giovedì 26 febbraio 2015

NOVITA': THE MADS - WHAT I NEED/VIRTUAL WORLD


Nel mio mondo ideale The Mads scalerebbero le classifiche dello stivale e li trovereste al posto dei Modà o dei Dear Jack, li vedreste in televisione al posto di Emma e di Piero Pelù, li ascoltereste in heavy rotation nelle stazioni FM.
Per adesso, nell'attesa forse vana che l'ascoltatore italiano medio rinsavisca, ascoltiamo il nuovo, grande singolo dei The Mads, 45 giri in doppio lato A in uscita per l'etichetta Areapirata. 
The Mads, formatisi a Milano nel 1979 sono stati una tra le prime, se non la prima band Mod italiana e dopo aver editato lo scorso mese di Agosto un EP di cover adesso escono con due nuove canzoni vergate da loro stessi: "What I Need" scritta da Marco Pertusati, chitarra e voce portante del gruppo è un richiamo alle sonorità beatlesiane dall'impatto modernista, impreziosita dai ricami in stile jingle jangle della chitarra di Tony Graziani, "Virtual World" per la penna di Luis Bergamaschi vi porta invece dalle parti di Regent Street nella Londra degli anni 60, un brano dal tiro power-pop con un refrain che ti si incolla negli orecchi e non ti molla: qui c'è il suono degli eroi Mods, di band quali The Small Faces, The Action fino ai The Kinks.
Insomma, The Mads hanno classe e stile da vendere anche a tanti nuovi presunti "eroi" del panorama musicale italiano , le loro canzoni suonano fresche e sono come una boccata d'aria sul panorama imbalsamato della musica dello stivale.
Altamente consigliato !


lunedì 23 febbraio 2015

UNA CANZONE: THIS STRANGE EFFECT





"This Strange Effect" è uno dei tanti gioielli scritti da Ray Davies nel corso della sua carriera, portato al successo nel 1965 da Dave Berry che ne incise la prima versione. Fermatosi al nr. 37 della chart inglese il brano arrivò al nr. 1 della classifica belga e olandese, paesi nei quali Berry divenne una vera e propria star. Dave Berry, cantante di ballate pop confidenziali ed r'n'b non è molto conosciuto in Italia, tranne forse per "The Crying Game", bellissima torch song usata in film e serie tv; mi viene in mente la scena clou de "La moglie del soldato", e va ricordata anche per la bella cover che ne fece Boy George.

Ritornando a "This Strange Effect", la voce di Berry riesce a rendere ancora più intrigante il brano, una ballad sognante, tanto languida nel senso di dolce abbandono, che misteriosa, al punto che la cover fatta dalla band belga degli Hooverphonic nel 1998 mette in risalto la parte iniziale facendola diventare una canzone da film di spionaggio, ricordando molto il tema iniziale delle pellicole di James Bond. 

La canzone nel 1966 ha avuto anche una versione in italiano, "Che Strano Effetto", ad opera de I Corvi, con il testo rielaborato da Nicola Salerno e Franco Califano. Nonostante i Corvi riescano ad entrare nel mood della canzone, dandone una più che discreta interpretazione, il brano non ebbe il successo sperato e il 45 giri divenne ben presto materia da collezionismo.

Mai realizzata ufficialmente dagli The Kinks, la si può però ascoltare in una raccolta uscita nel 2001, "The Songs We Sang For Auntie - BBC Session 1964-1977". 
Nel 1992 sarà Bill Wyman a trarne una cover, inserita nel suo album solista "Stuff", molto bella anche la versione di Steve Wynn tratta dall'abum "Sweetness & Light" del 1997, che da nuova linfa alla canzone, ammantandola di psichedelia e magnetismo garage.




venerdì 20 febbraio 2015

NOVITA': CURTIS HARDING - SOUL POWER


Strana storia l'uscita di questo album: lo scorso Maggio è stato pubblicato negli States e in Europa è arrivato nei negozi da poco. Quindi è probabile che lo conosciate già, così come qualcuno avrà già letto questo post che pubblicai nel Maggio del 2014 su un mio vecchio blog ormai chiuso.
Visto che il personaggio così come il disco sono altamente raccomandabili e meritano più di un ascolto, ve lo ripropongo, magari troverà nuovi lettori e il nostro Curtis nuovi adepti.

