Scartabelli qua e là e poi ti ritrovi tra capo e collo un album uscito nel 2010, che è stato ristampato da poco, di una band di Nottingham, i Soundcarriers. Metti su il disco e ti ritrovi immerso dentro un lounge pop retro-futurista in stile anni 60.
I Soundcarriers prendono ispirazione dai loro predecessori, come gli Stereolab e i Broadcast, ma incorporano anche influenze che questi ultimi potrebbero aver ritenuto troppo ovvie da utilizzare. Ad esempio, i Soundcarriers si ispirano anche alla psichedelia della costa occidentale degli anni '60, tra i quali non ho remore nel dire che ho ritrovato le note e l’atmosfera appartenute ai Byrds e ai Jefferson Airplane, e anche al jazz moderno.
Tra le influenze, davvero tante, ho trovato anche qualcosa dei Jethro Tull, impensabili a queste latitudini, ma ascoltate “Step Outside” e poi ditemi se quando parte quel cazzo di flauto non ho visto giusto o mi sia invece fatto trasportare dal vortice dei suoni di “Celeste”.
Il buono degli Soundcarriers è dato dalla struttura delle canzoni dell'album e dall'uso disciplinato degli strumenti, che offrono un suono rinfrescante rispetto agli artisti che si affidano troppo ai paesaggi sonori. La struttura delle loro canzoni è ben definita ed hanno dalla loro la capacità di sorprendere l'ascoltatore con riff inaspettati e jam session.
Ad un ascolto superficiale l’album può sembrare un guazzabuglio di generi diversi, tra cui jazz, folk rock, elettronica e krautrock. Tuttavia, nonostante la diversità degli stili, le canzoni sono molto ben realizzate e coerenti. “Celeste” è un album che suona bene ancora oggi, ed è un ascolto piacevole e stimolante, nonostante una durata record di cinquantaquattro minuti, per chi non si accontenta di proposte scontate. Per gli amanti del retro futurismo poi è manna dal cielo.
👉https://youtu.be/9XQ5Zv_PZvY👈