domenica 29 aprile 2012

SUNDAY MORNING MUSIC: AL JARREAU


L'ho rivisto allo scorso festival di Sanremo, a cantare in un'improbabile accoppiata insieme ai Matia Bazar e sinceramente ne avrei fatto a meno. Qualcosa del grande vocalist che era stato affiorava qua e là, ma in fondo è stato triste vederlo su quel palco. Del resto molte primavere sono passate da quando Al Jarreau insieme al produttore Jay Graydon ridefiniva in tre album consecutivi il linguaggio del pop sofisticato, che diverrà una precisa caratteristica del sound losangelino di quegli anni. Il primo album dell'accoppiata Jarreau-Graydon uscirà nel 1980 a titolo "This Time", ci collaborarono dei musicisti fenomenali, tra cui mi preme ricordare Chick Corea ed Earl Klugh, nove brani in cui viene rimarcata la versatilità dell'artista nell'affrontare sia canzoni dall'impronta jazz, come pure quelle in cui il soul-pop la fa da padrone. Il brano più bello del disco è "Distracted", un bell'esempio di canzone mid-tempo con influenze sweet-funk, ma anche negli altri pezzi si ha una conferma di quello che appare come una perfetta commistione di generi, come in un piatto di buona cucina: gli ingredienti, così ben miscelati, daranno sostanza alla pulizia formale e alla tecnica strumentale e vocale contenute nel disco. Insomma, una lezione di stile che inizia con questo album, andando poi al suo completamento con "Breakin' Away" del 1981, concludendosi nel 1983 con "Jarreu". Ne riparleremo.

sabato 28 aprile 2012

OSSESSIONE NORTHERN SOUL


Oggi vi propongo un bel cortoMetraggio di nove minuti sul mondo del Northern Soul. Molto esplicativo su quella che può diventare una vera e propria ossessione e scommetto che a prescindere dal genere, molti di voi si riconosceranno nel personaggio principale del film. La stanza dove il nostro ascolta un disco, assomigliava molto alla mia, ma penso anche alla vostra.
Buona visione.

venerdì 27 aprile 2012

EROI FUNK: EDWIN STARR - HELL UP IN HARLEM


Edwin Starr forse lo conoscete per quel grande inno contro la guerra del Vietnam, "War", brano inciso in origine dai Temptations, ma che nell'interpretazione di Starr ebbe nuova vita e divenne un hit seller da tre milioni di copie. Oggi però parlerò di un album inciso da Starr nel 1973 - anno in cui l'artista americano si trasferì a Londra - "Hell up in Harlem", colonna sonora del film omonimo e seguito di "Black Caesar". Del film, ascrivibile al genere blaxploitation e uscito il Italia con il titolo "Tommy Gibbs Criminale Per Giustizia" poco ne so, se non che fu interpretato da Fred Williamson e Gloria Hendry, meglio per quanto riguarda il disco, ascoltato recentemente. C'è da dire che l'album, per come è strutturato vive anche di vita propria, senza bisogno di essere associato al film, le canzoni non presentano "messaggi" di alcun genere se non descrivere la vita dei black gangster newyorchesi di quel tempo. Magari l'assenza di messaggi positivi e di riscatto, ed il suo essere come un documento sulla vita criminale di Harlem, non consentì al disco di avere il successo che meritava, considerato che si tratta di un piccolo gioiello di soul music che suona molto bene ancora oggi. L'album ha avuto nuova vita anche ai nostri giorni, essendo stato campionato in larga parte da rappers per la parte musicale, meno nei testi, che pur essendo visti dalla parte dei "gangster", hanno dalla loro comunque quel senso di umanità che non troverete mai nei dischi rap.
Un album coraggioso, con il groove giusto, un'interpretazione vocale da brividi, come è sempre stata nelle corde di Starr, e che anche per questo, diventano esse stesse dei piccoli film nel film.
Chitarre di Dennis Coffey e tastiere di Joe Sample.
Classico.