Eccolo qua:

L’uomo che fuma in copertina, rigorosamente in bianco e nero, sarà a breve la vostra prossima ossessione. Curtis Harding non è arrivato per caso, Curtis Harding ha il tiro di Al Green e la rabbia di un bluesman, le sue canzoni respirano con il soul ma lui è intelligente da non farlo sembrare troppo retrò. Curtis Harding non disdegna le chitarre e ve le fa ascoltare; quelle garage però.

Curtis Harding è stato backing vocal di Cee Lo Green, ha lavorato con gli Outkast ma poi si è rotto le scatole e ha deciso di correre da solo. Curtis Harding ti ricorda che una volta gli Stones erano un gruppo coi controcoglioni, ascoltate “Surf” e ne riparliamo, Curtis Harding è lo-fi e hi-fi è retrò e avanti, ha iniziato cantando il gospel nel Michigan e ha visto la “luce” ad Atlanta, è la voce che ti accarezza la sera e ti urla in testa al mattino, Curtis Hurding ti ricorda che il soul non è un genere musicale, ma è un emozione che scorre nell’aria e tra i cavi dello stereo, sono le parole umili di chi non è sottomesso e ti da la speranza per andare avanti, soul è un rotear di fianchi, soul è fare all’amore.

Curtis Harding è il soul. Di oggi e di ieri. Curtis Harding dice che la sua musica ed il soul parlano da soli, che “il vangelo è fonte di ispirazione,  è la storia dei neri d’America, è il fondamento del blues, del r’n’b, del soul, del country e del rock”, ma il vangelo di Curtis Harding non è la predicazione dal pulpito, lo trovi nella strada.

Ascoltate quindi “Soul Power”, è soul si, ma non fermatevi alla prima canzone, sono certo che vi farà bene

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martedì 17 febbraio 2015

NOVITA' - MARK RONSON - UPTOWN SPECIAL


A Marc Ronson sono grato per due cose: la prima è stata quella di essere stato il produttore di "Back to Black" di Amy Winehouse, la seconda, forse più importante dell'altra, è quella di avermi fatto digerire una canzone di Bruno Mars. "Uptown Funk", appunto, è il tormentone che da due mesi a questa parte sta spopolando nelle classifiche di mezzo mondo, sorta di bignamino Princian-Michaeljacksiano, (scusate il pessimo neologismo), tratto dall'ultimo album del produttore inglese "Uptown Special", di cui andremo a parlare. Se per il lavoro di D'Angelo e The Vanguard abbiamo parlato di una sorta di evoluzione della musica soul prendendo spunto da quello che c'è stato nel passato, questo album invece ne rappresenta l'antitesi. Qui infatti è il revival del genere, ma non solo di questo come vedremo, la cifra che lo rappresenta, soul ri-elaborato in chiave pop per scalare le classifiche e da quel che ho potuto ascoltare direi che il compito è stato svolto egregiamente.
La partenza è affidata all'armonica e alla voce di Stevie Wonder, con l'intro al disco "Uptown First Finale", per poi entrare in territorio blue eyed soul con "Summer Breaking" cantata da Kevin Parker, uno dei brani più belli del disco. Il funk alla James Brown è invece appannaggio di Mystikal voce portante di "Feel Right" che lascia il posto alla già citata "Uptown Funk", se poi volevate una conferma dei gusti "retrò" di Ronson con "I Can't Lose" siamo dentro al soul sintetico degli anni 80, mentre "Daffodils" con la partecipazione di Kevin Parker dei Tame Impala è soul funk di razza che riporta alla mente quei disco club più simili ad un tugurio, dove improvvisati Tony Manero dettavano lo stile del momento. Si va avanti così per tutto il disco, tra rimandi al soul dei tempi che furono, "Crack In The Pearl" sviluppo dell'intro con Stevie Wonder a "In Case Of Fire" il cui attacco ha più di una similitudine con "The Way You Make Me Feel" di Michael Jackson e ne segue le orme. La sorpresa arriva invece da "Heavy and Rolling" dove il basso, in particolare nella nota accentata, riporta alla mente quella "Lowdown" di Boz Scaggs manifesto del suono westcoast pop, ma tutto l'andamento della canzone è un omaggio neanche troppo velato a quella scena; come avrete capito è il brano che preferisco di tutto l'album, il quale va preso per quello che è: un riuscitissimo esempio di musica pop di ispirazione soul, fresco e adatto alla bisogna per chi della musica black ne è totalmente a digiuno.

