domenica 22 luglio 2012

THE "SORPASSO" AFFAIR


Cinquanta anni fa usciva uno dei film culto della storia del cinema, primo road movie in assoluto, una delle ispirazioni di Dennis Hopper prima di girare Easy Rider. De "Il Sorpasso" potrei dirvi che conosco a memoria quasi tutte le battute e le scene, che ne ho percorso le strade cercando di ritrovarne lo spirito; un film di una modernità assoluta che a distanza di tanti anni ci fa vedere nel personaggio di Bruno Cortona, un'Italia che non è cambiata per niente. Anche la musica ebbe una parte importante nell'economia del film: per la prima volta si usarono brani non originali ma quelli che andavano in voga allora, "Guarda come dondolo", "Vecchio Frac", "Pinne fucile ed occhiali" e sottotraccia, nella scena di Gassman e Trintignan al ristorante sul mare, anche "Quando Quando Quando" ma non nella versione originale bensì suonata da due suorine con l'ukelele in cerca di elemosine. Ecco, partendo da quest'ultimo brano che fu un successone nell'Italia del 1962, mi sono ispirato per creare una playlist di brani che rimandano a quel film e all'atmosfera di quegli anni, canzoni fresche con la bossa nova all'italiana come base, ma non solo. Ecco, diciamo che quest'estate me la suono così.

martedì 17 luglio 2012

IO, TU, NOI TUTTI PER UNO


Scorrendo nella discografia di Lucio Battisti, specialmente quella che si riferisce al periodo americano post Anima Latina, si possono ritrovare delle canzoni semi-sconosciute o quasi, o perlomeno brani che hanno avuto minor riscontro tra gli appassionati e gli addetti ai lavori. Il tiro del brano di oggi è quello adatto al blog, un funk morbido alla Brothers Johnson, uno dei pallini musicali del Lucio di quel periodo, è tratto da "Io, tu, noi tutti", album del 1977 registrato negli studi della RCA ad Hollywood nella speranza di scalare le classifiche in terra americana, cosa che poi non avvenne, arrangiato insieme a Mike Melvoine tastierista già membro dei Fifth Dimension e che vide la decisiva collaborazione di musicisti di grande livello come il batterista Hal Blaine - Elvis e Simon and Garfunkel tra le sue collaborazioni - i chitarristi Dennis Budimir e Jim Hughart, collaboratori rispettivamente di Frank Zappa e Tom Waits, Ray Parker Jr credo non abbia bisogno di presentazioni, ed il tastierista Michael Boddicker, già insieme a Qunicy Jones. "Ami Ancora Elisa" è una specie di riassunto di tutto il sound che pervade l'album, prima di tutto l'utilizzo di tre chitarre elettriche contemporaneamente quasi sempre in chiave ritmica, il riff di chitarra e basso è l'ossatura come in quasi tutti gli altri brani, compreso quell'immensa canzone che è "Amarsi un po'". Grandi cambi di ritmo in questo pezzo, forse troppo avanti per l'ascoltatore medio di allora, e forse ancora di più adesso, quel che è certo è che ha un effetto ipnotico.

sabato 14 luglio 2012

JOSE' ROBERTO E LE API NEL PIANOFORTE


Lo scorso 8 Luglio ci ha lasciati all'età di 66 anni Josè Roberto Bertrami, tastierista nonché uno dei co-fondatori degli Azymuth, assieme al batterista e percussionista Ivan Conti e al bassista Alex Malheiros. Molti probabilmente avranno ascoltato il loro brano più famoso, "Jazz Carnival", soltanto perché era la sigla di un vecchio programma tv, "Mixer", senza rendersi conto di chi lo suonasse - capite a che livello era un certo tipo di musica in Italia, toccava aspettare le sigle dei programmi per ascoltarla. Gli Azymuth sono stati non solo la più grande band arrivata dal Brasile, ma un punto di riferimento per gli amanti della musica di confine tra jazz, funk e samba. Presero il nome da un brano di Marcos Valle, "Azimuth", tratto dall'album "Mustang Cor de Sangue", dove i tre componenti della futura band prestarono la loro maestria come session-man e suonarono il brano talmente bene da essere appellati dai tecnici con un "ecco gli Azimuth, arrivano gli Azimuth", da qui la decisione di usarne il nome, dopo richiesta fatta allo stesso Valle, con la y al posto della i, una volta formata la band. Josè Roberto Bertrami si distinse come un innovatore del sound brasiliano portando le novità di allora nelle strumentazioni, fu il primo ad usare i synth, tanto da suscitare gelosie e prese in giro da parte dei musicisti della vecchia guardia, gli dicevano cose tipo: "Bertrami, cos'è quel suono, hai un'ape che ronza nel pianoforte?" Josè Roberto Bertrami, oltre a suonare negli Azymuth, suonò le tastiere elettroniche praticamente in tutti i dischi registrati in Brasile dal 1972 al 1976, possedeva gli unici sintetizzatori del Brasile, e se non lo chiamavano per suonare ed arrangiare, prendevano in affitto le sue tastiere. Musicista e tastierista onnivoro, faceva spesso tappa a New York dove comprava di tutto, i Moog, gli Arp e persino uno dei primi modelli di Vocoder.[1]
Della quarantennale carriera degli Azymuth sarebbe un peccato consigliare l'ascolto di un album a discapito di altri, comunque peschiate, pescate bene, magari si può iniziare con il loro album più conosciuto, "Light as a feather" del 1979, o "Aguia nao come mosca" del 1977, però, fatevi del bene, partite dal primo e ascoltateli tutti, non ve ne pentirete.

