venerdì 19 febbraio 2016

PERPETUAL GATEWAYS - ED MOTTA


In Brasile vive un uomo il cui amore per la musica è senza pari. All'interno delle sue mura, si celano trentamila dischi in vinile e innumerevoli CD. Tuttavia, questo uomo non è soltanto un collezionista; egli è anche un musicista e cantante straordinario.

Ora, tre anni dopo il suo album "AOR", Ed Motta è pronto a stupirci con una nuova opera musicale, "Perpetual Gateways", che si rivela essere il degno successore. Ancora una volta, le sonorità che richiamano gli Steely Dan aprono le danze. "Captain's Refusal", ad esempio, potrebbe facilmente essere scambiato per un brano degli Steely Dan da "Gaucho". Subito dopo, "Hypocondriac's Fun" fonde il linguaggio di Fagen con quello di Stevie Wonder, creando un risultato affascinante. "Good Intentions" invece ci catapulta nel cuore del soul, con una performance vocale straordinaria da parte di Motta. "Reader's Choice" rievoca ancora le suggestioni degli Steely Dan, come un antipasto per la successiva "Heritage Deja Vu", che chiude la prima parte dell'album con maestria, offrendoci un pezzo in perfetto stile soul jazz.

L'abilità di Ed Motta sta nel prendere gli elementi di vari generi musicali e plasmarli a suo piacimento, creando melodie che stimolano la mente e complessi cambi di tonalità. Accompagnato da una band straordinaria, tra cui spiccano Patrice Rushen alle tastiere, Greg Phillinganes al clavinet, Marvin "Smitthy" Smith alla batteria, i bassisti Tony Dumas e Cecil McBee, Rickey Woodard al sax e Curits Taylor alla tromba, Motta canta questa volta in inglese, mantenendo un tappeto sonoro puro e senza compromessi.

Dopo la prima parte dell'album, ci si aspetterebbe un'ulteriore incursione nel soul jazz, ma Ed Motta ci sorprende. La seconda parte è dominata dal jazz puro e senza fronzoli. Motta ci invita a esplorare le radici della sua musica, deliziandoci con altri cinque brani raffinati che svelano l'essenza dell'artista brasiliano.

Si apre con "Forgotten Nickname", una bellissima jazz ballad notturna da locale fumoso, con Patrice Rushen al Fender Rhodes e al piano acustico, arricchita da un eccezionale assolo al flauto di Hubert Laws. Seguono due uptempo, "The Owner" e "A Town In Flames", due brani che avrebbero trovato casa nel repertorio di Mark Murphy, incarnando la vera essenza dell'hipsterismo. "I Remember Julie" è una scivolata vocale contrappuntata dalla tromba, mentre nell'ultima traccia, "Overweight and Overblown", Motta sfoggia il linguaggio "scat" in un pezzo groovy che mette il sigillo sull'intero disco.

Se c'è qualcosa da sottolineare, è il coraggio di Ed Motta nel rinunciare alle influenze della musica brasiliana, in particolare della bossa nova. Tuttavia, alla luce del risultato finale, non possiamo lamentarci della sua scelta. "Perpetual Gateways" è, senza dubbio, uno dei migliori album usciti nel 2016. Obrigado, Ed!


venerdì 5 febbraio 2016

IL LUNGO ADDIO: MAURICE WHITE (1941-2016)




"The light is he, shining on you and me."

C'è qualcuno là fuori che vorrà spendere almeno una bella parola per Maurice White e per ciò che ha rappresentato nella storia della musica? So bene che in Italia, il soul e il funk sono apprezzati solo da pochi, e che la notizia della sua scomparsa non riceverà la stessa risonanza mediatica che ha avuto quella del "duca bianco", ma mi perdonerete, il creatore degli Earth, Wind & Fire è stato e rimarrà per me uno dei punti fermi nel mio percorso di appassionato di musica e uno dei motivi per cui scrivo su questo blog.