 

venerdì 13 febbraio 2015

RITORNI: BLACK MESSIAH - D'ANGELO AND THE VANGUARD


Dei due paladini del così detto neo-soul, ovvero Maxwell e D'Angelo, del primo ogni tanto esce fuori qualcosa dalla sua pagina facebook, lo vediamo impegnato sulle spiagge dorate in quel di Dubai, tra cocktails e fiche, lontano comunque, fino a prova contraria, dalle sale di incisione da cui manca dal 2009, del secondo le poche notizie disponibili ce lo davano quasi per spacciato, perso tra sostanze più o meno lecite e crisi esistenziali.
Capirete quindi quale sorpresa sia stata quando lo scorso 14 Dicembre il nostro ha annunciato al mondo l'uscita di un nuovo lavoro, "Black Messiah", dopo ben 14 anni di silenzio.
Come dire: "fate e suonate tutto quello che volete, io intanto mi prendo una pausa e quando tornerò state pur certi che il mio suono manderà a puttane tutto quello che avete fatto in questo lasso di tempo".  D'angelo non avrà certo pensato una cosa del genere, ma ascoltando il disco ci si va molto vicino, perché "Black Messiah" è qualcosa che buona parte degli appassionati di musica soul aspettavano da tempo. Il perché è presto detto: ci troviamo di fronte ad un'opera che fa da spartiacque tra quanto c'è stato prima e come potrebbe essere da ora in poi. D'Angelo ha preso la materia prima della musica nera e il rispetto per i maestri e li ha rivoltati come un calzino: non più il soul ed il funk trattati come esercizio buono per il revival ma qualcosa di nuovo, e nell'anno del ritorno sulle scene di Prince ha dimostrato a costui che con una buona dose di coraggio si può ancora creare qualcosa che va aldilà degli schemi precostituiti del genere. Il nome di Prince è stato accostato a "Black Messiah" anche in virtù di alcune canzoni che a tratti fanno ricordare lo stile del genio di Minnepolis, ma è soltanto una traccia che passa e nulla più dal momento che tutti i brani vivono di personalità propria e un  brano come "1000 Deaths" basta da solo a far capire che sarebbe l'ora che  l'r'n'b (ma non solo, penso a tanti "genietti" dell'indie rock) si desse una scrollata da formule stantie e ripetute stancamente.
Disco non facile, ma che cresce di ascolto in ascolto, grazie anche alla band che accompagna D'Angelo, The Vanguard, dalla strumentazione scarna ed essenziale, che marcia dritta senza tanti fronzoli accessori.
Il re è tornato, e da ora in poi Black Messiah sarà il nuovo punto di riferimento per tutto il neo soul e non solo.

lunedì 9 febbraio 2015

UNA CANZONE: SUPERSTAR


Antefatto: "Superstar" in principio era conosciuta come "Groupie", motivo scritto da Bonnie Bramlett e Leon Russell e cantata nella versione originale dal duo Delaney & Bonnie, ed ha per argomento, come si può intuire dal titolo, la storia di una ragazza innamorata di una rockstar, ma sostanzialmente è una canzone che parla di solitudine.
La versione originale sarà quella dalle atmosfere più blues e soul che non nelle successive reinterpretazioni che ne furono fatte e ad oggi, se pensiamo alla tragica fine di Karen Carpenter, la cover che ne fecero i Carpenters risulta quella più convincente, nonché quella dal maggior successo.