mercoledì 25 aprile 2012

AL GREEN vs. SHIRLEY BASSEY vs. STEVIE WONDER vs.NICOLA DI BARI: LIGHT MY FIRE

Oggi supersfida da supercazzola come se fosse antani di un pezzo straconosciuto e stracoverizzato; a differenza di altre sfide postate sul blog non ci troverete però la versione originale dei Doors per due motivi: primo, la conoscete tutti a memoria e quindi molto probabilmente ne saltereste l'ascolto, secondo, a me non piace. Come detto in altre occasioni, Light My Fire la preferisco nelle innumerevoli cover realizzate che non nella versione originale; troppo "strappamutande" il cantato di Morrison, due assoli spaccamarùn nello sviluppo del brano, inascoltabili per me, insomma, la tipica canzone da adolescenti brufolosi in calore (uhè lo sono stato anch'io, poi si cresce...). Questi quattro brani fanno capire in che modo questa canzone ha preso altre direzioni: l'r'n'b di Al Green, il pop - soul sofisticato di una enfatica "as usual" Shirley Bassey, il genio di Stevie Wonder, la bossa di Nicolino di Bari che poi non è altro che la cover in italiano della cover di Josè Feliciano. Avrei potuto metterci anche la versione di Minnie Riperton, oppure quella di Astrud Gilberto, ma direi che può bastare così. Un fatto è certo: la canzone è una grande canzone, un classico direi, ma non nella versione originale e questo è quanto (sempre a parer mio, secondo me, etc etc, mamma che mazz'e'palle).
Bene, prima che qualcuno mi inviti a fare come nella cover di Nicolino, vi auguro una buona Liberazione a tutti!







Stevie Wonder - Light My Fire by DannyocA

martedì 24 aprile 2012

STEVIE WONDER LIVE, 1974


Se vi avanza mezz'ora, se volete fare una pausa sul lavoro, occhio a farvi beccare però, gustatevi questo concerto di Stevie Wonder registrato alla tv tedesca nel 1974. Meglio di un antidepressivo e di qualsiasi energy drink. Nessuna controindicazione!
Questa la playlist:
1. Jam
2. Contusion
3. Higher Ground
4. Don't You Worry 'Bout A Thing
5. I Can See The Sun In Late December
6. He's Misstra Know-It-All
7. Living For The City
8. Superstition

Buona visione

domenica 22 aprile 2012

SUNDAY MORNING MUSIC: MARCOS VALLE


Marcos Valle è uno tra i più grandi musicisti brasiliani di tutti i tempi; ma non solo. La sua carriera inizia nel 1963, dopo essere passato da studi di musica classica da bambino per poi approdare al jazz, ma è con la samba e la bossa nova che Valle diverrà quel grande artista che gli appassionati di musica brasiliana ben conoscono. Il disco che vi presento oggi però ha poco a che vedere con i suddetti generi; "Vontade de rever voce", album del 1981 porta Marcos Valle in territorio funky soul, sviluppato però con sensibilità carioca. D'altronde Valle non era a digiuno di queste sonorità, avendo vissuto parte della sua vita negli States ed avendo lì lavorato con Leon Ware ed i Chicago che ricambieranno collaborando al disco, questi ultimi nella persona di Peter Cetera. Suoni quindi molto vicini al groove californiano, per un disco da ascoltarsi e gustarsi in una pigra mattinata domenicale. Un disco diverso dallo stile classico dei primi lavori di Valle, molto affine ai lavori di Leon Ware, una miscela gradevole di suoni morbidi con le tastiere in primo piano e la bella voce di Marcos che fa sgorgare in maniera limpida la propria anima funky.
Bello!

 

giovedì 19 aprile 2012

LE FIGLIE DI APOLLO


La recente uscita di una raccolta di canzoni del gruppo femminile "The Apollas" mi da l'occasione per parlare di questa crew sconosciuta ai più. The Apollas erano tre ragazze afroamericane, Leola Jiles, Ella Jamerson e Billie Barnum, incisero una manciata di canzoni dal 1961 al 1968, anno in cui il gruppo si sciolse. La musica delle The Apollas si distingueva dagli altri gruppi femminili dell'epoca per una spiccata propensione ad uno stile più ruvido e gospel-style rispetto ai gruppi più in voga di allora, come ad esempio le Supremes, erano semmai più vicine allo stile di Martha and The Vandellas. Cantarono le prime canzoni di Ashford e Simpson, ma anche di Billy Vera, Barry White, Don Everly e Jeff Barry, non hanno mai avuto degli hit single da ricordare per i posteri, ma avranno sempre la riconoscenza ed il rispetto da parte della scena Northern Soul: il brano "Mr. Creator" è diventato un classico della scena, ed il mio invito è di avvicinarvi al sound delle The Apollas; troverete un'altra bella testimonianza di un'epoca irripetibile.
Keep the Faith!


