lunedì 25 maggio 2015

THE GRASS ROOTS E "PIANGI CON ME"


Nel tardo autunno del 1966, quando la band inglese The Rokes lanciò il loro primo singolo di grande successo qui in Italia, "Che Colpa Abbiamo Noi," nessuno avrebbe potuto prevedere che il lato B di quel disco, "Piangi Con Me," avrebbe conquistato le classifiche di vendita negli Stati Uniti grazie ai Grass Roots. In quel fervente periodo per la musica italiana, nella metà degli anni sessanta, era comune che le band dedite al beat prendessero canzoni di artisti di lingua inglese e le reinterpretassero in italiano. Ma in questo caso, avvenne l’opposto. 

Retrocediamo un po'. Nel 1965, anche negli Stati Uniti, si stava svolgendo una rivoluzione musicale con il rock. Gruppi come The Byrds avevano introdotto una felice combinazione tra il folk di Bob Dylan e il rock delle band inglesi. In questo contesto, emerse un talentuoso autore e produttore di nome P.F. Sloan. Insieme al suo collaboratore Steve Barry, cercava una band che potesse eseguire le canzoni che aveva scritto. La prima sperimentazione fu con una band chiamata "The Bedouins," ma quando scoprirono che dovevano limitarsi a cantare solo le canzoni del duo, senza aggiungere il loro repertorio, rifiutarono l'offerta. Tuttavia, Sloan non si arrese e trovò successivamente una band di Los Angeles chiamata "The 13th Floor." Questi non solo accettarono di cantare le canzoni di Sloan, ma accettarono anche di cambiare il loro nome in "The Grass Roots." Dopo aver registrato una cover di Bob Dylan che non ebbe molto successo e un secondo singolo in stile Byrds chiamato "Where Were You When I Needed You," che invece ottenne buone vendite, ecco giungere "Piangi con me."

Ma torniamo ai Rokes e a ciò che accadde allora. La band inglese che si trovava in Italia era una delle poche a registrare brani originali, e "Piangi con me," scritta da Shapiro e Mogol, era uno di questi. Con l'obiettivo di lanciare la carriera dei Rokes nel loro paese d'origine, ne fu fatta una versione in inglese chiamata "Let's Live for Today." Il testo fu notevolmente modificato rispetto all'originale italiano. Se quest'ultimo trattava in modo adolescenziale vittime e perdenti, la versione inglese, scritta da un team di parolieri della band, diventò un inno all'amore e critica i falsi miti della società occidentale e il materialismo, tanto che ai Grass Roots fu chiesto di incidere una versione censurata. È a questo punto che la storia si complica: il cantante dei Grass Roots ascoltò la canzone durante un soggiorno in Inghilterra, ma non era la versione dei Rokes, che fu incisa e pubblicata nel Regno Unito dopo quella dei Grass Roots. Era invece dei Living Daylights, ma non è chiaro come questi ottennero i diritti del brano, dato che i Rokes non avevano concesso autorizzazioni per altre registrazioni. Un furto? È probabile. Tuttavia, sembra che i Grass Roots abbiano comunque ascoltato in anteprima la versione inglese dei Rokes, poiché l'arrangiamento della canzone presenta più somiglianze con quella versione che con quella dei Living Daylights.

In conclusione, "Let's Live for Today" fu proposta dal cantante dei Grass Roots agli altri membri della band e a P.F. Sloan, che decisero che quella sarebbe stata la canzone a lanciare la loro carriera, e così fu (la canzone raggiunse l'ottavo posto nella classifica di Billboard e il quinto posto in quella di Cashbox). Forse i Rokes rimasero un po' delusi, dato che con la stessa canzone non ottennero il successo sperato in Inghilterra. Tuttavia, possono consolarsi sapendo di essere stati una delle band più amate in Italia negli anni '60 e di essere ancora ricordati oggi. Dopo il successo di "Let's Live for Today," i Grass Roots ebbero altre hit, divennero i preferiti dei DJ delle stazioni AM americane e incisero un altro brano di un autore italiano,  Lucio Battisti. “Balla Linda” divenne “Bella Linda” ed arrivò al nr. 24 delle charts Usa, ma questa è un’ altra storia. 

lunedì 18 maggio 2015

THE YOUNG PICNICKERS - THE PEARLFISHERS


Caro David,

Mi trovo seduto di fronte alla finestra, osservando i bambini attendere il loro scuolabus. Nel frattempo, il gatto del mio vicino si sta avventurando in guai, spinto dalla sua eterna curiosità e dall'ennesima rissa tra felini. Nell'attesa, sto ascoltando con grande piacere "The Young Picnickers", l'album della tua band, The Pearlfishers. È la colonna sonora perfetta per questa stagione estiva, che ancora conserva i profumi della primavera.

