Una porta socchiusa che lascia intravedere uno spiraglio di luce, il nostro che se ne sta seduto su una sedia con un uccello notturno su di una spalla, indeciso sul da farsi, una corda a mo' di serpente che sbuca dalla porta. Se Mayer Hawthorne voleva farcire di significati esoterici la copertina del suo nuovo disco, "Where Does This Door Go", direi che ci è riuscito alla perfezione. Il sottoscritto, che di esoterismo conosce il giusto, preferisce entrare attraversare la soglia della porta per scoprire quello che ci propone il soul singer del Michigan. Terzo album di studio questo, che promette e mantiene un rinnovamento stilistico del sound di Hawthorne, lasciando al passato le suggestioni retro soul in salsa Motown/Stax che avevano caratterizzato le produzioni precedenti. Qui infatti si può a ragione parlare di un disco che ha come punto di riferimento le stagioni d'oro del "blue eyed soul" e infatti in più di un brano il pensiero va in direzione Hall & Oates, ma non solo, potevano mancare i riferimenti in un disco del genere alla premiata ditta Fagen/Becker ? No, ci troviamo dentro anche loro. Quindi, pop di buon gusto e fatto con tutti i crismi per piacere a chi si sollazza con il genere sopra descritto. Il disco, dopo una partenza al fulmicotone con "Back Seat Lover", si rilassa con tre brani che mi lasciano abbastanza indifferente, per poi ripartire con "Wine Glass Woman" e da qui in poi si va alla grande, un brano migliore dell'altro, con gli apici in "Her Favorite Song", "Crime" dall'introduzione "arabic", cantato in coppia con Kendrick Lamar per finire con "Corsican Rosé". Album derivativo ? Sicuro. Ma ve ne importa qualcosa ? A me no, averne di dischi così.
lunedì 22 luglio 2013
PORTA APERTA
Una porta socchiusa che lascia intravedere uno spiraglio di luce, il nostro che se ne sta seduto su una sedia con un uccello notturno su di una spalla, indeciso sul da farsi, una corda a mo' di serpente che sbuca dalla porta. Se Mayer Hawthorne voleva farcire di significati esoterici la copertina del suo nuovo disco, "Where Does This Door Go", direi che ci è riuscito alla perfezione. Il sottoscritto, che di esoterismo conosce il giusto, preferisce entrare attraversare la soglia della porta per scoprire quello che ci propone il soul singer del Michigan. Terzo album di studio questo, che promette e mantiene un rinnovamento stilistico del sound di Hawthorne, lasciando al passato le suggestioni retro soul in salsa Motown/Stax che avevano caratterizzato le produzioni precedenti. Qui infatti si può a ragione parlare di un disco che ha come punto di riferimento le stagioni d'oro del "blue eyed soul" e infatti in più di un brano il pensiero va in direzione Hall & Oates, ma non solo, potevano mancare i riferimenti in un disco del genere alla premiata ditta Fagen/Becker ? No, ci troviamo dentro anche loro. Quindi, pop di buon gusto e fatto con tutti i crismi per piacere a chi si sollazza con il genere sopra descritto. Il disco, dopo una partenza al fulmicotone con "Back Seat Lover", si rilassa con tre brani che mi lasciano abbastanza indifferente, per poi ripartire con "Wine Glass Woman" e da qui in poi si va alla grande, un brano migliore dell'altro, con gli apici in "Her Favorite Song", "Crime" dall'introduzione "arabic", cantato in coppia con Kendrick Lamar per finire con "Corsican Rosé". Album derivativo ? Sicuro. Ma ve ne importa qualcosa ? A me no, averne di dischi così.
domenica 21 luglio 2013
BRASIL BRASIL
L'altra sera mi è capitato di vedere su Sky Arte un film dedicato all'arte di uno dei maggiori artisti brasiliani del secolo scorso: Antonio Carlos "Tom" Jobim. Il film, che dovrebbe essere preso ad esempio su come realizzare una biografia/documentario musicale, aveva soltanto inserti musicali, nessun commento astruso da parte di esperti o presunti tali, si andava dai pezzi cantati dallo stesso Jobim alle varie cover realizzate, in una non stop di emozioni durata un'ora e mezzo. Il film ho scoperto poi che è distribuito da "Feltrinelli Real Cinema" e quindi si dovrebbe trovare in vendita anche da noi. Tra tutti i brani presentati non poteva mancare "La ragazza di Ipanema" con una piccola curiosità: nel video che accompagna il brano, c'è anche un inserto della cover italiana scritta da Girogio Calabrese e cantata da Mina. Unica nota stonata del film è che in nessuna canzone appare Astrud Gilberto, che di quelle canzoni fu l'interprete massima, strana scelta direi.
