È inutile negarlo, cari miei; l’equazione che identifica lo yacht-rock in Cristopher Cross e soltanto lui, è quella che va per la maggiore in chi non conosce un cazzo del genere. Persone che pretendono di mettere bocca su qualcosa che non hanno mai approfondito davvero, fermandosi alle superficialità. Lo yacht rock è un genere sfaccettato, che non si limita a un solo artista o a un paio di hit radiofoniche: rappresenta un'epoca, uno stile di vita e una fusione di generi che va dal soft rock al jazz fusion, con influenze pop e soul. Cristopher Cross è sicuramente un pilastro, ma ridurre tutto a lui è ignorare la varietà e la profondità che questo movimento musicale ha da offrire.
Ecco, molto probabilmente questi tuttologi del nulla non avranno mai sentito parlare di Dane Donohue. Eppure, il suo omonimo album del 1978 è una gemma nascosta dello yacht rock, un concentrato di eleganza musicale e arrangiamenti raffinati, con collaborazioni di musicisti di altissimo livello.
Ebbene, dopo ben 46 anni dalla pubblicazione del suo omonimo album, Dane Donohue è tornato tra noi con un nuovo album “L.A. Rainbow”, uscito lo scorso 4 Settembre per la benemerita etichetta giapponese P-Vine Records. Grazie al lavoro sotterraneo di John Nixon, deus ex machina del progetto di westcoast pop, Page 99, Dane Donohue è stato convinto ad uscire fuori dal lungo silenzio artistico che aveva avvolto la sua carriera.
“L.A. Rainbow” vede un Donohue in discreta forma, nonostante tutti questi anni di silenzio, l’album consta di nove brani per trentotto minuti di durata, e pur rimanendo ancorato al genere, Donohue si concede alcune digressioni come in “Fair Enough” e “Own This Heartache” brani dal sapore country ben miscelati in atmosfere westcoastiane. Altrove come in “Let it Go” sono le atmosfere jazz notturne a farla da padrone.
Fortunatamente in “L.A. Rainbow” non c’è quel senso di forzato e di scopiazzature che possiamo ascoltare in alcuni album contemporanei del genere, qui Donohue ha risvegliato la sua scintilla creativa ed ha licenziato un disco che si pone con autenticità e maturità, e se le similitudini ci sono, possiamo trovarle nel suo primo lavoro, come è dato di ascoltare nella title track, pezzo con un bel assolo di chitarra in coda, il quale non avrebbe sfigurato nell’album del 1978. In un album Yacht-Rock che si rispetti non può mancare l’aggancio agli Steely Dan e questo lo troviamo nella conclusiva “Sunrise On The Water”, dove le influenze degli Steely Dan emergono chiaramente sia nell'arrangiamento raffinato che nelle progressioni armoniche complesse. Con il suo assolo di sax, "Sunrise On The Water" evoca quell'eleganza tipica del duo Fagen-Becker, dal groove sofisticato. È il perfetto sigillo finale per un album che non solo rende omaggio alle radici dello yacht rock, ma dimostra anche come Donohue sia capace di mantenere viva quella tradizione sonora, rielaborandola con maestria e gusto personale.
Nessuna sorpresa, e meno male mi viene da dire, “L.A. Rainbow” è un album che suona fresco, suonato e cantato bene, raffinato e profondamente radicato nelle sue origini. Dane Donohue ha regalato ai suoi fans e ai fans dello Yacht-Rock un lavoro solido, sofisticato e decisamente ispirato. Bentornato!
Bentornato a postare... e ovviamente, me lo segno dopo una rece così!
RispondiEliminaGrazie, adesso spero di avere più tempo da dedicare al blog. E’ come aver trovato un’oasi dai social. Riguardo al post, se ti interessa l’argomento, ho pubblicato una serie di post, a mio nome, sul blog di Tonyface. Però che tristezza vedere molti amici del blogroll che non pubblicano più niente.
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