Tokyo Groove: Viaggio nel City Pop - Taeko Ohnuki - Prima Parte

Taeko Ohnuki, una delle regine del City Pop, nasce a Suginami, Tokyo, nel 1953. Suo padre era un membro delle unità speciali di attacco giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, i cosiddetti kamikaze. Nel 1973, insieme a Tatsuro Yamashita e Kunio Muramatsu, fonda gli Sugar-Babe, una band fondamentale per gli sviluppi del City Pop. Il gruppo, però, non raggiungerà il successo sperato e si scioglierà dopo poco tempo. Degli Sugar-Babe rimane una sola testimonianza sonora: l’album Songs, pubblicato nel 1975. Dopo appena un anno dall’uscita del disco, la band terminerà la propria attività.

La carriera solista di Taeko Ohnuki inizia nel 1976. Nel corso degli anni pubblicherà ventisette album in studio, l’ultimo dei quali, Tint, realizzato in collaborazione con Ryota Komatsu, risale al 2015. Parallelamente, ha all’attivo sette album dal vivo, l’ultimo pubblicato nel 2023. Tra le sue opere spicca UTAU (2010), frutto di una collaborazione con Ryūichi Sakamoto.

La produzione di Taeko Ohnuki è estremamente varia, spaziando dal City Pop al jazz, dall’elettronica alla world music. Dotata di una voce dolce e morbida, il valore della sua arte è difficile da descrivere a parole: gli album parlano per lei, e alcuni di essi sono considerati tra i capolavori del City Pop.

In questa serie di post ci concentreremo sugli album pubblicati tra il 1976 e il 1985, che sono quelli che ci interessano per tracciare il suo percorso nel City Pop.



Grey Skies - (1976, Panam Records)


Nel 1976 Taeko Ohnuki dà inizio alla sua carriera solista con l’album Grey Skies, un esordio che dimostra fin da subito una notevole maturità artistica e una visione musicale chiara. Tutte le canzoni sono scritte da Ohnuki stessa, che non si limita al ruolo di cantautrice, ma si occupa anche della produzione e collabora agli arrangiamenti insieme a Tatsuro Yamashita. Quest’ultimo, oltre a curare i dettagli sonori, suona la chitarra elettrica nell’album, contribuendo in maniera significativa al sound.


Tra i musicisti coinvolti, spiccano due figure destinate a lasciare un segno indelebile nella musica giapponese: Ryūichi Sakamoto, al piano e tastiere, e Haruomi Hosono, all’organo Hammond e ai synth. Entrambi, insieme a Yukihiro Takahashi, formeranno pochi anni dopo la leggendaria Yellow Magic Orchestra, diventando pionieri della musica elettronica. Questa collaborazione arricchisce ulteriormente il valore di Grey Skies, rendendolo non solo un esempio di eleganza musicale ma anche un documento storico della scena pop giapponese degli anni ’70.


Le sonorità del disco si mantengono vicine a quelle degli Sugar-Babe, il gruppo con cui Ohnuki aveva esordito qualche anno prima. Troviamo influenze marcate dal cantautorato della West Coast americana, con rimandi evidenti ad artisti come Carole King, Todd Rundgren e i Carpenters. A emergere, però, è una cifra stilistica più personale, che combina jazz e pop in arrangiamenti morbidi ed estremamente curati. Il risultato è un lavoro elegante e raffinato, capace di catturare l’ascoltatore con la sua atmosfera intima e avvolgente.


Ascoltandolo oggi, è sorprendente immaginare la direzione che Ohnuki avrebbe intrapreso negli anni successivi, diventando uno dei punti di riferimento del City Pop. In Grey Skies, la sua voce appare ancora insicura e tremolante sulle note alte, segno di una fase di crescita artistica non ancora completata. Nonostante ciò, il disco è un piccolo gioiello, ricco di momenti di rara bellezza. La sua atmosfera crepuscolare, permeata da una malinconia delicata e da un senso di nostalgia, attraversa tutte le tracce, conferendo all’album una coerenza emotiva unica.


Con Grey Skies, Taeko Ohnuki pone le basi per una carriera che avrebbe esplorato generi e stili sempre diversi, segnando profondamente la musica giapponese. Questo primo lavoro, pur non ancora perfetto, resta una testimonianza fondamentale del suo talento e della sua capacità di trasmettere emozioni con una grazia inconfondibile.



Sunshower - (1977, Panam Records)


Nel 1977, a un anno di distanza dall’esordio, Taeko Ohnuki pubblica Sunshower, considerato da molti – me compreso – il punto più alto della sua carriera. Rispetto al precedente Grey Skies, questo album abbandona i toni malinconici per abbracciare sonorità più luminose e vivaci. Pur non essendo ancora pienamente inserito nel City Pop come lo conosceremo negli anni successivi, Sunshower rappresenta un’importante tappa di transizione nella costruzione di questo genere, gettando le basi per quello che diventerà il sound distintivo della fine degli anni ’70 e dei primi anni ’80.


