Tokyo Groove: Viaggio Nel City Pop - Omega Tribe
Nel City Pop, molti artisti miravano a creare un sound perfetto per accompagnare viaggi in auto lungo coste soleggiate o giornate estive in spiaggia. La musica diventava colonna sonora di un sogno collettivo: quello di una vita moderna, agiata e libera, influenzata dalla cultura americana ma reinterpretata con sensibilità nipponica. In questo contesto nascono gli Omega Tribe, band che incarnò in pieno quell’immaginario. Formatisi inizialmente come Kyutipanchosu, un gruppo amatoriale nato nel 1980, conquistarono l’attenzione del pubblico vincendo lo Yamaha Popular Song Contest – una delle principali piattaforme dell’epoca per scoprire nuovi talenti. Questo successo aprì loro le porte dell’industria musicale e li condusse all’incontro decisivo con Koichi Fujita, figura chiave del City Pop, produttore visionario e presidente della Triangle Records.
Fujita comprese subito il potenziale commerciale e stilistico della band, ma decise di ricostruirla dalle fondamenta. Diede loro un nuovo nome, Omega Tribe, e costruì attorno a questo progetto un vero e proprio dream team: al microfono venne messo Kiyotaka Sugiyama, una voce limpida e sofisticata, mentre la composizione fu affidata a Tetsuji Hayashi, autore capace di sintetizzare le atmosfere rilassate dello yacht rock americano con la precisione e l’eleganza della produzione giapponese.
Il risultato fu Aqua City (1983), un album che ancora oggi rappresenta uno dei vertici assoluti del genere. In Aqua City, nulla è lasciato al caso. Le linee melodiche scorrono con naturalezza, le armonie vocali si intrecciano con gusto e l’arrangiamento, sostenuto da turnisti d’eccellenza, brilla per coerenza e ricchezza. La chitarra di Kenji Yoshida, dal fraseggio pulito e levigato, evoca il tocco di Jay Graydon, portando nel cuore del Giappone l’eco delle notti d’estate a Santa Monica o delle highway assolate della California.
L’album è un manifesto di quella corrente che potremmo definire Sunshine City Pop, una variante più levigata, solare e sognante, in cui l’aspirazione non è tanto la profondità quanto la perfezione del momento. Aqua City dimostra che, sotto la guida giusta, anche una band nata con le sembianze di una boy band può trasformarsi in qualcosa di sorprendentemente sofisticato e duraturo. Un album che non invecchia perché non promette nulla oltre ciò che mantiene: quaranta minuti di fuga, tra riflessi d’acqua e sogni sintetizzati, dove il Giappone degli anni ’80 incontra le onde sonore della West Coast. Un ascolto imprescindibile per chi vuole scoprire la connessione tra estetica giapponese e influenze californiane, tra perfezione pop e raffinatezza musicale.
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