Il primo brano dell'album, "We're gonna save the summer," proclama il desiderio di preservare l'estate, trasportandoci in un magico viaggio attraverso la migliore musica pop degli ultimi tempi. Questa musica rievoca i maestri del genere, come Brian Wilson, Jimmy Webb e Burt Bacharach, e riesce a riscaldare il cuore. Questo termine spesso abusato trova qui un significato vero, poiché brani come "Another day out in the suburbs" mi riportano indietro nel tempo alla mia giovinezza, riportandomi alle dolci giornate trascorse con mia madre nei giardini, mentre nell'aria aleggiavano le note di Gilbert O'Sullivan.

Le tue canzoni evocano i ricordi lontani, incisi nella nostra mente, che emergono di tanto in tanto per ricordarci chi eravamo. Questi ricordi non si trasformano in nostalgia per un passato idealizzato, ma sono piuttosto un modo di interrogarlo, per capire chi siamo diventati nel corso degli anni. La vita è troppo breve per lasciarsi influenzare dai chiassosi impostori che cercano di dettare i nostri stili di vita, e la tua arte ci ricorda che siamo destinati alla bellezza, non alla volgarità.

In "The Young Picknickers," c'è una canzone che rappresenta l'apice della musica pop, tanto perfetta da essere paragonata a opere come quelle di Paddy Mc Aloon. "You Justify My Life" segna un punto di svolta nella concezione della musica e della vita, e la sua grandezza è dimostrata dal fatto che, nonostante sia stata pubblicata nel 1999, non ho ancora ascoltato nulla che si avvicini minimamente a essa.

Per concludere questa lettera, desidero ringraziarti perché attraverso la tua musica, nonostante la mia età avanzata, continuo a perseguire i miei sogni. Anche se ho abbandonato molti di essi nel corso della vita, essi rimangono custoditi in un cassetto che apro di tanto in tanto per ravvivarli.

Con affetto,

"Harmonica" 

P.S. David Scott è uno scozzese, il leader dei The Pearlfishers, una band di musica pop. "The Young Picknickers" è il loro terzo album, uscito nel 1999.

 

lunedì 11 maggio 2015

WORDS AND MUSIC - LONETTE MC KEE


Un mio amico recentemente mi ha suggerito di smettere di pubblicare articoli su artisti poco conosciuti e di concentrarmi su contenuti meno elitari. Dando un'occhiata alle statistiche di visualizzazione, devo ammettere che sembra avere ragione, visto che l'articolo sui The Knack è stato il più letto nell'ultimo mese. Tuttavia, il mio amico sa già che non cederò a questa richiesta e che se vuole leggere recensioni sui soliti nomi e dischi, dovrà cercare altrove. C'è un vasto mondo là fuori di artisti e opere d'arte dimenticate che richiederebbero più di una vita per essere esplorati, anziché ripetere per l'ennesima volta le stesse discussioni su dischi dei Pink Floyd o dei Nirvana, per fare due esempi.

Nel mio articolo di oggi, ci spostiamo indietro al 1978, e l'artista al centro delle mie riflessioni, Lonette McKee, è forse più conosciuta per la sua carriera cinematografica che per la sua musica. Sì, perché la signora McKee ha recitato in "Sparkle," un film del 1976, un'opera non eccezionale ispirata alla storia delle Supremes (e in effetti, spicca come la migliore durante le scene canore). Successivamente, ha recitato in film come Cotton Club, Malcolm X e Mo' Better Blues. Ma pochi sanno che Lonette McKee ha anche registrato musica, sebbene in quantità limitata, solo tre album in trent'anni, che sono passati quasi inosservati.

