In Brasile vive un uomo il cui amore per la musica è senza pari. All'interno delle sue mura, si celano trentamila dischi in vinile e innumerevoli CD. Tuttavia, questo uomo non è soltanto un collezionista; egli è anche un musicista e cantante straordinario.
Ora, tre anni dopo il suo album "AOR", Ed Motta è pronto a stupirci con una nuova opera musicale, "Perpetual Gateways", che si rivela essere il degno successore. Ancora una volta, le sonorità che richiamano gli Steely Dan aprono le danze. "Captain's Refusal", ad esempio, potrebbe facilmente essere scambiato per un brano degli Steely Dan da "Gaucho". Subito dopo, "Hypocondriac's Fun" fonde il linguaggio di Fagen con quello di Stevie Wonder, creando un risultato affascinante. "Good Intentions" invece ci catapulta nel cuore del soul, con una performance vocale straordinaria da parte di Motta. "Reader's Choice" rievoca ancora le suggestioni degli Steely Dan, come un antipasto per la successiva "Heritage Deja Vu", che chiude la prima parte dell'album con maestria, offrendoci un pezzo in perfetto stile soul jazz.
L'abilità di Ed Motta sta nel prendere gli elementi di vari generi musicali e plasmarli a suo piacimento, creando melodie che stimolano la mente e complessi cambi di tonalità. Accompagnato da una band straordinaria, tra cui spiccano Patrice Rushen alle tastiere, Greg Phillinganes al clavinet, Marvin "Smitthy" Smith alla batteria, i bassisti Tony Dumas e Cecil McBee, Rickey Woodard al sax e Curits Taylor alla tromba, Motta canta questa volta in inglese, mantenendo un tappeto sonoro puro e senza compromessi.
Dopo la prima parte dell'album, ci si aspetterebbe un'ulteriore incursione nel soul jazz, ma Ed Motta ci sorprende. La seconda parte è dominata dal jazz puro e senza fronzoli. Motta ci invita a esplorare le radici della sua musica, deliziandoci con altri cinque brani raffinati che svelano l'essenza dell'artista brasiliano.
Si apre con "Forgotten Nickname", una bellissima jazz ballad notturna da locale fumoso, con Patrice Rushen al Fender Rhodes e al piano acustico, arricchita da un eccezionale assolo al flauto di Hubert Laws. Seguono due uptempo, "The Owner" e "A Town In Flames", due brani che avrebbero trovato casa nel repertorio di Mark Murphy, incarnando la vera essenza dell'hipsterismo. "I Remember Julie" è una scivolata vocale contrappuntata dalla tromba, mentre nell'ultima traccia, "Overweight and Overblown", Motta sfoggia il linguaggio "scat" in un pezzo groovy che mette il sigillo sull'intero disco.
Se c'è qualcosa da sottolineare, è il coraggio di Ed Motta nel rinunciare alle influenze della musica brasiliana, in particolare della bossa nova. Tuttavia, alla luce del risultato finale, non possiamo lamentarci della sua scelta. "Perpetual Gateways" è, senza dubbio, uno dei migliori album usciti nel 2016. Obrigado, Ed!