martedì 17 aprile 2012

CIBO PER MENTI APERTE

Lonnie Liston Smith oggi

C'è un pezzo che tutte le volte che lo ascolto mi lascia sempre sorpreso per la sua forza evocativa e sempre mi lascia indifeso davanti a quello che la musica, quando è al suo meglio, riesce a creare. Emozione e istinto ma che spesso va a braccetto con la ragione. E' questo il caso di "Expansions", brano epocale del jazzman e tastierista Lonnie Liston Smith ed i suoi Cosmic Echoes, pietra miliare di quello che fu l'album omonimo uscito nel 1974, uno dei primi dischi che fece incontrare la ragione del jazz, con l'istinto e il calore del soul, in poche parole uno dei primi lavori che diedero il la alla grande ed indimenticata stagione della fusion. Liston Smith, iniziò la sua carriera suonando il piano acustico nei gruppi di Roland Kirk, Pharoah Sanders, Betty Carter e Gato Barbieri, ma fu suonando con il leggendario Miles Davis la molla che lo spinse a formare un suo gruppo, i Cosmic Echoes, cambiando radicalmente il suo suono e creando di fatto i primi prodromi della musica di fusione. Jazz, funk, r'n'b, rock e soul, una miscela incredibile che soltanto pochi con il prosciutto nelle orecchie non riuscirono a cogliere per quello che fu: un serio e riuscito tentativo di coniugare la musica più cerebrale con quella più popolare, come è stato detto Lonnie Liston Smith riunì John Coltrane con gli Earth Wind and Fire e se vi sembra poco... Ecco, quando si parla di musica contaminata si abbia il coraggio di rendere il giusto merito a musicisti come Liston Smith, uno dei pochi che dimostrò che per fare musica antagonista e politica non importava essere dei cialtroni che sapevano mettere insieme a malapena due note. Ascoltate questa musica, vi migliorerà come persone e suonerà ancora oggi come attuale e necessaria.

domenica 15 aprile 2012

SUNDAY MORNING MUSIC: BUGATTI AND MUSKER


Se Dominic Bugatti e Frank Musker sono stati due tra gli autori più prolifici del pop west coast californiano, non altrettanto si può dire per quanto riguarda la produzione discografica, avendo all'attivo un solo album, "The Dukes", uscito per la Atlantic nel 1982. Come per altri artisti però, anche un solo ed unico disco basta per far capire la bravura dei nostri; l'album, prodotto da Arif Marvin è infatti un incontro tra soul e pop come pochi ne è dati ascoltare, raffinato senza essere banale, impreziosito dai "soliti" nomi del giro californiano, in cui spicca la voce di Hamish Stuart - vi dice niente il nome Average White Band? - tra i vocalist.
"Mistery Girl" canzone che apre il disco è la mia preferita, una meraviglia di canzone mid tempo, esempio di come dovrebbe essere una pop song degna di questo nome, ma anche con le altre non si scherza, "Fate" ad esempio, brano dance "intelligente" coverizzato da Chaka Khan nell'album "Watcha Gonna Do For Me" del 1981, "So Much in Love" un altro mattoncino incastonato nell'edificio del blue eyed soul, e la ballad "Memories". A quest'ultima canzone pensavo l'altra sera mentre guardavo scorrere i titoli di coda del "Titanic"; ovvero la differenza che passa tra un brano costruito per titillare i bassi istinti(musicali) del pubblico ed una creata per far godere i padiglioni auricolari e non solo.



venerdì 13 aprile 2012

DO IT ANY WAY YOU WANNA


Tra tutti i gruppi del Philly Sound i People's Choice sono tra quelli che hanno avuto meno hit, ma è bastato loro un solo brano per entrare nel pantheon di tutti i funkster. "Do it any way you wanna" è il classico brano che definisce un'epoca, per quel che mi riguarda era quella delle cantine spacciate per discoteche, piccoli locali situati spesso e volentieri in improbabili fondi di abitazioni del centro storico di Firenze, "Shere Khan", "Papillon", "Andromeda", "Royal" questi i nomi, dove ancor prima della disco, si ballava funk e tanto Philly Sound. Talmente amati che una delle tante compagnie di adolescenti che imperversavano nella Firenze di metà anni '70 prese il nome dalla band. Apro una parentesi: ben prima dei dark e dei paninari dalle mie parti usava riunirsi in bande che si chiamavano con i nomi più improbabili, derivazione delle gang viste in qualche film americano; i bar come punto giornaliero di ritrovo, la vespa con i parabrezza carenati artigianalmente come mezzo di locomozione, il giubbotto di Jeans della Levi's come divisa, il pantalone a tubo, i capelli a caschetto, le cantine alla Domenica pomeriggio per ballare e spesso per scontrarsi con le compagnie rivali, insomma un microcosmo mutuato dalle gang americane, periodo tra l'altro tra i più vivi e finito nell'oblio. Ritornando alla canzone rimane inconfondibile e riconoscibile ancora oggi l'attacco del pezzo ed il suo giro ritmico, sviluppato poi dagli assoli di hammond e fender rhodes, un brano semplice ma che fa della semplicità la sua forza e ne è il tratto caratteristico. Una canzone che sarebbe stata una perfetta colonna sonora per quei film sulle gang di strada, un nome su tutti, "The Warriors". Leon Huff fu l'autore e il produttore del brano, nonché pigmalione della band, arrivò al nr 11 della charts americana, un milione le copie vendute e ancora oggi è un pezzo che risveglia i morti.
Play it Loud!

