venerdì 27 novembre 2015

WEST END COAST - YOUNG GUN SILVER FOX



Buone notizie per gli amanti del Yacht Rock: il genere gode di ottima salute e è ben lontano dal declino, come dimostra il primo album a lunga distanza degli Young Gun Silver Fox, il cui acronimo appartiene a Andy Platts e Shawn Lee, i due talentuosi musicisti dietro a questo progetto. "West End Coast" è il loro album di debutto, pubblicato il 15 novembre dalla casa discografica tedesca Legere Recordings, e ho avuto il piacere di scoprirlo grazie alla diligente Willwork4funk di Milano.

Platts e Lee non sono certo sconosciuti, anzi: Platts è il leader, compositore e produttore degli Mama's Gun, una band dedicata a rivisitare il pop sofisticato degli anni '70. Lee è il creatore di Shawn Lee's Ping Pong Orchestra, una band strumentale le cui tracce sonore potreste aver sentito in serie TV come Lost e Desperate Housewives, o anche nei film, come Oceans 13, solo per citarne uno, oltre alle apparizioni nelle pubblicità, come BMW e Jaguar.

"West End Coast" è un viaggio nel cuore della musica Yacht Rock, con tutti i suoi sviluppi e sfaccettature nel corso degli anni. Si apre con "You Can Feel It," il singolo estratto dall'album, che immediatamente ci trasporta nell'atmosfera delle armonie vocali e del pop, un po' alla America, in particolare ai primi anni, quelli di "Homecoming." Anche il secondo brano, "Emilia," prosegue in questa direzione, anche se le voci cominciano ad avere un sapore alla Doobie Brothers, con un intrigante assolo di chitarra all'inizio e nel mezzo della canzone. Con il terzo brano, "Better," il sound si sposta verso influenze giamaicane, evolvendo in una ballata soul che richiama alla mente i misconosciuti Faragher Brothers.

"Distant Between Us" è uno dei momenti culminanti dell'album, una perfetta sintesi di melodia pop con un'introduzione che ricorda gli Player, vocalizzata e con un ritornello tipico del blue-eyed soul alla Hall & Oates, per poi sfociare nel bridge orchestrale stile Philly Sound, semplicemente splendida. La successiva "See Me Slumber" è un'altra perla, con atmosfere alla Doobie Brothers, ma immaginatele come se la band di Michael McDonald fosse britannica invece che americana, un brillante connubio tra pop britannico e soul americano.

Il lato B dell'album si apre con il pop dalle sfumature orientali di "In My Pocket," che ci conduce direttamente al soul funk bianco di "So Bad," un altro pezzo imprescindibile dell'album con influenze che richiamano gli AWB e gli Attitude. "Saturday" ci introduce nel mondo del Michael McDonald post-Doobie Brothers, una canzone con un ritmo incalzante e un refrain che si incolla alla mente. "Spiral," la penultima traccia dell'album, ci riporta all'incantevole pop che dominava le FM radio americane alla fine degli anni '70, preparandoci per il gran finale: "Long Way Back," una ballata malinconica che improvvisamente prende il volo, accompagnata da una chitarra in stile Isley Brothers, portandoci verso le vette del soul più trascendentale.

È inutile dire che, per quanto mi riguarda, questo è uno dei dischi dell'anno, un'esperienza di ascolto estremamente piacevole, che ho abbracciato completamente e dalla quale non riesco a staccarmi.



venerdì 20 novembre 2015

STOP TIME - JON REGEN



In quanto amante delle arti visive, ho sempre ritenuto che le copertine degli album siano parte integrante del prodotto, e provo un sottile piacere quando queste riflettono il contenuto musicale. Recentemente ho fatto questa esperienza con il nuovo album di Jon Regen, "Stop Time". La copertina raffigura una stanza spoglia con un divano in stile anni '60, dove l'artista è seduto in completo scuro e cravatta mentre sfoglia un giornale. Accanto c'è un tavolino di modernariato con una tazza da caffè e una bellissima caffettiera Moka in mostra.

Potremmo quasi utilizzare questi oggetti per definire la musica di Jon Regen, ma sarebbe un'analisi troppo semplice. Prima di tutto, è importante ricordare che Regen è un pianista jazz, un pupillo di Kenny Barron, e nella sua carriera ha collaborato con musicisti come Kyle Eastwood e Little Jimmy Scott. "Stop Time" è il suo terzo album da solista, prodotto dal talentuoso Michael Froom, che riesce abilmente a catturare l'essenza del pianista e cantante americano senza invadere il suo spazio.

L'essenza musicale di cui parlavo si riflette anche nella formazione del trio di Regen: pianoforte, basso e batteria (con Davey Faragher e Pete Thomas, noti per essere membri della band di Elvis Costello, The Imposters), con una spruzzata di chitarra elettrica in un paio di brani. Le canzoni raramente superano i quattro minuti, seguendo uno stile essenziale che a tratti richiama il miglior Randy Newman e il sottovalutato Bill Quateman. Tuttavia, questa essenza non manca del calore soulful che permea la scrittura pop-jazz di Regen, fortunatamente priva di eccessi autoreferenziali.

"Stop Time," uscito lo scorso giugno, è un album che si è sedimentato nella mia playlist come quei vini che necessitano di un po' di riposo per rivelare tutta la loro brillantezza e complessità. Al primo ascolto, potrebbe sembrare quasi indifferente, ma col passare del tempo diventa un appuntamento quasi quotidiano. Come un vino robusto che accoglie con il suo bouquet di profumi, una buona morbidezza al palato e lascia una sensazione di pulizia e chiarezza, così sono le canzoni di questo album.