Tuttavia, il suo primo album merita davvero una riscoperta: "Words and Music," pubblicato nel 1978. Ascoltandolo oggi, ti chiedi come sia possibile che sia rimasto sconosciuto per così tanto tempo. McKee aveva dalla sua la bellezza, un'incredibile estensione vocale e un album registrato per la Warner Bros., con musicisti di alto livello come Patrice Rushen, Harvey Mason, Abraham Laboriel, Lee Ritenour e Ray Parker Jr. L'album offre una miscela affascinante di generi, con il pop interpretato in chiave soul e R&B, senza trascurare il blues, un po' come facevano Minnie Riperton e Roberta Flack. Sebbene manchi un singolo da classifica come quelli delle artiste menzionate, possiamo comunque apprezzare un gruppo di canzoni che confermano l'alta qualità della produzione musicale di quel periodo, anche se in modo meno noto. È un po' come confrontare i film italiani di genere di quarant'anni fa con quelli di oggi: da Marisa Mell ad Ambra Angiolini.

E qui, il mio amico farebbe la stessa, prevedibile domanda: "Pensi davvero che la musica del passato sia superiore a quella di oggi?" La risposta, come sapete già, è sì.



venerdì 1 maggio 2015

WE NEED TO GO BACK, THE UNISSUED WARNER BROS. MASTERS - DIONNE WARWICK



Nel 1972, quando Dionne Warwick lasciò la Sceptre Records per unirsi alla Warner Bros, nessuno avrebbe previsto che questi anni sarebbero stati tra i più tumultuosi della sua carriera. La Warwick fece questo passo insieme ai suoi mentori, Burt Bacharach e Hal David, che avevano l'intenzione di continuare a lavorare con lei e di aumentarne il successo. Tuttavia, la sfortuna volle che dopo aver prodotto e scritto gran parte del suo primo album per la nuova etichetta, "Dionne", il talentuoso duo di autori si separò poco dopo. Questo avvenne probabilmente anche a causa del fallimento, agli occhi della critica e del pubblico, del loro rifacimento in forma di musical di un leggendario film di Frank Capra, "Lost Horizon".

Alcuni potrebbero obiettare che, data la prolifica carriera di Dionne Warwick fino al 1972, con sedici album e numerose raccolte di singoli, non avesse più molto da dimostrare. Tuttavia, sarebbe stato un vero peccato se la voce di questa artista afroamericana fosse caduta nell'oblio. La Warner Bros non si scoraggiò e, con la partenza di Bacharach e David, subentrò subito il trio creativo della Motown: i signori Holland-Dozier-Holland. Inoltre, durante i cinque anni trascorsi alla Warner, Warwick ebbe l'opportunità di lavorare con autori e produttori del calibro di Thom Bell, Ashford & Simpson, Randy Edelman, Joe Porter, Jerry Ragovoy, Steve Barri e Michael Omartian. Nonostante l'impressionante elenco di collaboratori, i dischi prodotti in quel periodo non raggiunsero il successo sperato. Tuttavia, l'uscita nell'agosto del 2013 di un album di outtakes da quelle sessioni, intitolato "We Need To Go Back: The Unissued Warner Bros. Masters" e curato dalla label Real Gone Music, fa riflettere sulla situazione.

Questi diciannove brani inediti sono straordinari e in alcuni casi addirittura superiori alle registrazioni pubblicate. Se si ascolta una recente raccolta dei singoli usciti per la Warner, la differenza è evidente. L'album comprende anche tre brani scritti da Bacharach nel 1974 rimasti inediti, ma i pezzi di maggior spicco sono quelli scritti da Ashford & Simpson: "We Need To Go Back" e "Someone Else Gets The Prize". Sono due autentici capolavori che si sposano perfettamente con la voce in uno stato di grazia della Warwick, che appare più elegante e raffinata che mai, con una maturità vocale che raggiunge la sua massima espressione.

Mentre i brani scritti da Holland-Dozier-Holland sono di per sé notevoli, quelli prodotti da Thom Bell aggiungono un tocco del caratteristico Philly Sound al repertorio della Warwick. Il resto dell'album è altrettanto straordinario, ma qui mi fermo, lasciandovi la curiosità di scoprire le altre gemme nascoste in questa raccolta. In sintesi, si tratta di una collezione preziosa, curata con intelligenza e passione, che si distingue dalla consueta produzione destinata agli appassionati di musica. Questa raccolta ci regala una parte della storia della musica popolare che rischiava di andare perduta per sempre, ma grazie agli sforzi dei curatori possiamo ora goderne appieno.