giovedì 24 dicembre 2015

NETHER LANDS - DAN FOGELBERG



Non ci salviamo dai dischi di Natale. Mai. L'altro giorno, ad esempio, ho avuto una trapanatura di coglioni mentre mi trovavo da Feltrinelli, impegnato nel cercare qualche libro da regalare e regalarmi. In sottofondo è passato tutto, e dico tutto, l'album di canzoni natalizie del sibarita Tony Hadley, già conosciuto come voce degli Spandau Ballet. Per rifarmi da siffatto strazio mi è giunto in soccorso un vecchio album di Dan Fogelberg, "Nether Lands", che voglio regalarvi con la recondita speranza di far cosa gradita.

Non importa cantare le solite tre canzonette tre per entrare in clima natalizio, anzi, " Nether Lands" non ne parla affatto ma, come vedremo, risulta più sincero ed ha il giusto afflato che non l'ennesimo riascolto di "Last Christmas". Fogelberg se ne andò in una casa rifugio in cima alle montagne rocciose in Colorado per realizzare questo capolavoro, trovandosi circondato da un panorama innevato da mozzare il fiato e nella giusta intimità per donarci delle canzoni che nella loro malinconica semplicità, sembrano spremute dal cuore. Come ad esempio la title track che apre l'album, una canzone struggente dall'arrangiamento orchestrale molto vicino alla musica classica, un deciso cambio di marcia rispetto agli altri dischi di Fogelberg. 

Così nelle altre canzoni, dove l'artista americano riesce, con buon eclettismo, a trasfigurare nel pop due tra le più belle ballad di country-rock degli anni settanta come sono "Lesson Learned" e "Once Upon A Time", ma anche il bel fingerpicking della introspettiva "Scarecrow's Dream", struggente e sognante", o la dolce "Dancin' Shoes" in ricordo di una ex fiamma che faceva la ballerina, dove il delicato arpeggio di chitarra e l'accordeon iniziale si evolve in un valzer a metà canzone, e il soft-rock di "Loose Ends", una canzone che meriterebbe di essere passata in radio ogni giorno fino alla fine dei tempi.
Da appassionato di musica brasiliana, Sergio Mendes e Jobim tra i suoi ascolti, Fogelberg ci regala un piccolo gioello di folk-bossa in "Give Me Some Time" mentre la musica classica torna a far capolino in "Sketches", preludio alla finale "False Faces", dall'arrangiamento sinfonico che chiude un disco che aldilà della serenità che musicalmente lascia intendere è prima di tutto un viaggio nell'essere più intimo dell'artista, e qui torniamo nel clima natalizio di cui sopra: un periodo dell'anno in cui, aldilà dei regali e del clima di festa, possa servire come momento di riflessione verso se stessi.

Buon Natale !

venerdì 18 dicembre 2015

THE LAST RECORD ALBUM - LITTLE FEAT


"The Last Record Album," noto comunemente come il "disco del budino," è uno dei dischi dimenticati degli anni settanta realizzato dai Little Feat. Tuttavia, le somiglianze con il dolce raffigurato sulla copertina si fermano qui, poiché gli ingredienti espressi attraverso le note musicali sono molto più numerosi e complessi rispetto a quelli impiegati per creare un semplice budino.

"The Last Record Album" è un ottimo punto di partenza per chi non conosce bene i Little Feat e desidera scoprire quanto fosse talentuosa questa band. Il boogie, il blues e il funk tipici del sud sono ancora presenti, ma a differenza dei lavori precedenti, qui la presenza dominante del leader Lowell George come compositore è meno evidente. Invece, il chitarrista Paul Barrére e il tastierista Bill Payne prendono il controllo e il disco ne beneficia con brani dalle strutture più complesse, abbracciando ibridazioni jazz e funk con groove avvolgenti, come dimostra la magnifica "Day Or Night." Lowell George, che funge anche da produttore dell'album, regala un gioiello del suo repertorio con "Long Distance Love," mentre "All That Your Dream," scritta da Barrére e Payne, è una canzone che manca notevolmente dalle stazioni radio odierne.

Questo è un album che, cari amanti della musica "obsoleta," raggiunge vette di godimento impensabili mentre viaggia con pigra indolenza, mantenendo le giuste distanze dalle mode effimere e dall'hype del momento. Obsoleta o no, questa musica e questi artisti hanno davvero sfidato il trascorrere del tempo.


venerdì 4 dicembre 2015

COOL UNCLE - BOBBY CALDWELL & JACK SPLASH


Questa storia ha origine da uno scambio di messaggi su Facebook tra Jack Splash e Bobby Caldwell: da un lato, Jack, un rinomato produttore nel mondo dell'hip-hop e dell'R'n'B con collaborazioni illustri come Kendrick Lamar e John Legend; dall'altro, Bobby, un cantante di culto sospeso tra il soul e la West Coast. Dalla semplice conversazione su Facebook alla decisione di collaborare è stato un passo breve. Inizialmente, hanno scelto il nome d'arte "Cool Uncle." Una volta definite le linee guida del progetto, il risultato di queste due menti brillanti è stato rilasciato il 15 novembre.

La loro intelligenza e maestria si riscontrano nel fatto che non hanno stravolto la loro identità artistica. Fondamentalmente, l'album si muove su territori musicali familiari. La produzione di Splash costruisce un tappeto sonoro abilmente intrecciato tra tradizione e innovazione, mentre la voce bellissima e raffinata di Caldwell, nonostante i suoi sessantaquattro anni, mette a dura prova i giovani talenti. Il risultato sono canzoni che suonano familiari all'ascolto, arricchite dalla loro esplorazione tra il blue-eyed soul, la West Coast pop e il smooth funk. Le voci di Mayer Hawthorn in "Game Over," Deniece Williams ed Eric Biddines in "Breaking Up," Cee Lo Green in "Mercy," Jessie Ware in "Break Away," e infine Jd8 nella conclusiva "Outro" rendono l'album eclettico e avvincente.

Cool Uncle rappresenta una sorta di comfort per gli amanti delle sonorità Yacht Rock e del soul melodico. È il tipo di disco che tutti sperano di trovare sotto l'albero, con una qualità costante nelle canzoni contenute, e la speranza che un artista del calibro di Bobby Caldwell possa finalmente ottenere la visibilità che merita. Nonostante una carriera di trentasei anni costellata da successi, con picchi di eccellenza nei suoi primi lavori, il cantante americano non ha ricevuto il riconoscimento che gli spetta nel mondo del soul bianco, tranne che per un ristretto numero di appassionati. Vedremo se Jack Splash, con questo album, riuscirà a convincere anche gli scettici.