Walk With The Father - Charlie Bereal (2025, Death Row Records)


Negli ultimi tempi, la Death Row Records – storica etichetta simbolo del gangsta rap losangelino – ha intrapreso una svolta stilistica che in pochi avrebbero previsto. Sotto la guida di Snoop Dogg, il catalogo si sta progressivamente tingendo di sfumature morbide e vellutate, con produzioni che guardano apertamente al soul degli anni Settanta. Non si tratta di semplici citazioni o nostalgie di maniera: progetti come quelli di London October e Chooc – nomi emergenti ma già perfettamente a proprio agio in queste sonorità – stanno contribuendo a riscrivere l’identità sonora dell’etichetta, facendo confluire il passato glorioso del soul afroamericano in un contesto contemporaneo.

In questo solco si inserisce con coerenza e sensibilità il nuovo album di Charlie Bereal, Walk With The Father, terzo capitolo discografico che arriva dopo sei anni di silenzio. Bereal, noto anche per il suo lavoro come chitarrista e produttore, firma qui un disco che profuma di velluto, un omaggio esplicito ai maestri spirituali del soul più introspettivo: Curtis Mayfield, Marvin Gaye, ma anche Smokey Robinson e i primi Isley Brothers. Il suo uso del falsetto, controllato ma emotivamente generoso, è il perno attorno a cui ruotano gli arrangiamenti minimali, carichi di atmosfera, che richiamano la scuola della quiet storm – quel sottogenere raffinato e sensuale che a partire dalla metà degli anni ’70 traghettò il soul verso una dimensione notturna e introspettiva, preparandolo per le sofisticazioni dell’R&B moderno.

La prima metà dell’album è di alto livello, con picchi emotivi che rendono omaggio a una stagione irripetibile. Never Gonna Take Away My Love sembra un’invocazione soul ritrovata in un nastro smagnetizzato dei Delfonics: archi sospesi, controcanti evanescenti, un’atmosfera sospesa tra devozione amorosa e abbandono malinconico, bellissima. In The Greatest, (brano con il featuring di Snoop Dog) e in Wherever You Are, Bereal imbocca il sentiero battuto dagli Stylistics, con una grazia che non è mera riproposizione ma rivitalizzazione, portando la malinconia vintage nel presente senza risultare calligrafico.

Se nella seconda parte il disco perde un po’ di tensione – alcune tracce suonano più convenzionali e meno ispirate – resta comunque evidente l’intento di costruire un ponte generazionale: un linguaggio accessibile ma colto, capace di parlare tanto a chi ha amato i 45 giri in busta bianca quanto a chi scopre oggi quel mondo filtrato dalle produzioni di Tyler, The Creator o Anderson .Paak. Quiet storm, sì, ma con un’energia sotterranea che testimonia la vitalità di un’eredità musicale che ancora oggi trova nuove strade per brillare. Charlie Bereal, con questo disco, si conferma interprete sincero e appassionato di questa transizione, incastonando la sua voce in una trama che lega passato, presente e – chissà – anche un possibile futuro soul per la Death Row.

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