mercoledì 11 aprile 2012

VICINI DI CASA


Avessi loro sei come vicini di casa, ci sarebbe da divertirsi. Mi immagino delle jam assatanate a tutte le ore del giorno, ma in particolare di notte, magari al posto di quei rincoglioniti che periodicamente organizzano dei rave party in qualche casolare nelle mie vicinanze; starei sveglio ugualmente, ma vuoi mettere la soddisfazione. I vicini che mi sono capitati in sorte invece odiano la musica - a parte quella cantata in chiesa - alla minima alzata di volume bene che ti vada è che ti arrivi un'intimazione a farla finita, nella peggiore delle ipotesi ti mandano i carabinieri. E questo ignorando il fatto che a due passi da casa mia - un segno del destino alla Jake Elwood? - ci abiti una ragazza che assomiglia in modo inquietante a Chaka Khan versione mid size, cioè una via di mezzo tra la Chaka di inizio carriera e quella "extra large" di adesso. Ecco, la ragazza forse non sa nemmeno chi sia Chaka Khan e magari ritornando ai sei di prima, chissà se vedendola non le chiederebbero di provare a cantare e magari poter sostenere le jam del gruppo, facendo così incazzare ancora di più i vicini. Per adesso i nostri " Neighbourhood" se ne stanno in Svezia dalle parti di Stoccolma e nell'improbabile attesa di passare di qua ed ascoltare la pulzella, hanno inciso il loro secondo album, uscito il 28 marzo per la label "Reach Up", tutto strumentale, dal titolo "The Enchanter", e come avrete capito per adesso hanno incantato il vostro blogger. Un disco di jazzid, mi sia consentito il termine, ovvero jazz che trova nel soul e nel funk la propria ragione di essere, e si nutre di essi, sparato con una sezione fiati da brividi, un bel fender rhodes, sempre sia lodato, un hammond che non guasta mai e tricche e ballacche da farti muovere il culo seduta stante. Belle anche le ballate, malinconiche e riflessive. Il mood arriva dagli anni '70 - ormai sono diventato come il detective Sam Tyler della fiction "Life on Mars", (ri)vivo nei seventies - ed è un viaggio nel groove di quegli anni, chi ha 50 anni o giù di lì capirà di cosa parlo. Dei nostri in rete si trova pochissimo al riguardo, ma in questo caso è la musica che conta. Si consiglia di suonarlo a volume alto, alla faccia dei vicini, quelli veri !

Neighbourhood - The Thief

Neighbourhood - Nocturne

venerdì 6 aprile 2012

KILLER GROOVE


Stefano Torossi è conosciuto principalmente per essere un compositore di library musicali, ovvero di pezzi dove chi lavora nel cinema o in televisione può attingere per commentare musicalmente i propri filmati. Stefano Torossi ha lavorato prevalentemente in Rai, dove ha composto numerosi commenti sonori per rubriche e documentari, ma ha pubblicato anche dei dischi indipendenti dal lavoro, come "Feelings", disco divenuto nel corso degli anni oggetto di culto, una sorta di sacro graal in vinile, uscito una prima volta nel 1974, sotto lo pseudonimo di Jay Richford e Gary Stevan e scomparso rapidamente dalla scena. E' stato ripubblicato poi nel corso degli anni nel 1986 dalla label Costanza Records e successivamente dalla benemerita Easy Tempo nel 1998. Il disco è un viaggio psichedelico nel groove funk cinematico; bassi profondi, breakbeat e fiati lussuriosi sono la costante del disco, assolutamente imperdibile. Personalmente ho una predilezione per le library e le colonne sonore di film di genere italiano, sono una vera miniera di suoni e groove insoliti, dove i musicisti potevano sbizzarrirsi e sperimentare senza le costrizioni del music business. Oltre a Torossi mi piace ricordare un'altro grande musicista di Library, Stefano Barigozzi con il suo Barigozzi Group, oltre ai grandi delle colonne sonore, Piccioni, Umiliani, Bacalov, i fratelli De Angelis, Franco Micalizzi, Trovajoli, Ortolani e Nicolai. Ma anche un artista di musica leggera come Fred Bongusto, ha composto delle ost totalmente avulse da quelli che erano i suoi successi da hit parade. Ne riparleremo.



