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Lo scorso 8 Luglio ci ha lasciati all'età di 66 anni Josè Roberto Bertrami, tastierista nonché uno dei co-fondatori degli Azymuth, assieme al batterista e percussionista Ivan Conti e al bassista Alex Malheiros. Molti probabilmente avranno ascoltato il loro brano più famoso, "Jazz Carnival", soltanto perché era la sigla di un vecchio programma tv, "Mixer", senza rendersi conto di chi lo suonasse - capite a che livello era un certo tipo di musica in Italia, toccava aspettare le sigle dei programmi per ascoltarla. Gli Azymuth sono stati non solo la più grande band arrivata dal Brasile, ma un punto di riferimento per gli amanti della musica di confine tra jazz, funk e samba. Presero il nome da un brano di Marcos Valle, "Azimuth", tratto dall'album "Mustang Cor de Sangue", dove i tre componenti della futura band prestarono la loro maestria come session-man e suonarono il brano talmente bene da essere appellati dai tecnici con un "ecco gli Azimuth, arrivano gli Azimuth", da qui la decisione di usarne il nome, dopo richiesta fatta allo stesso Valle, con la y al posto della i, una volta formata la band. Josè Roberto Bertrami si distinse come un innovatore del sound brasiliano portando le novità di allora nelle strumentazioni, fu il primo ad usare i synth, tanto da suscitare gelosie e prese in giro da parte dei musicisti della vecchia guardia, gli dicevano cose tipo: "Bertrami, cos'è quel suono, hai un'ape che ronza nel pianoforte?" Josè Roberto Bertrami, oltre a suonare negli Azymuth, suonò le tastiere elettroniche praticamente in tutti i dischi registrati in Brasile dal 1972 al 1976, possedeva gli unici sintetizzatori del Brasile, e se non lo chiamavano per suonare ed arrangiare, prendevano in affitto le sue tastiere. Musicista e tastierista onnivoro, faceva spesso tappa a New York dove comprava di tutto, i Moog, gli Arp e persino uno dei primi modelli di Vocoder.[1]
Della quarantennale carriera degli Azymuth sarebbe un peccato consigliare l'ascolto di un album a discapito di altri, comunque peschiate, pescate bene, magari si può iniziare con il loro album più conosciuto, "Light as a feather" del 1979, o "Aguia nao come mosca" del 1977, però, fatevi del bene, partite dal primo e ascoltateli tutti, non ve ne pentirete.
[1] Parte del post è tratto da una bella intervista al batterista Ivan Conti apparsa sulla rivista "Superfly" del Giugno/Luglio 2008. Una bella rivista italiana che parlava a 360 gradi della black music declinata in tutti i suoi generi, dal jazz all'hip hop, dal funk al dubstep. Peccato che non esista più, se penso al panorama attuale delle riviste musicali italiane - su Suono di Luglio ancora Bruce Springsteen in copertina, nonostante si sia nel 2012 e nonostante sia stato un mio vecchio pallino, basta, veramente - mi viene il magone ed il voltastomaco.