Quindi, vi lascio a Mina, e al pezzetto preciso inserito nel film e vi regalo la versione della "Garrota de Ipanema" in italiano cantata dal grande Bruno Martino, per me inarrivabile.
domenica 14 luglio 2013
TEMPO DI GELATO
Mi perdonerete, spero, il titolo di questo post, che vuole creare una similitudine tra una nota marca di gelati con il nome del gruppo che andrò a presentare. Semmai possiamo dire che l'unica cosa in comune può essere la rarità dell'oggetto in questione, un vinile per la band dei "Magnum" - ecco la somiglianza - e certi improbabili ice cream con lo stecco in edizione limitata: molto meglio il vinile, in questo caso, che non i lecca lecca ad alto tasso glicemico. I "Magnum" quindi. Niente a che vedere con l'omonima band di prog inglese, qui siamo in California e il disco in questione "Fully Loaded" è l'unica fatica prodotta dal gruppo, composto da 8 persone 8, e come spesso accade, l'edizione in vinile originale viaggia a prezzi esorbitanti; meno male che è stato ristampato in cd in tempi recenti. Tolto dall'oblio dai soliti minatori e dj's dall'orecchio fino, "Fully Loaded", album uscito nel 1974, è un coacervo di suoni funk profondi, intrecciati con il jazz e con spruzzate latin, fender rhodes e basso in primo piano, ricorda a tratti la produzione dei Mandrill, quindi ci troviamo dentro anche una buona dose di rock, e in almeno un paio di brani mi ha ricordato anche i nostrani "Perigeo", ascoltate ad esempio "Witch Doctor's Brew" e "Composition Seven". Musica per un'immaginaria colonna sonora di blaxploitation movie, come anche la pistola in copertina può far evocare, musica che ho trovato di una modernità assoluta nonostante i quasi quarant'anni trascorsi e posso dire che un disco come questo rappresenta il paradiso per ogni appassionato di funk e musica black in generale. Campionato a piè sospinto, tra l'altro, e non poteva essere diversamente.
Se ancora non lo avete capito, questo disco mi ha fatto sbroccare.
sabato 6 luglio 2013
FIORI SOUL
Non ringrazierò mai abbastanza Amy Winehouse per aver dato il la ad una schiera di ragazze che prendendola ad esempio (non per lo stile di vita, per fortuna) trovano entusiasmante cimentarsi con i suoni e i colori della musica dell'anima. Robin McKelle, ad esempio, è una di queste. Americana di Rochester, NY, ha iniziato all'età di quindici anni ad entrare in sintonia con il soul, magari grazie a sua madre, cantante di gospel, cantando con diversi combo di r'n'b, per poi iniziare gli studi jazz all'università di Miami, corno francese e piano per la precisione, e una volta laureatasi si è mossa verso la west coast trovando lavoro come backing vocal, anche per gente del calibro di Michael McDonald e del cantante gospel BeBe Winans. I primi passi nell'industria discografica li ha mossi come artista jazz, i suoi primi tre album infatti sono stati come una summa dei suoi studi. Con il nuovo lavoro invece, torniamo indietro nel tempo, ovvero alla prima passione di Robin, il soul. Insieme alla band degli "the Flytons", Robin McKelle è riuscita nell'intento di regalarci uno dei dischi più semplici e più belli che abbia ascoltato da un bel pezzo: "Soul Flower", uscito nel 2012. Il materiale è quasi tutta roba originale scritta da Robin medesima, e in almeno un paio di brani si respira l'aria dei grandi classici del soul, per uno di essi, il mid-tempo "Fairytail Ending", siamo di fronte ad una delizia e ad una canzone che potrebbe diventare un classico, da ascoltare almeno una volta al giorno per anni interi. La bella voce di Robin, un contralto naturale, ci accompagna in questo viaggio sonoro con la classe e l'eleganza di chi antepone la misura nel cantato senza perdersi in inutili abbellimenti in stile Farinelli, o in urla a chi sputa l'ugola in faccia agli ascoltatori. Un'altra grande canzone è "Love's Work", qui in duetto col grande Gregory Porter, che rimanda a collaborazioni famose: il fantasma di Marvin Gaye insieme alle sue partner canore aleggia leggiadro qui. "Tell you one thing" mischia Northern Soul e r'n'b, "To Love Somebody" in duetto con Lee Fields rende giustizia ad un grande pezzo dei Bee Gees, e l'ennesima cover Bacharachiana "Walk On By", viene fortunatamente risolta in chiave soul; già troppe cover bossa lounge per questa canzone. Il disco si conclude con la cover di "I'm a fool to want you", forse un rimando ai dischi precedenti e agli studi di Robin, per il resto vi consiglio caldamente di ascoltare il disco, non prima di segnalarvi "Miss You Madly", altro godimento auricolare. Disco stupendo !
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