giovedì 23 gennaio 2025

Tokyo Groove: Viaggio nel City Pop - Eiichi Ohtaki - Terza Parte


Terza ed ultima parte della puntata dedicata a Eiichi Ohtaki 

Let’s Ondo Again - (1978, Niagara Records)

Nel 1978 Ohtaki pubblica Let’s Ondo Again, a nome Niagara Fallin’ Star, un album che insiste sul genere Ondo. Il disco si apre con un brano che celebra questa tradizione musicale, seguito da un brano che mischia r’n’r, tango e musiche da cabaret. Non mancano accenni a Purple Haze di Hendrix, muggiti, frammenti della Marsigliese, dell’inno americano e di quello tedesco, con le note della serie TV Twilight Zone a chiudere il tutto. Il risultato? Un’esperienza sonora caotica, ma con un suo senso, come una discesa su uno scivolo tortuoso. Non bastasse questo arriva un pezzo r’n’r che culmina in un’interpretazione da Elvis in stato di ebrezza. Non sorprende che il disco sia ancora più invendibile del precedente, al punto da mandare su tutte le furie la Columbia, che rompe il contratto con Ohtaki.

Senza un’etichetta alle spalle, l’artista si ritira momentaneamente dalle scene, dedicandosi alla composizione e alla produzione per altri. Sembra avviato su tutt’altra strada, ma nel 1981 tornerà con un album destinato a diventare il simbolo del City Pop e il disco più venduto della storia della musica giapponese. 



A Long Vacation - (1981, Niagara Records)


Dopo una pausa discografica durata tre anni e un disco non pubblicato nel 1978 ma uscito postumo nel 2016, Ohtaki pubblica, il 21 marzo 1981, A Long Vacation, un album che Federico Romagnoli di Ondarock ha definito «un disco che, per impatto sulla cultura giapponese, può essere equiparato a ciò che significò per quella italiana La Voce del Padrone di Battiato». In A Long Vacation, Ohtaki mette a fuoco come mai prima le sue ossessioni per il pop americano degli anni ’50 e ’60, realizzando un vero e proprio capolavoro: un successo straordinario in Giappone con un milione di copie vendute all’epoca, più un altro milione negli anni successivi.

In questo album, Ohtaki riesce a entrare in sintonia con il pubblico grazie a canzoni che, pur ispirandosi al passato, risultano moderne e perfettamente figlie del loro tempo, lasciando ancora oggi increduli per la loro attualità. Gran parte del merito per l’eccezionale qualità del disco va anche ai musicisti coinvolti: tra gli altri, Haruomi Hosono al basso, Tatsuo Hayashi alla batteria, Makoto Matsushita e Shigeru Suzuki alle chitarre, Akira Inoue e Fumitaka Anzai alle tastiere, e Masataka Matsutoya come direttore d’orchestra.

L’inizio è folgorante: con 君は天然色 ci si ritrova immersi nel wall of sound, come se Phil Spector si fosse manifestato in sogno a Ohtaki per guidarlo sulla strada giusta. Dai solchi sembra quasi che le Ronettes, rimaste intrappolate nel vinile, ne escano con una forza dirompente.


Velvet Motel attacca con un suono che ricorda un clavicembalo, proponendo cambi ritmici degni dei migliori Steely Dan, come se questi ultimi avessero suonato negli anni ’50. Non c’è tempo per riprendersi dallo stupore perché nel brano successivo, カナリア諸島にて, ritorna il wall of sound con un attacco bump-da-bump alla Ronettes, e un arrangiamento orchestrale che ci trasporta nei film di Douglas Sirk. Ma Ohtaki sorprende ancora: estrae un ritornello che lascia a bocca aperta per la sua bellezza e la perfetta fusione con il resto del brano. Qui Ohtaki realizza un vero capolavoro, che però non sarà l’unico di questo disco straordinario. Con Pap-Pi-Doo-Bi-Doo-Ba物語, sembra di tornare ai tempi degli album della serie Niagara, ma dura solo un attimo, il tempo di uno scherzo. Con 我が心のピンボール, si chiude il lato A con il brano più propriamente rock del disco: l’uso delle chitarre richiama qualcosa che appartenne al glam rock, mentre quel piano di sottofondo, suonato in stile anni ’50, aggiunge un tocco nostalgico.