I momenti salienti includono "Run to Me," "Stop Time," e "Annie," dove la scrittura musicale meticolosa si combina con l'eccezionale vocalità di Regen. Sono melodie belle, canzoni semplici e raffinate, un po' fuori moda ma proprio per questo capaci di accompagnare perfettamente una serata in casa con le persone care.




venerdì 13 novembre 2015

WHERE OR WHEN


"Where or When" è universalmente riconosciuta come una delle canzoni più belle di tutti i tempi. Questo brano fa parte del songbook di Rodgers e Hart ed è stato eseguito per la prima volta a New York nel 1937, nel musical "Babes In Arms". Questo musical, diviso in due atti, racconta la storia di un ragazzo e di una ragazza di vent'anni e dei loro amici, che cercano di mettere in scena uno spettacolo teatrale per evitare il lavoro forzato in una "work farm" locale. Questa situazione è dovuta al fatto che i loro genitori, attori di vaudeville, li hanno abbandonati cercando fortuna come artisti di strada durante la grande depressione americana.

La versione originale del musical era caratterizzata da forti tematiche politiche, tra cui riferimenti a Nietzsche, discriminazione razziale e personaggi con idee comuniste. "Babes in Arms" è stato rappresentato dal 14 aprile all'18 dicembre 1937. Nel 1939, è stato adattato in un film con Judy Garland e Mickey Rooney, sebbene la trama fosse notevolmente modificata, mantenendo solo l'elemento principale e due delle cinque canzoni originali. Nel 1959, George Oppenheimer ha realizzato una versione depoliticizzata del musical, adeguata all'era del maccartismo, modificando la sequenza delle canzoni e l'orchestrazione. Purtroppo, questa versione è diventata la più nota nel tempo.

Nonostante nel musical siano presenti altre canzoni di grande successo come "My Funny Valentine" e "The Lady is A Tramp", "Where or When" è stata subito acclamata dal pubblico. Questa ballata struggente è stata descritta dal critico Richard Corliss del Time come una canzone che evoca "uno stato di estasi malinconica che fonde passato e presente, il sognatore e il sogno, l'amante e tutti i suoi amori reali e immaginari". La melodia dolce di Rodgers e Hart ha conquistato il cuore del pubblico, e la versione cantata da Peggy Lee con l'accompagnamento al clarinetto di Benny Goodman, registrata la vigilia di Natale del 1941, è stata considerata da Benjamin Schwarz, critico musicale, come una delle versioni jazz più commoventi mai realizzate. Questa versione rifletteva le ansie del momento storico, con l'America che si preparava per la guerra.

"Where or When" è stata reinterpretata da numerosi artisti, spaziando dal doo-wop di Dion and The Belmonts, alla versione italiana del Trio Lescano con l'orchestra Cetra di Pippo Barzizza, agli "standard" di Ella Fitzgerald e Frank Sinatra, al soul delle Supremes, alla versione incisiva di Jane Birkin, al jazz di Sonny Rollins, fino alla versione bossa nova di Diana Krall.

 



venerdì 6 novembre 2015

ERBE SELVATICHE - OSCAR ROCCHI E IL SUO MODERN SOUND


Nel 1975, l'anno in cui è stato pubblicato "Erbe Selvatiche", Internet non era nemmeno nei sogni più audaci degli scrittori di fantascienza. Ciò che aveva in comune allora e oggi era la difficoltà nel trovare dischi di questo genere. Questo perché gli album di musica "library", creati come commento per programmi televisivi, documentari e altro, non erano concepiti per la vendita e spesso rimanevano invisibili. Oggi la situazione è leggermente migliorata grazie al lavoro di piccole e intelligenti etichette che ristampano le opere più significative, ma essendo realtà di nicchia, anche queste edizioni si esauriscono rapidamente. Dobbiamo quindi riconoscere il merito della rete, che, grazie alla comunità degli appassionati, mette a disposizione di tutti la possibilità di ascoltare questi album. La peculiarità e la bellezza di questi lavori risiede nell'ascoltare musicisti che, pur operando entro i limiti imposti dai committenti, lavorano in totale libertà, senza cedere alla tentazione di creare successi da classifica.

Chissà se Oscar Rocchi, il pianista e compositore di "Erbe Selvatiche", avesse previsto che il suo disco sarebbe diventato nel tempo uno dei pochi esempi in Italia di musica funk sapientemente mescolata con il soul e il jazz. Sulla rete si trova poco su Oscar Rocchi. Da quanto ho potuto apprendere, è stato un musicista di session con alcuni dei nomi più noti della musica italiana, come Umberto Tozzi e Marcella Bella. Tuttavia, ha anche collaborato con artisti come Giorgio Gaber e De André, e insieme a Tullio De Piscopo è stato parte integrante dell'album "Metamorphosis" del batterista napoletano, pubblicato nel 1981.

Tornando a "Erbe Selvatiche", impressiona il groove travolgente che scorre attraverso le tracce del vinile, un elemento raro nelle produzioni musicali italiane. Rocchi dimostra grande abilità con le sue tastiere, tra cui il Fender Rhodes e l'Arp, e è accompagnato dalla chitarra fuzz di Andrea Verardi, dai fiati, tra cui il sax tenore e il flauto di Giancarlo Barigozzi (si dice che l'album sia stato registrato durante le session di un altro capolavoro della library music, "Woman's Colours" del Barigozzi Group), oltre al basso elettrico preciso e incisivo di Gigi Cappellotto, che si integra perfettamente con la batteria di Andrea Surdi. Non tutti i brani sono dominati dal funk; in alcune tracce si sperimenta con ballate cinematiche in linea con la melodia italiana, che, seppur apprezzabili, non possono competere con l'energia degli altri pezzi.

Erbe selvatiche è stato ristampato recentemente in vinile, chi volesse accaparrarsi il disco originale, si prepari a firmare un assegno da 500 dollari.