Nel ricordo di Maurice White si intrecciano i momenti della mia adolescenza, le domeniche pomeriggio trascorse nelle discoteche e nei locali di Firenze ormai scomparsi, proprio come quei miei 16 anni, e l'ascolto delle loro canzoni, apparentemente così perfette e semplici, ma in realtà così complesse nella loro composizione.

Gli Earth, Wind & Fire sono un gruppo che molti hanno cercato di imitare senza successo, con una sezione fiati tra le più incredibili mai ascoltate, con molte anime al loro interno: dal funk più grezzo al soul con influenze latine, fino al lussuoso e sensuale pop che artisti come David Foster, Jay Graydon, Skip Scarborough e Bill Champlin hanno donato a White per far crollare ogni resistenza nell'ascoltatore medio di pelle bianca.

Tutto questo è stato Maurice White, e se vi sembra poco...


lunedì 1 febbraio 2016

E PENSO A TE - LUCIO BATTISTI


Mi sono sempre avvicinato alle cover delle canzoni di Lucio Battisti con una certa diffidenza, se non addirittura con una repulsione vera e propria. Le sue canzoni originali erano già perfette di per sé e non avevano bisogno di ulteriori interpretazioni. Preciso che sto parlando dei brani cantati originariamente da Battisti, non delle canzoni scritte inizialmente per altri artisti.

Battisti è stato oggetto di reinterpretazioni da parte di tutti: versioni jazz, in alcuni casi notevoli, da cantanti pop intramontabili a quelli noti solo per un'ora, fino ad arrivare addirittura a Carlo Conti, dove il presentatore fiorentino si cimenta in un improbabile medley tratto da un album che, già dal titolo, dice tutto: "Carnevalestro."

"E Penso A Te" ha fatto la sua prima apparizione su vinile come lato B di "Maria, Maria," anch'essa opera di Battisti-Mogol, un 45 giri che doveva rilanciare la carriera di Bruno Lauzi. Tuttavia, sarà la versione del genio di Poggio Bustone a diventare un classico e una delle canzoni d'amore più belle nella storia della musica italiana. Una canzone con un giro armonico semplice, struggente e malinconico, con un'apertura che non è né un vero ritornello né un bridge, ma con una lunga coda strumentale che ha molti punti in comune con la beatlesiana "Hey Jude."

La leggenda narra che la canzone sia nata in poco più di venti minuti, sul tratto autostradale tra Milano e Como, dove Battisti guidava e canticchiava mentre Mogol scriveva le parole.

Chi, se non Battisti, poteva reinterpretare in modo convincente ma totalmente diverso l'originale? Da sempre appassionato delle sperimentazioni, qui Lucio trasforma completamente il brano, rendendolo funky, con un ritmo simile a "Prendila Così" e un lungo assolo di pianoforte elettrico con sfumature jazz, cambiando completamente il significato della canzone. Ma le sorprese non finiscono qui: il brano diventa "I Think Of You" ed è cantato in inglese. In origine, doveva far parte del secondo album di Battisti per il mercato anglosassone, basato sulle canzoni di "Una Donna Per Amico" con l'aggiunta di "I Think Of You" e di "Baby It's You," la versione inglese di "Ancora Tu."

"Friends," questo il titolo dell'album, avrebbe dovuto uscire nel 1979 ma non vedrà mai la luce, e solo negli anni duemila avremo la possibilità di ascoltarlo.

Se le canzoni di Battisti sono unanimemente riconosciute come classici della canzone italiana, lo dobbiamo anche a quei jazzisti che si sono avvicinati al suo lavoro allo stesso modo in cui si trattano gli standard della canzone americana. Battisti e Mogol erano come i nuovi Rodgers e Hart, tanto che una delle versioni jazz più belle del songbook battistiano è proprio "E Penso A Te." Questa volta, è la tromba e l'arte di Enrico Rava nell'album "What A Day" del 1990 a rendere omaggio al brano, recuperando quell'atmosfera struggente e malinconica dell'originale.