[1] Parte del post è tratto da una bella intervista al batterista Ivan Conti apparsa sulla rivista "Superfly" del Giugno/Luglio 2008. Una bella rivista italiana che parlava a 360 gradi della black music declinata in tutti i suoi generi, dal jazz all'hip hop, dal funk al dubstep. Peccato che non esista più, se penso al panorama attuale delle riviste musicali italiane - su Suono di Luglio ancora Bruce Springsteen in copertina, nonostante si sia nel 2012 e nonostante sia stato un mio vecchio pallino, basta, veramente - mi viene il magone ed il voltastomaco.



lunedì 9 luglio 2012

NON E' MAI TROPPO TARDI


Se non sbaglio, il titolo del post era anche quello di un vecchio programma Rai, dove un professore, Alberto Manzi, insegnava a leggere ed a scrivere a chi nell'Italia di allora non lo sapeva fare. Stamattina invece faremo opera di alfabetizzazione sulla musica e l'arte di Michael Jackson per chi ancora non ne conoscesse le gesta. Mi aiuterà il Maestro Enrico Rava, trombettista nonché jazzman eccelso, sentiamo infatti cosa ha da dirci in proposito. A lei la parola, Maestro:
"Tutto è cominciato una sera di inizio estate dolce e tiepida come solo Roma sa regalare. Era il 25 giugno 2009, nella Cavea dell’Auditorium. Prima di noi uno stupendo concerto di Ornette Coleman. Quando siamo saliti sul palco ci è bastato abbandonarci alla magìa che Ornette aveva lasciato. E’ stato uno dei nostri concerti più belli. Più tardi, mentre esausti ma felici camminavamo verso i camerini e il pubblico continuava ad applaudire, qualcuno ci ha detto che poco prima era morto Michael Jackson.

Fino a quel momento avevo avuto rapporti molto marginali con la sua musica e del personaggio conoscevo solo le stranezze e le maldicenze da gossip. Nei giorni seguenti radio e televisione trasmettevano di continuo video e brani del King of Pop. Poi di colpo la sua musica ha cominciato ad attrarmi in modo irresistibile. Forse a darmi il colpo di grazia è stato il riff contagioso di Smooth Criminal, sta di fatto che da un certo momento in poi Michael Jackson ha invaso la mia vita. Lunghi viaggi in macchina che avrebbero potuto essere d’una noia mortale si sono trasformati in entusiasmanti sedute d’ascolto. Insieme a mia moglie Lidia ci siamo procurati tutti i suoi dischi e tutti i video che siamo riusciti a trovare. Mi sono reso conto di aver ignorato per anni uno dei grandi protagonisti della musica e della danza del 900. La visione del film This is it, che documenta le prove di quello straordinario spettacolo che la sua morte ha impedito di realizzare, mi ha colpito profondamente. Vedere questo Peter Pan cinquantenne, così fragile e vulnerabile, trasformarsi in palcoscenico in un dominatore benevolo ma assoluto, in controllo del più piccolo particolare, da una luce troppo debole a una nota di basso non abbastanza enfatizzata, dal passo imperfetto di un ballerino a una pausa musicale troppo breve. Un artista completo, assoluto, perfezionista. Un genio. Mi sono anche reso conto che i suoi dischi più recenti, da History a Invincible , se sono forse i meno gettonati, sono probabilmente tra i più interessanti. La meravigliosa call and response di Stranger in Moscow o l’emozionante melodia di Speachless. E il capolavoro assoluto: Little Susie. E per finire la versione appassionata della sua canzone preferita: Smile, di Charlie Chaplin.
A questo punto ho sentito la necessità di immergermi nella sua musica mettendoci qualcosa di mio. Ho trovato in Mauro Ottolini il complice ideale per lavorare sugli arrangiamenti. La Band non poteva che essere il PM Jazz Lab. Il luogo: l’Auditorium di Roma, dove tutto è nato.

"Ma cos'è che tiene insieme il jazz e la musica di Jacko? E' ancora il Maestro Rava che ce lo dice: «Le radici sono le stesse, quelle della musica che nasce fra gli schiavi nel sud degli Stati Uniti a fine ’800 che pesca nella memoria dei ritmi africani. Da lì arrivano jazz, funk, soul…»

Grazie Maestro. In conclusione la devo ringraziare per avermi fatto riscoprire gli album di Jackson post "Bad" e colgo l'occasione per complimentarmi con lei per aver scelto delle canzoni tratte da album che mal si prestano ad una rivisitazione in chiave jazz, o perlomeno sono più difficili da interpretare che non i lavori realizzati da Jacko con Quincy Jones. Detto tra noi il riff di "Smooth Criminal" è uno degli ultimi che merita di essere ricordato, alla pari di quelli più famosi della storia della musica. In conclusione, Rava ci dimostra, sia per chi suona che in chi ascolta, di non avere mai nessun tipo di pregiudizio, di liberarsi dai muri nel cervello e dal prosciutto nelle orecchie che un certo tipo di pensiero "talebano" vuole inocularci.