Fu Richard Carpenter che una volta ascoltata la versione cantata da Bette Midler decise di farne un 45 giri, rielaborandone l'arrangiamento e cambiando una parte della strofa del brano, dove "and i can hardly wait to sleep with you again" divenne "and i can can hardly wait to be with you again", questo per rendere i versi più in linea con l'immagine da bravi ragazzi americani che aveva il duo.

L'arrangiamento di Richard Carpenter valse a lui una nomination ai Grammy, meritato, dal momento che questa versione rimane quella più conosciuta e ancor più peculiare, nonchè a mio modesto parere la più bella. Nel corso degli anni quella che era una canzone semisconosciuta è diventata un classico della musica pop, rielaborata e reinterpretata in tutte le salse: da quella "rumorista" dei Sonic Youth in un album tributo ai Carpenters (per il sottoscritto è una versione da denuncia penale) a quella intensa e rallentata all'inverosimile cantata da Luther Vandross, una trasposizione da pelle d'oca e lacrime, simile ad un'esperienza mistica verrebbe da dire, fino ad arrivare a quella contenuta nel nuovo album di Diana Krall, "Wallflower", dove la voce profonda della jazzista americana rende ancora più drammatico il racconto della "groupie". E voi, quale preferite ?




martedì 3 febbraio 2015

LOST AND FOUND: THE BLACK AND WHITE OF IT IS BLUES - JOANNE VENT



Joanne Vent realizzò il suo solo ed unico long playing, "The Black And White Of It Is Blues", nel 1969 (l'ultimo suo disco è un 45 giri, "Call My Name" uscito nel 1975) e probabilmente avrà creduto e sperato di avere una carriera luminosa davanti a se, e non di finire a fare la corista per altri artisti, come ad esempio per Lou Reed (in "Coney Island Baby" e "Sally Can't Dance) o per Paul Jones nel suo album "Crucifix in a Horseshoe" per finire con l'artista country Jerry Jeff Walker. Un peccato perché il disco è davvero bello e la nostra Joanne dimostrava di avere doti canore eccellenti, una voce nata per cantare il blues ed il soul e le undici canzoni del disco sono lì a dimostrarlo.

A vederla in copertina sembra una delle tante folksinger di fine anni sessanta, ma appena attacca "God Bless The Child", brano reso celebre da Billie Holiday, capiamo da subito che la sua voce non è stentorea e delicata ma una vera e propria arma da r'n'b ; a tratti riecheggia la profondità vocale che aveva Etta James, ma va detto che Joanne Vent non difettava in personalità; ascoltate ad esempio  "Love Come Down ", blues torrido e passionale, oppure la bella cover di "It's A Man Man's World" di James Brown, qui resa con suggestioni gospel.

Una nota di merito va spesa per gli strumentisti che accompagnano la Vent e per gli arrangiamenti delle canzoni (compresi gli archi nella canzone che apre il disco e in quella conclusiva) che riescono a fornire il giusto tappeto sonoro, senza perdersi in inutili manierismi.
Poco altro so dirvi, il disco mi è capitato per puro caso durante le mie scorribande in rete, al momento dell'uscita finì ben presto nel dimenticatoio, pur essendo inciso per la A&M Records che non supportò per niente l'artista. Il disco è stato ristampato  recentemente in Cd dalla Big Pink Records e di fatto ha contribuito a creare nuovo interesse intorno al nome della cantante.

Joanne Vent ha lasciato questa valle di lacrime nel 1998