America Good-Bye - Alberto Radius


“La bandiera ha stelle a volontà, allora come mai non brilla”

Lo ricorderanno come il chitarrista di Lucio Battisti o come uno dei fondatori della "Formula Tre", ma Alberto Radius oltre ad essere stato tutto questo ed essere stato uno tra i migliori chitarristi che l'Italia abbia mai avuto, è anche l'autore di tre signori album solisti, tra i quali spicca "America Good-Bye" del 1979, album sulla morte del sogno americano composto insieme a Daniele Pace e Oscar Avogadro, due tra i più acuti parolieri italiani.

Strano destino davvero quello di Radius e di questo album, prodotto in un periodo in cui se non eri allineato ad andarti bene venivi etichettato come uno "di destra". Se solo lo avessero ascoltato più attentamente molti soloni sputa sentenze, avrebbero trovato in questo concept il racconto disilluso di una nazione già allora in disfacimento morale, con le sue storie di miserie umane e di perdenti. 

Radius qui è un narratore di tutto questo, con distacco ma attento a non cadere in un ideologismo fine a se stesso, in fondo, pur con le dovute proporzioni, è un narratore come lo sono stati nel cinema Altman ed Eastwood, individualisti che non si sono mai fatti dettare l'agenda dai rivoluzionari di turno, quegli stessi che allora etichettavano come fascista Lucio Battisti, mentre adesso pontificano sui destini meravigliosi del liberal capitalismo, una forma più subdola di fascismo, con il culo al caldo sullo scranno di qualche studio televisivo ben foraggiati dal padrone di turno. 

Ritornando al disco, ci troviamo di fronte ad un lavoro pop con tanto groove al suo interno, niente a che vedere con il prog come letto su qualche pagina, senza troppi orpelli, che vede la partecipazione di Tullio De Piscopo alla batteria, Julius Farmer al basso, Gigi Tonet al synth e Sante Palumbo agli arrangiamenti in collaborazione con Radius.

Otto canzoni per un racconto disincantato della società americana; dalla corruzione e al razzismo all’interno della polizia di quartiere raccontata in “Poliziotto”, a "Patricia", uno degli apici della carriera di Radius, storia di una prostituta messicana che vive a New York una vita fatta di disperazione e solitudine che sogna un giorno di andarsene in Messico ma non ha la forza per farlo, alla California degli adoni abbronzati il cui unico scopo nella vita è quello di fare surf fregandosene di tutto il resto in “California Bill”, gioiellino in stile Yacht-Rock, il richiamo alla leggenda metropolitana dei coccodrilli che vivevano dentro le fogne di New York di “Coccodrilli Bianchi”, metafora sui rifiuti umani della società con invettiva contro ricchi e benpensanti, alla celebrazione e demolizione di Muhammad Ali de “Il Buffone”, al manager di “Giù”, che trova nel whiskey il sollievo e la soluzione per dimenticare il suo matrimonio finito male, per arrivare al finale di “Las Vegas” brano che è figura retorica per disvelare come in fondo tutti gli Stati Uniti siano una grossa finzione fatta di lustrini e speranze mal riposte. 

Un album questo che merita un riascolto e considerati quali sono oggi i campioni del pop italiano e la bassezza a cui è arrivata la produzione media del bel paese, qualcuno di loro venderebbe la mamma, ancora oggi, per realizzare e produrre un disco così.

👉 https://youtu.be/bVrq5fZVoTI👈

Commenti

Post più popolari