Il disco live di Enrico Rava costruito sulle musiche di Michael Jackson, "Rava on The Dance Floor" è appena uscito per la ECM, si avete capito bene, ECM, non "Pizza e Fichi". Il risultato è un disco godibile, ballabile, dove Rava è così intelligente da non stravolgere la musica di Jackson rendendola irriconoscibile.

Ma adesso, eccovi "Smooth Criminal"



E questa è "Little Susie"

sabato 7 luglio 2012

L'ALCHIMISTA


Un alchimista. Questa potrebbe essere una definizione che ben si adatta alla musica dell'artista italocanadese Gino Vannelli, in particolare per gli album usciti dal 1973 al 1981 prima della svolta "pop" di "Black Cars" del 1983. Oddio, il pop era da sempre presente nell'arte di Vannelli, ma era ben integrato insieme al jazz, al rock ed al funk, ingredienti ben assemblati come un alchimista delle note quale era il buon Gino. Oggi focalizziamoci su "Nightwalker", album del 1981 e canto del cigno del Vannelli come fu conosciuto ed apprezzato dagli appassionati. Chi allora veniva a conoscenza della sua musica era o per caso, incuriosito magari dal nome "familiare" dell'artista, o con il passaparola degli amici più avveduti, non certo per i consigli dei soliti noti scribacchini, impegnati a rincorrere l'ultima moda in campo "new, post, no" e roba simile - aperta parentesi, tanto impegnati a rincorrere l'ultimo hype da non accorgersi del più genuino e "vero" movimento che rinverdiva i fasti del rock, ovvero il "PowerPop", chiusa parentesi - per accorgersi della complessità delle trame sonore costruite da Vannelli insieme a musicisti "da paura". Come ad esempio il batterista Vinnie Colaiuta, già con Frank Zappa, od il chitarrista Mike Miller, impegnati a destrutturare canzoni con ritmi sincopati, sul labile confine tra facile melodia e complessità di scrittura. Forma e sostanza quindi, come conferma questo disco: dalle melodie di "Put the weight on my shoulder" e "Livin' inside myself" due brani che mettono i brividi ancora oggi, due pezzi dall'alta carica emozionale che mettono paura talmente sono potenti, e forse nessuno oggi avrebbe il coraggio di pensarli, alla complessità di canzoni come "Seek and you will find" e "Santa Rosa", un rincorrersi di accordi e cambi ritmici impensabili in qualsiasi disco di pop dei nostri giorni (ad eccezione di Daryl Hall e Donald Fagen, of course). Tutta questa meraviglia ha mantenuto intatta ancora oggi la sua bellezza e la sua forza, nonostante i trentuno anni passati; il tutto grazie ai musicisti che vi suonarono, di chi lo produsse e lo arrangiò - i fratelli di Gino Vannelli, Joe e Ross, e dell'ispirazione di chi ne narrò le storie in musica.



mercoledì 4 luglio 2012

IL RITORNO DI MR. KELLY


Un mese deprimente lo scorso Giugno. Parlo di uscite musicali, naturale, se togliamo le solite ristampe e qualche giovane di belle speranze, quello che è passato sul mio ipod è bastato per mettermi in depressione da ascolto. Il bello di questi tempi è che la relativa facilità con cui uno riesce a trovare di tutto un po' è bilanciata dalla facilità di cassare istantaneamente quello che non piace, e meno male, si risparmia in spazio prima di tutto e in tempo, il tempo di pigiare un tasto e gli mp3 se ne vanno nel cestino. C'è sempre l'eccezione che conferma la regola, però, e il nuovo album di R. Kelly, "Write me back", è stato quello che ha bilanciato la pochezza delle uscite. Un bel disco questo, dove l'artista afroamericano si concentra sulla musica e gigioneggia meno con la voce, un continuo omaggio ai grandi del soul, musica ispirata agli stili che hanno fatto grande la nostra musica. Ho potuto ascoltare con piacere richiami al Philly Sound, al Northern Soul, Bill Withers, O'Jays, Al Green, Michael Jackson, ma anche a Barry White e Kool & the Gang, queste le influenze che sono presenti nell'album, canzoni che suonano fresche e con discreta personalità. Un disco ancorato con forza nella stagione più groovy del soul, indovinate un po' quale? Si può dire che forse questo album è una sorta di memoria storica di R. Kelly, magari di quelle canzoni che papà e mamma Kelly facevano risuonare in casa quando il nostro scorrazzava con il ciuccio tra la cameretta ed il soggiorno. Una delle migliori uscite del 2012, senza alcun dubbio.