L'anno che sta per andarsene è stato caratterizzato dalla pubblicazione di numerose ristampe di album che all'epoca della loro prima uscita ebbero scarsa visibilità, se non addirittura bloccati sul nascere da parte delle case discografiche per beghe contrattuali con gli artisti coinvolti. Anno che ha visto molti ritorni eccellenti, con buoni risultati nella maggior parte dei casi. Due artisti in particolare sono stati una vera scoperta: di Robert Lester Folsom trattasi di una conferma dal momento che il disco uscito nel 2014, "Ode To Rainy Day", bissa l'album uscito nel 2010, "Music And Dreams". In questo caso ci troviamo di fronte a registrazioni casalinghe con quasi tutti brani inediti che confermano l'eccellenza di un musicista che solo grazie alla rete è venuto alla luce. Siamo in territorio westcoast e la storia di Lester Folsom assomiglia a quella di altri cantori del genere, in peggio però, visto che il nostro non ha mai avuto alle spalle una major dal momento che il suo unico disco se lo stampò in proprio. Anche per Bob Carpenter, altra grande sorpresa dell'anno il destino non è stato benevolo. Il suo album, "Silent Passage", un gioiellino folk-rock del 1974 non venne mai pubblicato causa screzi con l'etichetta e dopo una prima uscita negli anni ottanta, ben presto dimenticata, ha avuto una riedizione come si deve lo scorso Giugno rendendo giustizia a quello che è uno dei più bei dischi sconosciuti degli anni settanta. Ma di Carpenter e del suo disco ne parlerò presto con un post ad hoc.
I ritorni: di nomi eccellenti e in alcuni casi anche buoni, considerato l'età anagrafica e di militanza sonora. Il più eclatante è stato il riaffacciarsi di Prince con due album; "Art Official Age" quello nel solco della tradizione e "Plectrumelectrum" licenziato insieme a 3D Eyegirl. Il primo è un album che riporta il sound di Prince così come lo abbiamo conosciuto negli anni passati, nessuna sorpresa quindi, ma un solido disco che ha nelle ballad i suoi momenti migliori, con piccole concessioni, come nel brano iniziale, a certo sound tamarrone. Di "Plectrumelectrum" in tutta onestà vi dico che è passato dal mio Ipod solo una volta quindi, come Ponzio Pilato, me ne lavo le mani: non ho gli strumenti per giudicarlo o forse non sono più in sintonia con certe sonorità: chiedo venia.
Jackson Browne e Cat Stevens (o come si fa chiamare adesso, Yusuf) sono stati altri due inaspettati ritorni, di buon valore "Standing In The Breach", con un Browne ritornato agli antichi splendori, niente di che il disco di Yusuf, mi piaceva il giusto prima, non ho cambiato idea adesso.
Tra i ritornanti voglio segnalare anche Beck con "Morning Phase" disco incensato da tanti ma che mi ha lasciato indifferente: album che va molto a pescare nel Neil Young acustico di quaranta anni fa, un po' poco per considerarlo un capolavoro. Stesso caso quello di Damien Rice; va bene per chi è a digiuno di certi suoni ma vi garantisco che basta fare opera di ricerca nel passato che si trova di più e di meglio. Ci sarebbe da parlare anche del ritorno dei Pink Floyd, "The Endless River" ma mi è bastata vedere la copertina del disco, sorta di opuscolo in stile Testimoni di Geova, per decidere di soprassedere all'ascolto.
Per gli amanti dei cofanetti e dei live quest'anno è stato un vero e proprio nirvana: tra i miei preferiti "1974" di CSN&Y, sulla reunion del gruppo documentata con quattro CD live, bellissimo, così come notevole è stata la riedizione dei concerti, tutti, della Allman Brothers Band tenuti al Fillmore East nel 1971 con l'aggiunta delle parti mancanti del disco pubblicato all'epoca, sei cd per ricordare degnamente la band di Jacksonville. Per gli appassionati della westcoast e non solo segnalo un box dedicato a Joni Mitchell, "Loves Has Many Faces", 53 canzoni che ripercorrono la carriera della cantante canadese.
Le dolenti note riguardano, purtroppo, la musica italiana: se escludiamo Paolo Conte, un'altro ritorno, autore di un album, "Snob", che fa strame della produzione musicale del belpaese, per il resto sembra che i media mainstream non abbiano che da parlare di Vasco, Jovanotti, Ligabue, Mengoni, Ferro e compagnia cantante, artisti che per forza di cose ti ritrovi a dover ascoltare senza volere non appena sintonizzi la radio o accendi la tv. Ma scopro l'acqua calda dicendo che la musica in Italia è diventata ostaggio dei talent show, ovvero del niente. Nel poco che ho ascoltato di musica italiana il mio plauso va ad Eugenio Finardi che con "Fibrillante" è stato autore di un disco coraggioso e importante che riflette del periodo di crisi che viviamo in Italia, disco che certi personaggi descritti sopra dovrebbero ascoltare e mandare a memoria, magari perderebbero un po' di quella ignavia che dimostrano di avere. Per le produzioni indie la mia preferenza va al disco di Paolo Apollo Negri, "Hello World", album che ha in certa fusion degli anni 70 la sua ragion d'essere: jazz e rock quindi, suonato con la passione e la devozione che si deve a quel periodo.
Per quest'anno è tutto. Il mio augurio per un sereno 2015 vi raggiunga.