La cifra stilistica del disco rimane legata a un lussuoso pop/jazz, ma si arricchisce di influenze funk e soul tipiche degli anni ’70, rielaborate in modo sofisticato secondo i canoni del nascente yacht rock. Brani come Nani mo Iranai sembrano anticipare le sonorità del Westcoast pop, con arrangiamenti curati nei minimi dettagli e una raffinatezza che non teme confronti con le produzioni internazionali dell’epoca. In questo lavoro, però, non troviamo ancora i ritornelli immediati e accattivanti tipici del City Pop; prevalgono invece le sezioni strumentali, che offrono spazio a straordinari assoli di chiara matrice jazz/fusion, come quelli che impreziosiscono proprio Nani mo Iranai.


Tutti i brani dell’album portano la firma di Taeko Ohnuki, a dimostrazione della sua maturità artistica e della sua capacità di scrivere musica di grande profondità emotiva. L’arrangiamento è interamente affidato a Ryūichi Sakamoto, che contribuisce anche suonando pianoforte e tastiere. La presenza di musicisti di altissimo livello come Kazumi Watanabe e Kenji Omura alle chitarre, e Haruomi Hosono al basso, conferisce al disco un valore musicale assoluto. Non è un caso che molti dei nomi coinvolti in questo progetto sarebbero diventati figure di riferimento per la scena musicale giapponese, contribuendo al boom della musica elettronica degli anni ’80.


La voce di Ohnuki, nel frattempo, si è evoluta rispetto al disco precedente. Più sicura e controllata, predilige un registro alto, quasi da soprano, che si sposa perfettamente con le atmosfere ariose e sofisticate dell’album. Tra i pezzi più significativi, spicca Tokai, un brano soul/jazz dalle aperture pop, che si distingue per il perfetto equilibrio tra strumenti acustici, elettrici e sintetizzatori, confermando la capacità di Ohnuki di mescolare elementi tradizionali e moderni. Un altro momento memorabile è Karappo no Isu, una ballad dalle tinte malinconiche che si apre con una combinazione intima di voce, pianoforte elettrico (suonato da Sakamoto) e basso elettrico (Hosono). Il brano si sviluppa poi in un’atmosfera jazzata, arricchita da un evocativo assolo di sax, che aggiunge profondità e pathos alla composizione. Da segnalare anche Sargasso Sea, un brano semi-sperimentale caratterizzato dall’essenziale combinazione di voce, pianoforte e sintetizzatore. È l’unico pezzo dell’album che rielabora e modernizza le sonorità tradizionali giapponesi, creando un’atmosfera unica e suggestiva. L’album si chiude con Furiko no Yagi, un brano ambizioso che combina sapientemente archi, sintetizzatori, strumenti elettrici e acustici. Il pezzo si apre con atmosfere che richiamano una colonna sonora cinematografica, per poi trasformarsi gradualmente in una composizione soul/jazz dal carattere raffinato e coinvolgente, caratterizzata da un bel solo al piano di Sakamoto e da un grandioso solo di chitarra da parte di Kenji Omura.


Anche l’aspetto tecnico dell’album merita una menzione. La qualità della registrazione e la cura nei dettagli sonori riflettono la crescente professionalità e l’ambizione della scena musicale giapponese del periodo. Sunshower non è solo un’opera di grande bellezza artistica, ma anche un manifesto di eleganza e modernità, capace di dialogare con le produzioni più raffinate della scena musicale internazionale.


Ancora oggi, Sunshower stupisce per la sua freschezza e la straordinaria perizia tecnica. È un album che non invecchia, un esempio perfetto di come una grande visione artistica possa tradursi in musica senza tempo. Questo lavoro non solo segna una fase cruciale nella carriera di Taeko Ohnuki, ma rappresenta anche un tassello fondamentale nella storia della musica giapponese, anticipando temi e sonorità che avrebbero definito un’intera epoca.



Mignonne - (1978, RCA)


Nel 1978 Ohnuki firma con una major, la RCA, nel tentativo di ampliare il proprio pubblico e raggiungere il successo che i buoni risultati ottenuti con Sunshower lasciavano presagire. La pubblicazione di Mignonne sembra confermare queste ambizioni, ma, purtroppo, le aspettative di vendita non vengono soddisfatte. Eppure, Mignonne aveva tutte le carte in regola per sfondare: canzoni più immediate e un avvicinamento a quello che diventerà il canone del City Pop negli anni successivi. Anche in questo album troviamo i collaboratori storici di Ohnuki, tra cui Haruomi Hosono, Shigeru Suzuki e Yukihiro Takahashi, mentre agli arrangiamenti si distinguono Ryūichi Sakamoto e lo stesso Suzuki.


In Mignonne i suoni si fanno ancora più raffinati, con un uso più esteso dell’orchestra, ma le canzoni mantengono nel complesso lo stile dei lavori precedenti, privilegiando il soul e il pop, con il jazz relegato sullo sfondo. Anche questa volta, tutti i brani sono scritti da Ohnuki, che perfeziona ulteriormente il suo stile vocale, in particolare nei toni alti, come si può apprezzare nella terza traccia, Tasogare.


In un album che scorre complessivamente in modo tranquillo, spicca su tutte la traccia 4:00 A.M., un brano funk dirompente che quasi sembra stonare nell’economia del disco ma che, al contrario, gli dona carattere e risulta il pezzo migliore. Ad ogni nuovo ascolto, cresce il rimpianto per il fatto che Ohnuki non abbia insistito su questa strada. Nel complesso, l’album è indubbiamente bello, ma, a mio parere, inferiore a Sunshower.


FINE DELLA PRIMA PARTE











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