UNTITLED UNMASTERED - KENDRICK LAMAR


Criticate pure la mia pigrizia, ma da quando è uscito "To Pimp A Butterfly," il capolavoro di Kendrick Lamar, niente mi aveva spinto a scrivere a riguardo. Quindi, accettate questa mia recensione di "Untitled Unmastered" come un modo di rimediare?

Pubblicato inaspettatamente il 3 marzo scorso, questo album del Re di Compton è essenzialmente una raccolta di brani avanzati (non scartati, fate attenzione) dal suo lavoro precedente. Ribadisce con forza la supremazia di Lamar (in comproprietà con D'Angelo, aggiungerei) nel mondo della musica afroamericana. Sì, afroamericana, perché limitare questo artista al rap o all'hip-hop sarebbe ingiusto.

Ci sono otto tracce senza titolo, numerate dall'01 all'08, e una durata complessiva di trentaquattro minuti. Il suo stile richiama più Tupac che Kanye West, e nei testi non troverete le solite storie di sesso e violenza, ma riflessioni su colpa e redenzione, razzismo e sfruttamento dei neri da parte dei bianchi. Si occupa persino di temi come l'immigrazione, cosa che non vediamo fare ai rapper italiani, troppo impegnati a sparare sciocchezze sui social.

E la musica? Lamar esplora la storia della musica afroamericana senza cadere nel revivalismo. Intreccia suggestioni funk e soul, riporta il jazz al centro dell'attenzione, si avventura nella bossa nova, e addirittura fa un accenno a Prince, quasi esortandolo a ritornare al suo antico splendore. Sentite l'introduzione della traccia 01, e poi mi direte.

Con il supporto di musicisti eccezionali, tra cui i grandiosi Kamasi Washington al sax e Thundercat al basso, "Untitled Unmastered" è un altro tassello fondamentale per comprendere l'evoluzione della musica afroamericana.

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