Forgotten Shores - Toshiki Kadomatsu (2025, Ariola Japan/Sony Music)



Uscito lo scorso 30 aprile, Forgotten Shores è il terzo album di Toshiki Kadomatsu dedicato alla serie Contemporary Urban Music, dopo la pubblicazione lo scorso anno di Magic Hour – Lovers at Dusk e Tiny Scandal. In questa occasione, l’autore, produttore, arrangiatore e chitarrista giapponese ci regala un album con tutti i brani cantati, a differenza degli ultimi due, prevalentemente strumentali. L’album si contraddistingue per l’ispirazione al City Pop degli anni ’70-’80, dove musicalmente fonde melodie pop/AOR con ritmiche groove e arrangiamenti tipicamente da clima estivo. Sin dal primo brano è chiaro l’intento di Kadomatsu di celebrare l’estate, le spiagge e quella leggerezza malinconica che attraversa i suoi lavori migliori.


La scaletta, composta da otto brani interamente scritti, cantati e arrangiati da lui, si muove intorno a un’estetica marittima evocativa e immediata, riportando alla mente ricordi, luoghi perduti e sorrisi che riaffiorano come onde.

L’album è ricco di sfumature: se da un lato è forte il legame con la scena urban nipponica degli anni ’80, dall’altro si percepisce il desiderio di una scrittura più diretta, senza fronzoli, essenziale, come se la forma canzone qui adottata volesse ritrovare quella centralità andata smarrita negli album precedenti.


Le canzoni sono solari, come meglio non si potrebbero scrivere: si narra di amori perduti e spiagge dimenticate, di paesaggi marini e di libertà, di partenze improvvise, mossi dal desiderio di fuga. Tutte storie legate dal filo rosso della nostalgia, che fortunatamente Kadomatsu riesce a contenere. Se il City Pop è il tratto prevalente nell’album, non mancano momenti più ritmici, che ricordano l’R&B in stile anni ’80: riaffiora in brani come Domino CitySlave of Media (testo in cui si prende di mira la società iperconnessa) e TSUYUAKE; altrove, come in Blue SwellBeach Road e Forgotten Shores, è puro City Pop aggiornato ai nostri tempi. Non manca il momento “Quiet Storm”, se mai è stato riconosciuto in un’accezione nipponica, e lo troviamo a chiusura dell’album nella ballad You Can See The Light.


Forgotten Shores mi ha convinto per la sua freschezza e per la capacità di Kadomatsu di evocare stagioni dimenticate, senza cadere nel bozzettismo. L’album, dietro una semplicità apparente, è fatto di dettagli curati, dinamiche morbide e melodie sempre al servizio del racconto. In mezzo a tanti cialtroni che fanno degli anni ’80 un revival sciapo, andando a pescare nello scontato e nella faciloneria, Kadomatsu dimostra che il ricordo di quella stagione può ancora produrre canzoni vive, attuali e autentiche. Una perfetta colonna sonora per un’estate da immaginare, più che da rincorrere.




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