mercoledì 4 aprile 2012

GROOVIN' ADRIANO


Dimenticatevi il Celentano guru e profeta di sventure degli ultimi anni e degli ultimi dimenticabili dischi. Ricordiamocelo per quello che era; un musicista sempre attento alle ultime novità in campo musicale che sapeva plasmare a proprio uso e consumo. Dal r'n'r degli esordi al funk dei primi '70 alla disco di fine decennio. Questo pezzo funk e sporco quanto basta per le orecchie dei telespettatori italiani di allora, con una bella linea di basso killer e una chitarra wah-wah è del 1973 e il testo anticipa di trent'anni il dibattito sui cibi transgenici.
Il brano, "L'unica Chance" è uno dei tanti misconosciuti e spesso relegati come B side nei 45 giri dei cantanti più in vista di allora, ma grazie all'opera di tanti archeologi e minatori appassionati di musica ma sopratutto grazie alla rete, è possibile riportare alla luce queste perle.
Il video è tratto dal programma tv "Hai visto mai?", con Gino Bramieri e Lola Falana, la canzone inizia al minuto 3.24, la gastrite di cui si parla nello sketch è il motivo "diplomatico" che costrinse Celentano a dare forfait al festival di Sanremo del '73, luogo in cui doveva cantare la canzone che ascoltiamo oggi.

martedì 3 aprile 2012

GENO


Geno era Geno Washington, un aviere americano di stanza in Inghilterra divenuto poi un torrido soul-singer che prima iniziò a cantare per diletto nei locali notturni londinesi, poi, messa su una band, The Ram Jam, mandò affanculo l'esercito ed iniziò una carriera fatta di performance memorabili e dischi, quali "Hand Clappin', Foot Stompin', Funky-Butt...Live!", esplicativi di quel che era l'energia del nostro e della band. Geno divenne ben presto un beniamino della scena Mod inglese e con i suoi accoliti, continuò ad incidere dischi e a scorrazzare su e giù per il Regno Unito fino al 1969, anno di scioglimento della band. Geno Washington proseguì la sua carriera come solista, prima di ritornare negli states, dove abbandonò per un periodo la scena musicale per dedicarsi allo studio della meditazione e dell'ipnosi. Nel frattempo registrò insieme ai Beach Boys alcuni brani che non videro mai la luce. Il ritorno alla musica di Geno Washington avverrà nel 1976 con l'album "Geno's Back", ma fu grazie ad un gruppo di ragazzi di Birmingham, i mai troppo lodati Dexy's Midnight Runners che il nome di Geno Washington riemerse dal passato; i Dexy's dedicarono a Washington il brano "Geno", singolo estratto dal loro primo album del 1980, che arrivò al numero uno delle charts inglesi, creando nuovo interesse verso la figura del cantante americano. Il brano è quanto mai esplicativo del mood e del suono della band di Geno Washington, ed è stata ispirata da "(I Gotta) Hold on for My Love, B side di "Michael", il brano più conosciuto di Washington. "Geno" è una di quelle canzoni che non ti stanchi mai di ascoltare, ed è stata inserita, a ragione nel libro "1001 songs you must hear before you die".
Hold On!


Questi i Dexy's..



E questo è Geno...

domenica 1 aprile 2012

IL BLUE EYED SOUL DEI FARAGHER BROTHERS


In principio furono Daryl Hall e John Oates a recepire la lezione del soul, inventandosi un genere dal nulla e passato alla cronaca come "Blue Eyed Soul", in parole povere bianchi che cantano e suonano come dei neri. Nel 1976 i quattro fratelli Faragher pubblicheranno un disco a proprio nome prendendo il meglio della produzione soul dell'epoca, The Spinners come punto di riferimento, e costruirono un monumento al genere paragonabile ai migliori lavori di Hall e Oates. Ascoltate la bellezza dei fiati e i perfetti intrecci vocali che valorizzano le dieci canzoni del disco, canzoni che ad eccezione di "It's all right" cover di un brano di Curtis Mayfield, sono tutte firmate dai fratelli. Tanto bello il disco, quanto sconosciuto, ma chi bazzica da queste parti sa bene che dischi come questi non nascono rari, ma li fanno diventare; provate ad indovinare chi sono i colpevoli! I Faragher Brothers pubblicheranno altri tre dischi, uno per anno fino al 1979, ma non ripeteranno più la freschezza e la magia di questo album, che resterà opera unica e preziosa sia per loro che per il soul cantato da bianchi.