Si gira il lato e parte 雨のウェンズデイ(Ame no Wednesday). Qui vorrei fermarmi per rimettere la canzone da capo non una, ma almeno dieci volte. Chi ama il pop, quello che si può definire una vera forma d’arte, rimane spiazzato davanti a un brano del genere. Chi si dichiara amante del pop ma non ha mai ascoltato questa canzone, ha una lacuna enorme che andrebbe colmata al più presto. Avete mai sentito un brano in cui convivono il wall of sound, Brian Wilson e Burt Bacharach tutti insieme? Ne dubito. Eppure, qui li ritroverete.

Con 雨のウェンズデイ(Ame no Wednesday), ci troviamo di fronte a un gioiello per cui le parole sono superflue. Davvero, non resta che ascoltarlo.


Pensate sia finita qui? Assolutamente no! Arriva infatti スピーチ・バルーン, una ballad che ti prende il cuore, te lo strizza e ti lascia senza fiato, giusto il tempo di renderti conto di quanto ogni nota sia perfettamente calibrata. Ohtaki dosa melodia e arrangiamento con precisione chirurgica, trasformando il brano in un’esperienza emotiva unica, capace di accompagnarti a lungo anche dopo l’ultima nota. Dentro ci trovi malinconia e commozione, dosate con una delicatezza straordinaria. 


E poi, di nuovo, Phil Spector e le Ronettes con 恋するカレン, un altro pezzo rétro ma di una modernità che chi oggi si crogiola nel retro-futuro dovrebbe ascoltare attentamente per imparare la lezione. E se questo non bastasse, con FUNX4 veniamo catapultati dentro il Brill Building, ai tempi in cui Carole King scriveva per Neil Sedaka (o in casa di Bob Gaudio quando Frankie Valli e i Four Seasons provavano le loro canzoni) ma con una linea di basso attualissima e martellante.

Il decimo brano in scaletta ci porta invece in un’atmosfera cinematica, quasi da spaghetti western, con una chitarra suonata come se i Tornados avessero inciso le colonne sonore dei western di Sergio Leone e una produzione che richiama le invenzioni di Joe Meek. Insomma, 40 minuti volati in un attimo, e la sensazione è quella di voler ricominciare subito il disco da capo.


Eppure, chi lo avrebbe mai detto? Dopo una serie di dischi semi-sperimentali, con Ohtaki snobbato dal pubblico, scaricato dalla casa discografica e con vendite così scarse da non permettersi nemmeno una ciotola di ramen, è riuscito a realizzare un capolavoro di questa portata.

A Long Vacation è un disco imprescindibile: è Ohtaki che ha assimilato trent’anni di musica popolare americana e li ha trasformati in un monumento di modernità assoluta. È, allo stesso tempo, una lezione di stile e di sostanza, la dimostrazione perfetta di come il pop possa essere insieme raffinato e immortale.



Each Time - (1984, Niagara Records)


Passano tre anni, e Ohtaki ritorna sulle scene con l’album Each Time. Musicalmente, il disco segue le orme del precedente A Long Vacation e, come quest’ultimo, raggiunge il primo posto nella classifica Oricon. Complessivamente, però, non riesce a eguagliarne i numeri. Ohtaki si conferma il “Phil Spector giapponese”, con il wall of sound come elemento distintivo che attraversa tutto il lavoro. Questo si combina con barocchismi pop e una maniacale attenzione ai dettagli sonori, fondendo melodie nostalgiche e arrangiamenti complessi in una sintesi perfetta tra tradizione e innovazione.

Pur essendo un ottimo album, le canzoni di Each Time non raggiungono la bellezza di quelle di A Long Vacation. Dischi di questo livello, però, oggi sono rari. Tra i brani spicca Bachelor Girl, un momento di pop enfatico che sembra nato da una collaborazione immaginaria tra i Beach Boys e le Ronettes. Non manca il pop perfetto: 銀色のジェット è caratterizzato dal canto malinconico di Ohtaki e da un raffinato arrangiamento orchestrale. In ガラス壜の中の船, invece, Ohtaki spinge sull’acceleratore della melodia, riuscendo comunque a evitare manierismi o derive melense.

Each Time rappresenta l’ultimo capitolo della carriera solista di Ohtaki. Dopo questo lavoro, preferisce restare dietro le quinte, dedicandosi alla produzione, alla composizione, alla rimasterizzazione degli album della Niagara Records e alla ricerca sulla storia del pop.

Eiichi Ohtaki morì improvvisamente nel 2013, da solo in casa, soffocato da un pezzo di mela. Rimane il ricordo di un musicista leggendario, nel vero senso della parola, ancora troppo poco riconosciuto dalla critica musicale occidentale. È ora che la sua grandezza venga celebrata anche al di fuori del Giappone.


FINE DELLA TERZA ED ULTIMA PARTE




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