Dimenticate il Keith Jarrett più cerebrale, dimenticate il Jarrett del Köln Concert (e non fate i furbi: prima del film “Aprile” di Nanni Moretti scommetto che eravamo in due a conoscerlo). E dimenticate anche quelli che vi dicono di trascurare “Treasure Island”, spesso descritto da molti critici come il Jarrett più “mainstream” e commerciale. A loro potete tranquillamente rispondere con un bel dito medio alzato.
Treasure Island è il primo album registrato da Jarrett per l’etichetta Impulse!. Ad accompagnarlo c’è il resto dell’American Quartet al completo: Dewey Redman al sax, Charlie Haden al basso, Paul Motian alla batteria, con l’aggiunta di due percussionisti, Danny Johnson e Guilherme Franco.
L’album si apre con il brano soul “The Rich (and the Poor)”, dal ritmo pigro e oscillante. Qui, Jarrett dà prova della sua straordinaria abilità al pianoforte, accompagnato dal basso di Haden, dai brevi accenni al sax di Redman e da una sezione ritmica discreta ma efficace. Il pezzo successivo, Blue Streak, è una variazione su un tema scritto da Vince Guaraldi per il cartone animato Charlie Brown. L’atmosfera rilassata prosegue per quasi tutto il disco, con poche eccezioni come “Angles (Without Edges)” e “Fullsuvollivus (Fools of All of Us)”, due brani che richiamano la migliore tradizione hard-bop.
Il resto delle tracce ha una chiara impronta fusion, che potrebbe ricordare le atmosfere create da Pat Metheny e Lyle Mays, con un tocco di feeling soul e, a tratti, funk. Probabilmente è proprio questo il motivo per cui la critica ha visto nel disco un eccessivo avvicinamento a forme più “popolari” e meno intellettuali. Ma, per l’amor di Dio, se volete avvicinarvi all’arte di Jarrett, “Treasure Island” è l’album da avere. Anzi, sono sicuro che sarà quello che ascolterete più spesso del pianista americano.
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