Pleasure - Young Gun Silver Fox (2025, Monty Music Ltd T/A Candelion)
Per gli appassionati di Yacht Rock, l’uscita di un nuovo album degli Young Gun Silver Fox — alias Shawn Lee e Andy Platts — è come l’attesa dei regali di Natale per un bambino. E che ci volete fare, siamo fatti così: soprattutto di questi tempi, in cui, nonostante il genere stia vivendo un nuovo sussulto di popolarità, le nuove produzioni si contano sulle dita di una mano, così ogni pubblicazione viene accolta come un’epifania.
Ed eccoci dunque ad accogliere Pleasure, nuova fatica del duo anglo-britannico e quinto album della loro storia: un ulteriore tassello nel mosaico di canzoni che richiamano i fasti del genere. Per chi si affaccia per la prima volta agli YGSF, l’album rappresenta un buon viatico per addentrarsi nei meandri dello Yacht Rock, e da lì risalire alla scoperta dei maestri che lo inventarono e lo portarono all’apice. Per chi già li conosce, è invece la conferma delle solide fondamenta pop e soul su cui si regge il progetto, con quella cura melodica e quel gusto per gli arrangiamenti che restano il marchio di fabbrica del duo.
“Pleasure” conferma tutto ciò che gli Young Gun Silver Fox hanno costruito finora, ma senza limitarsi al compitino. Il disco scorre fluido, con l’eleganza di sempre, ma qua e là spuntano dettagli nuovi, segni di una volontà di evoluzione che non tradisce le radici. Brani come “Born to Dream” e “Last Night Last Train” sembrano usciti da una stazione radio californiana del 1979, con il primo che richiama i Doobie Brothers dei tempi d’oro e il secondo - uno dei singoli estratti dall’album - di rara bellezza: un pezzo sognante, immerso nel tramonto di un’estate senza fine, impreziosito da un assolo di chitarra che sembra arrivare da un’altra dimensione spazio-temporale.
C’è anche spazio per un episodio che ci ricorda quale grande band furono gli Ambrosia, le cui melodie e armonizzazioni vocali riaffiorano in “Burnin’ Daylight”, altro brano imprescindibile, dove l’anima soul del progetto prende il sopravvento senza perdere quel tocco solare che è ormai il loro marchio distintivo. Un’anima soul che si esprime in tutta la sua pienezza in “Holding Back the Fire”, con la sua chitarra ritmica serrata e i fiati in stile Earth, Wind & Fire, stile che ritroviamo in “Stealing Time” - ascoltate quei fiati e ditemi se non vi sembra un’outtake della band di Maurice White - un’anima che viene omaggiata nell’altro singolo, “Stevie & Sly”, dal groove personalissimo, quasi un manifesto del duo.
Ma “Pleasure” non si ferma qui. In “The Greatest Loser”, ballad malinconica e sospesa, ci ritroviamo trasportati nella West Coast più onirica, quella dei paesaggi infiniti e dei sogni interrotti al risveglio. È in questi momenti che gli YGSF mostrano la loro maturità artistica: sanno muoversi con grazia tra omaggio e ispirazione, tra vintage e attualità, mantenendo sempre saldo il timone del gusto e della misura. La produzione, come sempre, è un esercizio di equilibrio: niente suona datato, tutto suona familiare. È un gioco di specchi tra presente e passato, dove ogni dettaglio è al suo posto, ma mai al punto da risultare manierista. Pleasure non è un disco che sorprende - e forse non vuole nemmeno farlo - ma è un album che rassicura, consola, e restituisce alla musica leggera un senso di pienezza ormai raro.
Commenti
Posta un commento
Scrivete quello che vi pare, ma lasciate un nome.
Ogni commento offensivo sarà eliminato.