limita a definire una sonorità, ma racchiude un’intera identità culturale: quella dei Geordie, gli abitanti di Newcastle e dell’area del Tyne. Non solo musica, quindi, ma anche storie, luoghi, persone, esperienze che hanno contribuito a formare l’immaginario collettivo di quella regione.
Gli Knats hanno da poco pubblicato il loro primo album, omonimo, e la prima cosa che colpisce è l’incredibile forza della sezione ritmica, un cuore pulsante che richiama l’energia del drum’n’bass e la furia del punk, incanalate in una visione musicale che attinge al jazz elettrico degli anni ’70 e ’80, ma rielaborandolo in una forma attuale, pienamente dentro al nostro tempo. Alcuni brani sfiorano l’attitudine da dancefloor, senza mai tradire l’anima jazz né le radici culturali da cui provengono.
Dentro il disco si avvertono le esperienze, le difficoltà, le storie personali dei tre membri principali, espresse attraverso brani strumentali che riescono comunque a parlare forte e chiaro, a chi ha orecchie per ascoltare. Tra i momenti più toccanti segnalo Tortuga (For Me Mam), in cui Woodward rende omaggio alla madre con una dolcezza mai stucchevole; Se7en, dedicato al padre DJ Se7en, è un brano teso, nervoso, profondo; mentre Adeaze, tributo di Elechi alla sorella scomparsa, fonde gospel e afro-beat in un crescendo emotivo di rara intensità.
C’è anche spazio per una cover, Black Narcissus di Joe Henderson, che nelle mani degli Knats diventa un’interpretazione furiosa e vitalissima, al punto da far dimenticare l’originale: non un semplice omaggio, ma una vera e propria reinvenzione. E qui torno sul punto focale della band: la sezione ritmica. Se il basso di Woodward è un metronomo pieno di groove, capace di scolpire le linee melodiche con precisione e anima, è la batteria di King Elechi a fare la differenza. Un motore inarrestabile, una macchina da guerra capace di macinare rullanti con una potenza che non sentivo da anni. Elechi è una forza della natura.
Gli Knats sono una delle voci più interessanti della nuova scena jazz britannica, e questo debutto è la prova che, lontano dai riflettori di Londra, si stanno muovendo energie nuove, fresche, radicali. Vale la pena ascoltarli.
Voto 9/10
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